Solennità dell’Assunzione

Le parole tacciono … davanti alla bellezza di Maria, la Vergine Madre assunta in cielo con anima e corpo, resta solo la contemplazione stupita. Per noi pellegrini sulla terra tutto quanto riguarda la vita eterna, la vita nella gloria, è avvolto di mistero. Tuttavia è mistero pieno di luce e di gioia, i cui raggi si riflettono sulla nostra quotidiana esistenza, illuminando le nubi che talvolta su di essa si addensano e rendendo più acuta la nostalgia del cielo. Il riposo è gradito a coloro che sono stanchi. È dunque opportuno per noi che sopraggiunga questo giorno di riposo e di festa, in modo che, mentre celebriamo il riposo della santa Madre di Dio, non solo i corpi ritemprino le forze, ma anche i cuori riprendano fiato nel ricordo e nell’amore di quel riposo eterno. Anche lì noi mieteremo il riposo, noi che ora seminiamo la fatica di questo raccolto. Il frutto di questa fatica sarà quel riposo. Nel pieno fervore dell’estate, la Chiesa celebra la più grande tra le sue feste del “raccolto”.

La Vergine Madre di Dio è infatti il primo e perfettamente maturo frutto del mistero pasquale.

In lei la Chiesa contempla il definitivo compimento del piano della salvezza; in lei saluta i cieli nuovi e la terra nuova, e con lei si considera già entrata nella gloria della risurrezione. Perciò, mentre proclama la sua gloria, canta la propria speranza. Maria è già ciò che la Chiesa  –  e ogni singola persona  –  sarà alla fine dei tempi; Maria, dunque, ci dà l’orientamento al cielo e tiene lo sguardo del nostro cuore proteso alla meta.

I testi che la liturgia della solennità offre alla nostra meditazione ripresentano le tappe dell’itinerario che Maria ha percorso e che la Chiesa va proponendo nel suo pellegrinaggio di fede.

Prendendo l’avvio dalle prime pagine della Genesi, si arriva alla gloriosa conclusione prospettata nell’Apocalisse proposta nella prima lettura della Messa del giorno. Dall’annunzio della donna portatrice della Salvezza si giunge all’unione definitiva di Cristo con la Chiesa-Sposa di cui Maria è la primizia.

La bellezza di questa creatura che rallegra il cielo e la terra è candore e santità, ma soprattutto amore. Il fatto che gli angeli esultanti l’accolgano con loro in paradiso non può lasciare in noi ombra di malinconia o senso di orfanezza, poiché se in cielo tra gli angeli Maria è regina, in mezzo a noi ella rimane sempre nostra Madre premurosa e compassionevole. Tutto Maria conserva nel suo cuore, tutto di noi raccoglie e presenta al figlio e al Padre. Ogni nostra preghiera e offerta passa attraverso le sue mani.

La nostra più grande aspirazione dovrebbe essere quella di divenire come Maria, totalmente donati a Dio e di umile servizio i fratelli, affinché nessuno resti isolato nel cammino, ma tutti insieme possiamo raggiungere la celeste meta del terreno pellegrinaggio.

Una riflessione per prepararci all’Assunta

Il vangelo presenta la Vergine Maria in cammino. Cogliamo l’occasione per metterci anche noi per strada e accompagnarla nel suo viaggio.  «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente»: è la professione di fede di Maria che testimonia ciò che Dio ha compiuto in lei. Nell’assunzione al cielo celebriamo l’ultimo atto di queste «grandi cose», ma tutta la sua vita è stata una “meraviglia di Dio”. Contempliamo Maria accompagnandola nel viaggio di tutta la sua vita, dove ogni momento preannuncia la gloria finale dell’assunzione. Perché le «grandi cose» si attuano in quanto Dio «ha guardato l’umiltà della sua serva»: in questo è modello di fede per ogni cristiano.

Serva e regina.

