Infondemia. È una parola che nasce dall’unione di due: “informazione” ed “epidemia”.
È la malattia diffusa e contagiosa che colpisce le persone esposte a una quantità enorme di informazioni difficilmente controllabili o per la complessità del problema, o per la leggerezza con cui si divulgano notizie da fonti incerte o perché qualcuno diffonde intenzionalmente falsità, per ingannare, per leggerezza, megalomania, patologia, protagonismo, secondi fini. Il coronavirus e la guerra l’hanno scatenata, e noi siamo esposti sia a prendere la malattia sia a diffonderla. E non va bene, perché nell’infondemia la prima vittima è la verità e la seconda, terza, millesima siamo noi, confusi e dominati dalla paura. Eppure la
parola è cosa buona, è custode dell’essere; la parola essenziale, riportata all’origine, liberata dalle nostre manipolazioni, sciugata dalla retorica, diventa poesia, linguaggio del Divino. La parola è Dio. Il Verbo.
La Bibbia è un libro di libri che si occupano continuamente del potere buono e tremendo delle parole.
Dalla parola creatrice, nella Genesi, alla buona novella nel Nuovo Testamento. Il nostro Dio parla, alza la voce, consola, accoglie, ha parole d’ira e d’amore. La Bibbia conosce bene il pericolo rappresentato da parole pronunciate in modo sconsiderato. I libri dei Proverbi, della Sapienza e dei Salmi traboccano di raccomandazioni: “La bocca dello stolto è un pericolo imminente”; “Le labbra menzognere sono un abominio per il Signore”. Ma parlare si deve. I profeti sono inviati a parlare e a volte cambiano il corso della storia.
Gesù annuncia il Regno. Gli Apostoli sono mandati a predicare affinché le persone possano convertirsi al bene. Qual è la parola buona? Quale la voce giusta per il tempo nostro malato di infondemia?
Dobbiamo chiedercelo, perché davvero non si può tacere eppure parlare è molto difficile.
