La vita spirituale e la vita interiore

Che cos’è la vita spirituale? La vita spirituale non è una tecnica, un insieme di regole, o qualcosa che facciamo noi. Essa è ciò che lo Spirito Santo fa dentro di noi. Questo è il motivo per il quale, quando uno dice che deve recuperare la vita spirituale, è come se dicesse che deve rendersi consapevole di quello che gli sta accadendo, di come lo Spirito Santo lo sta lavorando interiormente. Il nostro contributo primario è quello di “accorgerci”.

Quando uno si prende del tempo per la propria vita spirituale, non deve passarlo a spremersi le meningi per cercare di tirar fuori qualche “genialata” sulla propria vita. In realtà, quello è tempo che si prende per imparare a stare in silenzio e non semplicemente a stare zitti. È tempo di ascolto. Lo stare zitti e lo stare in silenzio sono due cose radicalmente diverse: uno può star zitto, tacere, ma essere con la mente e con il cuore altrove rispetto alla realtà che ha davanti. Così come uno può, invece, stare in silenzio perché sta ascoltando pienamente ciò che ha di fronte.

Questo capita quando si sta davanti a quello che si ama. Il silenzio è la piena cittadinanza del presente. Il silenzio non è un mero “taci!”, ma il fatto che abbiamo un urgentissimo bisogno personale di metterci in ascolto di qualcosa di diverso dai nostri pensieri ed emozioni. Ma se la vita spirituale è quello che lo Spirito fa dentro di noi, dobbiamo stare attenti a non confondere la vita spirituale con la vita interiore. Quest’ultima non è altro che tutto il nostro apparato emotivo, psicologico, affettivo, razionale, il nostro “mondo dentro”.

La vita interiore è la nostra capacità tutta umana di percepire la realtà nella sua profondità e non semplicemente nella sua estensione, nella sua superficialità. La vita interiore così intesa ce l’hanno tutti. La vita interiore è legata al nostro essere o non essere umani. È il minimo sindacale per dirsi umani per davvero. Non essere più avvezzi alla vita interiore ci rende così tremendamente superficiali e, per questo, tremendamente infelici e in molti casi depressi.

Un cristiano non può accontentarsi però di avere una semplice vita interiore, accontentarsi di questo minimo sindacale. Deve scavare più a fondo nella propria vita interiore, per trovare invece la vena dell’acqua della vita spirituale che gli scorre dentro e accorgersi, così, di quella vita che non dipende da lui, ma che in lui è presente: la vita dello Spirito. Darsi del tempo, darsi del “silenzio”, significa affinare la nostra capacità di accorgerci dei moti psicologici dentro di noi e saperli distinguere da quelli spirituali. Bisogna anche tener presente che a volte i moti psicologici si travestono da moti spirituali. È allora che il silenzio, l’attenzione, la vita di preghiera, la Parola soprattutto, sono come un vaglio che ci aiuta a capire cosa è e cosa non è spirituale. Per farci capire ciò che viene da Dio e ciò che viene invece semplicemente dalla nostra storia. Noi facciamo l’errore di continuare semplicemente a interpretarci e, così, ci ammaliamo di fatalismo («Se provo questo, allora Dio vuole dirmi questo…», «Se mi è successo questo, allora Dio vuole fare quest’altro…»). Dobbiamo imparare a intendere la vita di preghiera come partecipazione affettiva alla vita di Cristo.

Papa Francesco: un anno dedicato all’enciclica “Laudato sì”

Capitolo primo – Quello che sta accadendo alla nostra casa

Il capitolo assume le più recenti acquisizioni scientifiche in materia ambientale come modo per ascoltare il grido della creazione, «trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare» (19). Si affrontano così «vari aspetti dell’attuale crisi ecologica» (15).

I mutamenti climatici: «I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità» (25). Se «Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti» (23), l’impatto più pesante della sua alterazione ricade sui più poveri, ma molti «che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi» (26): «la mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile» (25).

La questione dell’acqua: il Pontefice afferma a chiare lettere che «l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani». Privare i poveri dell’accesso all’acqua significa negare «il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità» (30).

La tutela della biodiversità: «Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre» (33). Non sono solo eventuali “risorse” sfruttabili, ma hanno un valore in sé stesse. In questa prospettiva «sono lodevoli e a volte ammirevoli gli sforzi di scienziati e tecnici che cercano di risolvere i problemi creati dall’essere umano», ma l’intervento umano, quando si pone a servizio della finanza e del consumismo, «fa sì che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia» (34).

Il debito ecologico: nel quadro di un’etica delle relazioni internazionali, l’Enciclica indica come esista «un vero “debito ecologico”» (51), soprattutto del Nord nei confronti del Sud del mondo. Di fronte ai mutamenti climatici vi sono «responsabilità diversificate» (52), e quelle dei Paesi sviluppati sono maggiori.

Nella consapevolezza delle profonde divergenze rispetto a queste problematiche, Papa Francesco si mostra profondamente colpito dalla «debolezza delle reazioni» di fronte ai drammi di tante persone e popolazioni. Nonostante non manchino esempi positivi (58), segnala «un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità» (59). Mancano una cultura adeguata (53) e la disponibilità a cambiare stili di vita, produzione e consumo (59), mentre urge «creare un sistema normativo che […] assicuri la protezione degli ecosistemi» (53).