Ogni momento della vita di Maria è vissuto nell’atteggiamento dell’umiltà e nel dono di essere la prima dei salvati. Nella Solennità dell’Assunzione ci viene mostrata come serva e regina, regina in quanto si è fatta serva e ha accolto la volontà di Dio. Accompagnandola nel cammino della sua vita, la vediamo regina nell’immacolata concezione, dove è senza peccato perché sarebbe diventata madre del Figlio di Dio. Nell’annunciazione è regina perché piena di grazia, serva perché ha accolto la parola di Dio e si è resa disponibile al suo progetto.  Negli eventi del Natale è regina perché il suo bambino è adorato come re, serva perché lo segue  nelle persecuzioni sin dai primi giorni di vita.  Sotto la croce ci appare più come serva in quanto segue suo Figlio sino al Golgota; ma è anche regina, perché quando Cristo regna sulla croce nel dono totale della sua vita la madre dolorosa regna con lui unendo la sua sofferenza a quella del Figlio. Nell’assunzione al cielo siamo all’atto finale e qui la contempliamo solo come regina, quando conclude la sua vita terrena e riceve il dono della gloria eterna.

Un culto antico.

Un breve richiamo alla storia di questa solennità. La proclamazione del dogma dell’Assunzione risale al 1° novembre 1950 con la costituzione dogmatica Munificentissimus Deus di Pio XII. Ma il culto della Vergine assunta è molto antico, la festa è celebrata a Gerusalemme già nel v secolo come la Dormizione di Maria, espressione comune in Oriente che poi in Occidente diventa Assunzione di Santa Maria. La formulazione del dogma da parte di Pio XII aiuta a comprendere il significato della festa liturgica: non si celebra «unicamente il fatto che le spoglie mortali della beata Vergine Maria fossero state preservate dalla corruzione, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste glorificazione,  perché la Madre ricopiasse il modello, imitasse cioè il suo Figlio unico, Cristo Gesù».  La Vergine Maria «alla fine ottenne di coronare le sue grandezze, superando la corruzione del sepolcro. Vinse la morte, come già il suo Figlio, e fu innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli». Alcune espressioni equivocabili hanno bisogno di essere brevemente spiegate, per esempio che cosa significhi che Maria ha superato «la corruzione del sepolcro».

Pio XII riporta alcune pagine dei Padri della Chiesa che testimoniano l’antichità di questa fede. Una pagina che può essere ripresa è quella di san Giovanni Damasceno. «Colei che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità doveva anche  conservare senza alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Colei che aveva portato nel suo seno il Creatore, fatto bambino, doveva  abitare nei tabernacoli divini. Colei che fu data in sposa dal Padre, non poteva che trovar dimora nelle sedi celesti. Doveva contemplare il suo Figlio nella gloria alla destra del Padre, lei che lo aveva visto sulla croce, lei che, preservata dal dolore, quando lo diede alla luce, fu trapassata dalla spada del dolore quando lo vide morire. Era giusto che la Madre di Dio possedesse ciò che appartiene al Figlio, e che fosse onorata da tutte le creature come Madre ed ancella di Dio».

La Giustizia di Dio

Una giustizia sbilanciata. Quel padrone che dà agli ultimi la stessa paga dei primi! Quanto è ingiusto! È quello che pensano. Quei primi operai rimangono sbigottiti! Che giustizia è questa? È un Dio sbilanciato … la giustizia di Dio è così, ben diversa dalla nostra: non distribuisce secondo i meriti, non dà semplicemente in corrispondenza a quello che noi facciamo, non dà solo ai primi … Dio dà in base al Suo cuore buono …

Una giustizia che non condanna, che non risponde al male con il male, che non emette la sentenza di fronte al nostro errore, ma che risponde con un amore ancora più grande: ecco il perdono, ecco la misericordia …

Una giustizia in cui il figlio Gesù, il solo giusto, l’innocente, si fa colpevole per liberare noi colpevoli …

Una giustizia che fa giusti: Gesù, l’unico giusto, ci rende giusti, ci giustifica, ci fa giustificati …

L’uomo giusto non è solo colui che cammina secondo la legge del Signore, ma è anche colui che diventa giusto come il Signore cioè capace di una giustizia che è perdono, che è misericordia …

Chi è il giusto?

Colui che desidera la giustizia. Nel Vangelo Gesù dice: “Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati”.

Colui che rispetta le leggi: ci sono diversi tipi di leggi, a partire da quelle della convivenza civile.

Colui che rispetta la proprietà altrui: l’altro si prolunga in ciò che ha; ciò che l’altro ha fa parte di lui, non posso metterci le mani.

