Breve riflessione nell’anno di San Giuseppe
Giuseppe è discendente della famiglia di Davide. Il suo è un cognome di peso in tutti i sensi. Quando i Vangeli riportano la genealogia di Gesù, nell’elenco degli antenati non sono menzionati solo Santi, ma anche persone di dubbia moralità, tra cui anche il santo re Davide che, in un momento di vera mediocrità spirituale e umana, non solo rubò la moglie a un suo amico, ma ne decretò anche la morte. Tra gli elenchi di nomi c’è di tutto e per questo possiamo sentirci davvero in buona compagnia. Gesù entra nella discendenza di Davide, che solo in rari casi assomigliava a Giuseppe, e per il resto mostra invece un folto numero di fragilità, difetti e peccati. Credo che sia un modo tutto particolare del Vangelo di non farci immaginare la santità come qualcosa che non poggia con i piedi per terra.
Giuseppe è un “giusto”, ma la santità è la capacità di sapersi santificare anche con i propri difetti e le proprie cadute. Ecco perché ci vengono raccontate anche le crisi di Giuseppe e le sue paure. Pensare che la santità significhi avere sempre la soluzione ci porta fuori strada.
La santità è fare il nostro possibile con la grazia di Dio, senza evitare la nostra umanità così com’è. Ecco perché l’evangelista Matteo riporta questo dettaglio: “Quando Giuseppe venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi”. Senza saperlo, grazie a quella paura dirottarono a Nazaret e si compirono le Scritture: “Sarà chiamata Nazareno”.
Ci si fa santi anche con le nostre paure.