Giovedì 24 marzo: XXX giornata di preghierae digiuno in memoria dei missionari martiri

Papa Francesco, nel suo magistero, ripete che «Sempre ci saranno i martiri tra noi: è questo il segnale che andiamo sulla strada di Gesù». Cristo stesso consola e prende in braccio chi soffre e versa il sangue mentre segue i Suoi passi. Possiamo domandare: come avete fatto a sopportare tanta tribolazione? Ci diranno quello che scrive nella seconda Lettera di Paolo ai Corinzi: “Dio è Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. È stato Lui a consolarci”. In loro anche la pazienza e l’assenza di rancore verso chi li tormenta non sono effetto di un rigido auto-controllo. Nascono come riverbero di un miracolo, segno della consolazione che Cristo stesso dona a chi soffre portando il Suo nome. Il martirio cristiano sgorga dalla vita di Cristo, operante nelle vite di uomini e donne. Il testimone missionario, come il martire, è colui che offre il proprio corpo, mette a disposizione la concretezza della propria condizione umana affinché in essa agisca e risplenda la grazia del Signore. Nel progressivo aumento del numero di Paesi e aree geografiche in cui viene sparso il sangue dei missionari, rimangono impressi soprattutto i cenni biografici delle singole vittime, e i racconti asciutti delle circostanze in cui hanno offerto il loro ultimo sacrificio. Lì si coglie con mano che la gran parte di loro sono stati raggiunti da morte violenta nella luminosa ordinarietà delle loro vite intrecciate alle vite degli altri, al servizio del bene di tutti, compresi – a volte – i loro stessi carnefici. Sono stati spesso uccisi da una rabbia e da una violenza senza ragione, da una ingratitudine che svela il mistero del male, come dice Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione”. (Gv 15, 25)