La Giustizia divina, fonte di salvezza

la Giustizia umana insegna quali sono i doveri e i diritti da dover rispettare, quella divina, che viene appunto da Dio, ha valenza salvifica perché è legata alla misericordia. La giustizia divina non abolisce la legge umana, ma anzi va a perfezionarla. Essa mostra la sua trascendenza rispetto a ogni giustizia umana attraverso il perdono, riabilita l’uomo per amore, non per giudizio, ricostruendo e trasfigurando la persona dall’interno.

“L’amore divino fa giustizia al di là del dovuto e lo fa con misericordia” (cardinale Carlo Maria Martini).

Nell’espressione “giustizia di Dio” è racchiuso il molteplice contenuto di una verità su Dio, con la quale nelle pagine della Bibbia è sintetizzato il suo agire: egli è “giusto” poiché è “fedele alle sue promesse” (Dt 33,21). Egli è il solo che nella sua misericordia (cfr. Isaia 45,8-46,13) rende giusto l’uomo, lo salva in virtù della libera decisione della sua grazia (cfr. Romani 3,24). La parola “misericordia” designa una profonda relazione interiore tra due individui, come quella che lega una mamma al suo bambino (cfr. Isaia 49,15), una relazione che dice benevolenza, bontà, tenerezza amorosa. Questo è l’atteggiamento di Dio, il giusto per eccellenza, verso l’umanità. L’uomo giusto è colui che fa della sua vita una potenza di vita feconda, perché pratica la giustizia e vive la fratellanza. La carità è radicata nel suo cuore.

Un anticipo dello splendore divino

Il 6 Chiesa agosto di ogni anno la Chiesa celebra la Trasfigurazione del Signore, anticipo della gloria pasquale del Cristo risorto e profezia della gloria a cui sono destinatari i cristiani. La Trasfigurazione canta la bellezza del volto di Dio, come scriveva nel VII secolo il monaco Anastasio Sinaita: “Realmente, o Pietro, è davvero bello stare qui con Gesù e qui rimanervi per tutti i secoli. Che cosa vi è di più felice, di più prezioso, di più santo che stare con Dio, conformarsi a lui, trovarsi nella sua luce? Certo ciascuno di noi sente di avere con sé Dio e di essere trasfigurato nella sua immagine. Allora esclami pure con gioia: È bello per noi restare qui, dove tutte le cose sono splendore, gioia, beatitudine e giubilo. Restare qui dove l’anima rimane immersa nella pace, nella serenità e nelle delizie; qui dove Cristo mostra il suo volto, qui dove egli abita col Padre.

Ecco che Egli entra nel luogo dove ci troviamo e dice: oggi la salvezza è entrata in questa casa.

La Trasfigurazione nell’anno liturgico fra Oriente e Occidente

La liturgia della Chiesa contempla il mistero della Trasfigurazione al cuore del tempo estivo, il 6 agosto. I cristiani d’Oriente iniziarono a celebrare questa festa nel V secolo, considerandola come la Pasqua dell’estate: sembra che questa data sia stata fissata in connessione con la festa successiva dell’Esaltazione della Croce perché, secondo alcune tradizioni, la Trasfigurazione avrebbe avuto luogo quaranta giorni prima della morte in croce di Cristo; ciò spiegherebbe la sua collocazione al 6 agosto in relazione al 14 settembre.

Questa festa sarebbe poi entrata nel calendario della Chiesa d’Occidente alla metà del IX secolo: i monaci di Cluny, con l’Abate Pietro il Venerabile, avrebbero contribuito in modo decisivo alla diffusione di questa celebrazione, ma sarà papa Callisto III a iscriverla nel Calendario romano nel 1457, per rendere grazie della vittoria di Belgrado sui Turchi, avvenuta il 6 agosto 1456.

Così la Trasfigurazione abbraccia il già e non ancora: ci sono le grandi figure del passato d’Israele che in Cristo trovano pienezza di compimento, c’è il presente dei discepoli, destinatari di una manifestazione trinitaria, c’è l’anticipazione del mistero pasquale di Gesù e la pregustazione della gloria per quanti aderiscono a lui. La sua Trasfigurazione è profezia della nostra, poiché nella fede sappiamo che il Signore “trasfigurerà il nostro corpo di miseria per conformarlo al suo corpo di gloria” (Filippesi 3,21)

La Giustizia umana, legale o generale

La Giustizia aiuta l’uomo a non fare il proprio interesse, ma a compiacersi della verità e del bene, senza dover danneggiare l’altro.

