Qualche tempo dopo la Pasqua, dopo aver trovato la tomba vuota, i discepoli tornano sul lago di Tiberiade, là dove tutto è iniziato. Una notte provano a pescare, ma le loro mani non hanno più dimestichezza con i movimenti, e gli sforzi durati tutta una notte sono inutili. Solo Gesù apparso nel frattempo sulla riva, indirizza i discepoli ad una pesca.
Giunti a terra, dopo la colazione ristoratrice, Gesù e Pietro possono parlare a quattr’occhi. Dopo mangiato si parla meglio: si è più sereni, si è disponibili alla confidenza. Gesù non ha più parlato con Pietro dalla notte del Giovedì Santo, quando cioè Pietro lo rinnegò tre volte davanti ad una serva. Gesù, discreto ed attento, non parla di quella sera, gli chiede solo se lo ama. È una domanda apparentemente semplice, ma che lascia la bocca amara quando viene ripetuta per tre volte. Quando compiamo un’azione cattiva contro qualcuno, ci aspettiamo rancore, vendetta, astio; solo se va bene indifferenza. Gesù invece va controcorrente: chiedendogli se lo ama, spinge Pietro a sbilanciarsi, lo porta un passo alla volta a dire le parole pesantissime: “Tu sai tutto, tu sai che ti amo”. In quel “Tu sai tutto” c’è in sintesi estrema la storia della sua fragilità, c’è l’ammissione della propria vicenda di uomo peccatore che non si nasconde come Adamo dietro ad un cespuglio, ma si mette così com’è davanti a Dio. Pietro non cerca scuse, non accusa la serva di quella sera, non chiama in causa gli altri discepoli, che se possibile sono ancora più fragili di lui. Ammette di essere solo sé stesso: ama come può, ama come riesce, con tutti i suoi limiti. Davanti alla richiesta di amore, la colpa viene per così dire neutralizzata, superata: non è ignorata, ma viene assorbita in un progetto di amore più grande che investe Pietro e lo rende proprio perché peccatore segno visibile della Signoria di Dio. Se Pietro fosse stato perfetto e inossidabile e inattaccabile e immacolato, non avrebbe potuto né comprendere né guidare chi invece è imperfetto, arrugginito e sporco. La Chiesa non è l’elenco dei perfetti, ma è la fraternità dei peccatori perdonati e quindi capaci di speranza, non in sé stessi ma in Dio, l’unico Salvatore. Pietro invece, condotto per mano da Cristo che lo ha chiamato solo per educarlo con pazienza infinita un giorno alla volta, comprende che la sua perfezione si chiama Cristo. Solo mettendosi davanti a Lui così com’è, senza cercare un’impossibile auto-salvezza o auto-perfezione, consente a Cristo di salvarlo dai suoi peccati.