Che cosa cercano? (3)

I vuoti che sempre di più vengono lasciati nella comunità cristiana, tra le altre cose, dovrebbero pesare sull’anima dei credenti e di quanti hanno a cuore la vita della Chiesa. Le assenze, oltre alle responsabilità proprie e personali, parlano di una Chiesa che affatica nella sintonia con le persone e, prima ancora, con
il Vangelo. Le varie prese di distanza sono un invito ad un nuovo modo di credere: più fedele al Vangelo; capace di coinvolgere tutta la persona: cuore, mente, emozioni, corpo, scelte, progetti di vita.
È necessario comprendere che si può credere con i propri dubbi, con le proprie e altrui fragilità, con i propri e altrui tradimenti: affidarsi alla misericordia significa credere che Dio si prende cura della nostra umanità ferita, e vorrebbe guarirla.
Credere è un giogo leggero, di cui parla il Vangelo. È questa una fede bella per tutti.

“Anime sfiduciate non vedono altro che tenebre gravare sulla faccia della terra. Noi, invece, amiamo riaffermare tutta la nostra fiducia nel Salvatore nostro, che non si è dipartito dal mondo, da Lui redento. Anzi, facendo nostra la raccomandazione di Gesù di saper distinguere “i segni dei tempi”, ci sembra di scorgere, in mezzo a tante tenebre, indizi non pochi che fanno bene sperare sulle sorti della chiesa e dell’umanità”.

Con queste parole, il 25 dicembre 1961, nella Bolla Humanae salutis di indizione del Concilio, Giovanni XXIII introduceva la categoria di “segni dei tempi” che divenne poi una cifra di riferimento per esprimere l’atteggiamento nuovo della Chiesa nei confronti del mondo. È necessario osservare il mondo puntando diritto lo sguardo sulla figura di Gesù, motivo di fiducia e di speranza per ogni epoca della storia.
Si tratta di una lettura di fede della storia che cerca i “germogli di bene”.