La Giustizia legale o generale ha come suo oggetto specifico il bene comune della società civile. Rientra in questa virtù la cura del bene pubblico, il rispetto dell’ambiente e dei servizi pubblici, il pagare le tasse allo Stato, l’osservare le sue leggi, almeno fino a quando non entrino in contrasto con la dignità umana o vadano a intaccarla.

La Giustizia è la virtù cardinale che aiuta l’uomo a ricordare l’importanza del vivere bene con se stesso e con gli altri, aiuta a ricordare quali sono le cose fondamentali per cui un uomo deve imparare a gareggiare: la serenità e la pace.

Non è una virtù legata solo al giusto che paga tutte le tasse, ma a tutte quelle persone che scelgono di vivere con quei principi, quei valori fondamentali che formano l’essere umano. La Giustizia ricorda all’uomo che egli non è fatto per vivere da solo perché il suo stesso essere comporta un’attenzione verso l’altro. Gli uomini giusti sono coloro che si impegnano a conseguire con responsabilità, semplicità e fermezza i propri diritti e doveri, senza dover scendere a compromessi.

Una luce per il cammino

La Giustizia è la guida, la luce che orienta il cammino dell’uomo sulla retta via. È una virtù che non è data tanto in vista delle opere compiute, ma dalla fede in Cristo, dalla giustizia che viene da Dio: un dono che scende dall’alto, dalla grazia divina verso il credente che viene avvolto sempre più nella carità.

La Giustizia come dono di Dio viene fortificata dalla carità, che tutto crede e tutto spera. Per questo non è tanto la logica della punizione che esclude ed emargina a rendere l’uomo tale, ma la logica del saper investire su ciò che ogni singolo ha di buono nel suo cuore, così che la sua vita sia elevata a beneficio di tutti.

Dio chiede agli uomini di mettere al servizio del prossimo i doni che lui ha elargito: la giustizia è perciò data all’uomo perché sia messa al servizio dell’uomo, per permettergli di  crescere, di comprendere quanto è importante che viva nel rispetto e nell’amore del prossimo, perché il suo sia uno sguardo che edifica e promuove l’altro e non sia di oppressione, di potere e di violenza.

Papa Francesco: un anno dedicato all’enciclica “Laudato sì”

Capitolo quinto – Alcune linee di orientamento e di azione

Questo capitolo affronta la domanda su che cosa possiamo e dobbiamo fare. Le analisi non possono bastare: ci vogliono proposte «di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale» (15), e «che ci aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando» (163). Per Papa Francesco è imprescindibile che la costruzione di cammini concreti non venga affrontata in modo ideologico, superficiale o riduzionista. Per questo è indispensabile il dialogo, termine presente nel titolo di ogni sezione di questo capitolo:

«Ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. […] la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma [io] invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune» (188).

Su questa base Papa Francesco non teme di formulare un giudizio severo sulle dinamiche internazionali recenti: «i Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci» (166). E si chiede «Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?» (57). Servono invece, come i Pontefici hanno ripetuto più volte a partire dalla Pacem in terris, forme e strumenti efficaci di governance globale (175): «abbiamo bisogno di un accordo sui regimi di governance  per tutta la gamma dei cosiddetti beni comuni globali» (174), visto che «“la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente”» (190).

Sempre in questo capitolo, Papa Francesco insiste sullo sviluppo di processi decisionali onesti e trasparenti, per poter «discernere» quali politiche e iniziative imprenditoriali potranno portare «ad un vero sviluppo integrale» (185). In particolare, lo studio dell’impatto ambientale di un nuovo progetto «richiede processi politici trasparenti e sottoposti al dialogo, mentre la corruzione che nasconde il vero impatto ambientale di un progetto in cambio di favori spesso porta ad accordi ambigui che sfuggono al dovere di informare ed a un dibattito approfondito» (182).

Particolarmente incisivo è l’appello rivolto a chi ricopre incarichi politici, affinché si sottragga «alla logica efficientista e “immediatista”» (181) oggi dominante: «se avrà il coraggio di farlo, potrà nuovamente riconoscere la dignità che Dio gli ha dato come persona e lascerà, dopo il suo passaggio in questa storia, una testimonianza di generosa responsabilità» (181).