Presentazione del Signore al tempio

L’evangelista Luca, all’inizio della narrazione, si collega alla legge mosaica secondo la quale la
madre, quaranta giorni dopo la nascita del primogenito, doveva presentarlo al tempio e offrire in
sacrificio al Signore, per la sua purificazione, un agnello oppure una coppia di colombe.
La consacrazione del primogenito (come di ogni primizia) ricordava a tutto il popolo d’lsraele il
primato di Dio sulla vita e sull’intera creazione. Maria e Giuseppe, pertanto, obbedienti alla legge
di Mosè fecero quanto era prescritto e portarono Gesù nel Tempio per consacrarlo al Signore.
Erano poveri e non potendo acquistare l’agnello per il sacrificio offrirono una coppia di colombe,
in realtà essi donavano a Dio il “vero agnello” per la salvezza del mondo.
La festa della Presentazione di Gesù al tempio è tra quelle – poche in verità – celebrate assieme dalle Chiese cristiane d’Oriente e d’Occidente.

È piccolo Gesù, ha appena quaranta giorni, e subito si reca a Gerusalemme. 
È il primo viaggio, ma già prefigura l’ultimo. Tornerà nella città santa al termine della sua vita, ma non più offerto nel Tempio e non più posto sulle braccia di Simeone, sarà invece condotto fuori le mura della città e sarà inchiodato sulle braccia della croce.
Oggi le braccia di Simeone lo prendono e lo stringono con affetto, ma nelle parole di questo saggio vecchio si delinea già il futuro del Bambino. Era anziano Simeone, come pure la profetessa Anna (il Vangelo ne precisa l’età, ottantaquatttro anni).
In essi sono rappresentati certamente tutto Israele e l’umanità intera, che attende la “redenzione”, ma possiamo vedervi anche le persone più avanti negli anni, gli anziani.
Ebbene, Simeone ed Anna sono l’esempio di bella anzianità. È sempre più facile nella nostra società scorgere anziani, uomini e donne, che ormai pensano con tristezza e rassegnazione al loro futuro; e l’unica consolazione, quando è possibile, è il rimpianto della passata giovinezza.
Il Vangelo di oggi sembra dire a voce alta – ed è giusto gridarlo in questa nostra società fattasi particolarmente crudele verso gli anziani – che il tempo della vecchiaia non è un naufragio, una disgrazia, una iattura, un tempo più da subire tristemente che da vivere con speranza.
Simeone ed Anna sembrano uscire da questo affollato coro di gente triste e angosciata e dire a tutti: è bello essere anziani! Sì, la vecchiaia si può vivere con pienezza e con gioia.
Certo, a condizione che si possa essere accompagnati, che si possa accogliere tra le proprie braccia un po’ d’amore, un po’ di compagnia, un po’ d’affetto.
Il loro canto è inconcepibile ed incomprensibile in una società ove quel che solo conta è la forza e la ricchezza, ove quel che solo vale è la soddisfazione individuale a qualsiasi costo, ove il solo ideale è vivere per se stessi; sebbene proprio da questa mentalità – ma è questa la tragica contraddizione che pure viene supinamente accettata e sostenuta dalla maggioranza – che nascono le violenze e le crudeltà della vita.

Questa pagina evangelica del “solenne incontro” tra un Bambino e due anziani rivela quanto sia piena e gioiosa la vita: il Bambino, il piccolo libro dei Vangeli, posto nelle mani e nel cuore degli anziani opera ancora oggi miracoli incredibili.
La fragilità della vita, anche quella che giunge con il passare degli anni, non è una condanna quando si incontra con l’amore e la forza di Dio.
Il Vangelo sa trarre energie nuove anche da chi il mondo sembra mettere da parte.
L’età anziana può essere motivo di una nuova chiamata: basti pensare al tempo che si ha per pregare per la Chiesa, per la propria comunità, per il mondo intero, per invocare la pace o anche per visitare chi ha bisogno, e comunque per testimoniare la speranza nel Signore.
Nessuno è escluso dalla gioia del Vangelo. 
E il miracolo che Gesù compie in chi lo accoglie tra le sue braccia.