La geografia dei vizi: l’ira

 L’Ira è un vizio provocato dall’incapacità di padroneggiare alcuni aspetti del proprio carattere, che dovrebbero invece essere correttamente incanalati verso il bene. Come tale, essa non va confusa con la giusta indignazione nei confronti del male, che è un nobile sentimento attribuito nella Bibbia anche a Dio. Altra cosa è l’ira, che rivela ostilità e intolleranza verso la persona tendendo a colpirla o attraverso espressioni di violenza verbale, improntate a giudizi affrettati e offensivi, o attraverso gesti fuori misura, frutto cioè di esasperante e sproporzionate reazioni. L’ira è cieca.

1. Condanna dell’Ira

Dio condanna la reazione violenta dell’uomo che si adira contro un altro,

– sia egli geloso come Caino: “Il Signore non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto” (Gen 4,5);

– sia furioso come Esaù: “Fuggi finché l’ira di tuo fratello si sarà placata. Quando la collera di tuo fratello contro di te si sarà placata e si sarà dimenticato di quello che gli hai fatto, allora io manderò a prenderti di là” (Gen. 27,44ss.);

– o come Simeone e Levi: “ Simeone e Levi sono fratelli, strumenti di violenza sono i loro coltelli. Nel loro conciliabolo non entri l’anima mia, al loro convegno non si unisca il mio cuore, perché nella loro ira hanno ucciso gli uomini, e nella loro passione hanno mutilato i tori. Maledetta la loro ira, perché violenta, e la loro collera, perché crudele!” (Gen 49,5 ss.)

Gesù si è mostrato ancor più radicale, assimilando l’Ira al suo effetto abituale, l’omicidio: “Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio”  (Mt 5,22). Paolo la giudica incompatibile con la carità: “La carità non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto” (1Cor 13,5); è un male puro e semplice: “Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni”  (Col 3,8) da cui bisogna guardarsi, soprattutto a motivo della prossimità di Dio: “Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche” (1Tim 2,8).

2. L’Ira di Dio

È un fatto, Dio si adira. “Ecco il nome del Signore venire da lontano, ardente è la sua ira e gravoso il suo divampare” (Is 30,27). Il risultato di quest’ira è la morte con le sue ausiliarie: carestia, sconfitta o peste, tra cui David deve scegliere (2Sam 24,15ss); altrove sono le pi aghe (Num 17,11), la lebbra (Num 12,9ss), la morte (1Sam 6,19). Quest’ira si abbatte su tutti i colpevoli ostinati; in primo luogo su Israele, perché è più vicino al Dio Santo (Es 19; 32; Deut 1,34; Num 25,7-13), sia sulla comunità (2Re 23,26; Ger 21,5) che sugli individui; poi anche sulle nazioni (1Sam 6,9).

Gesù stesso scaccia con violenza i mercanti che hanno profanato il tempio. Nella manifestazione della sua Ira, Dio non si comporta come un uomo. L’uomo sperimenta sempre meglio che Dio non è un Dio dell’Ira, ma il Dio della misericordia (Es 34,6; Is 48,9; Salmo 103,8; Ger 3,12; Os 11,9). Punendo a suo tempo Dio manifesta all’uomo la portata educativa dei castighi causati dalla sua ira (Am 4,6-11).

San Pietro: il martirio

Nell’estate del 64 d.C. un terribile incendio scoppia nella città di  Roma, distruggendo gran parte dei suoi quartieri  e monumenti. Voci, vere o false non sappiamo, accusano l’imperatore Nerone di essere artefice del disastro. Per soffocare queste accuse, Nerone ordina che siano puniti i cristiani quali colpevoli dell’incendio e nemici del genere umano. Oppressi dalla persecuzione, sazi di sangue e lutti, i cristiani si raccolgono attorno al vecchio Pietro, che da quella “Babilonia” scrive un’epistola,  la Prima Lettera di Pietro, nella quale dà coraggio ai propri figli spirituali, il suo testamento dopo anni e anni di sofferenze: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione  della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare”.  Secondo un’antica tradizione, ricercato dalle guardie imperiali, Pietro riesce a fuggire ma lungo la via Appia incontra il Maestro, luminoso e magnifico, che, portando la croce sulle spalle alla domanda dell’apostolo: “Dove vai, Signore?” risponde: “Torno a Roma per essere crocifisso un’altra volta”.  Il messaggio è chiaro: attraverso Pietro, Gesù tornerà a sacrificarsi per la sua Chiesa. L’apostolo non osa ribadire, torna solennemente a Roma; arrestato, viene  condotto nel carcere Mamertino (oggi Chiesa di s. Pietro in Carcere) nella stessa cella dell’amico e compagno, Paolo di Tarso. L’ora dei due apostoli scocca, secondo fonti antiche, il 29 giugno di un anno imprecisato, fra il 64 e il 67 d.C. I due vengono condotti l’uno preso il circo di Nerone nelle vicinanze del colle Vaticano, l’altro presso la zona delle Acquae Salviae, Pietro condannato alla crocifissione, Paolo essendo cittadino romano, alla decapitazione. Prima di  essere inchiodato al legno della croce, l’apostolo ha un ultimo desiderio: essere crocifisso a testa in giù poiché non degno di morire come il Maestro.