Permettiamo alla Luce di entrare nella nostra vita

Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Così l’evangelista Giovanni ci ha introdotto nel mistero che abbiamo celebrato a Natale!
Il cuore della notte è abitato da una Luce. Il cuore della notte della nostra vita è abitato da una Luce.
Una luce che abbiamo contemplato nella vita di un bambino: il Verbo si è incarnato, Dio ha preso la carne di un uomo! E noi ci siamo radunati, nel cuore della notte di Natale, per vedere, vedere questa Luce.
Non è stata una notte di poesia; non è stata una notte di buoni sentimenti, di buoni propositi…
È stata una notte di mistero, una notte che ci ha chiesto di cambiare la vita: una notte che ci ha chiesto di diventare luce… Dio si è fatto luce per noi… Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita.
Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo.
La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza.
La risposta di Dio non è un discorso, non è un moltiplicarsi di parole… la risposta di Dio è la presenza di un uomo, la presenza di Colui che è la luce del mondo: non è una luce che mette fine alla notte, ma una lampada che illumina i passi. La risposta di Dio è Gesù che percorre un tratto di strada calcando la nostra stessa polvere, che abita un frammento del tempo abitando giorni ed ore della nostra storia, che parla con parole di uomo, e soffre con carne di uomo e muore con grido di uomo… ma in tutto questo Lui ama con il cuore di Dio! Ecco la buona notizia del Natale: il sorriso del bambino nella mangiatoia è preludio all’ultimo grido di Gesù sulla croce ed entrambi tornano a dirci “Io accendo la luce che illumina ogni uomo!” Questa è la risposta di Dio: l’Amore che ci raggiunge in Gesù! L’Amore che accende in ogni uomo e donna di buona volontà la piccola luce che basta per indicare il cammino e tenere viva la speranza.

Giornata della pace

Dal 1° gennaio 1968, la Chiesa cattolica celebra anche la Giornata mondiale della pace.
Lo scopo della Giornata è dedicare il giorno di Capodanno alla riflessione ed alla preghiera per la pace. La ricorrenza è stata istituita da papa Paolo VI con un messaggio datato 8 dicembre 1967 ed è stata celebrata per la prima volta il 1º gennaio 1968. Da quell’anno il Pontefice della Chiesa cattolica invia ai capi delle nazioni e a tutti gli uomini di buona volontà un messaggio che invita alla riflessione sul tema della pace.

«Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace» (Is 52,7).
Le parole del profeta Isaia esprimono la consolazione, il sospiro di sollievo di un popolo esiliato, sfinito dalle violenze e dai soprusi, esposto all’indegnità e alla morte.
Su di esso il profeta Baruc si interrogava: «Perché ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera? Perché ti sei contaminato con i morti e sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?» (3,10-11). Per questa gente, l’avvento del messaggero di pace significava la speranza di una rinascita dalle macerie della storia, l’inizio di un futuro luminoso.
Ancora oggi, il cammino della pace rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa.
Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace.
In ogni epoca, la pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso.
C’è, infatti, una “architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona. 

Maria Madre di Dio

Il 1° gennaio, Capodanno civile, si celebra la solennità di Maria Santissima Madre di Dio. Questo dogma (verità di fede) fu proclamato solennemente nel Concilio di Efeso dell’anno 431, dove venne affermata la natura umana e divina dell’unica persona del Verbo in Gesù Cristo e quindi venne affermata anche la maternità divina di Maria. Con questa festa viene indirettamente celebrata la conclusione dell’Ottava di Natale.

Qual è il significato teologico e spirituale di questa festa?

Nestorio aveva osato dichiarare: “Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi”; S. Cirillo di Alessandria però aveva replicato: “Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l’eternità… Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna”. Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria. È da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le vengono attribuiti, anche se possiamo fare tra la santità personale di Maria e la sua maternità divina una distinzione suggerita da Cristo stesso: “Una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!”.
Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”” (Lc 11,27s).
In realtà, “Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente”.  

Canto del “Te Deum”

È tradizione, alla fine di ogni anno, cantare nelle Chiese latine un antico inno, che inizia: Te Deum laudamus, te o Dio lodiamo. Questo inno esprime il culto di lode della Chiesa rivolto alla Trinità, anche se più direttamente al Padre, al creatore e reggitore dell’universo.
La Chiesa si unisce al coro degli angeli. Questo canto manifesta la fede della Chiesa e risuona degli inni di benedizione del popolo della Parola, anch’esso segnato nella quotidianità dal canto di lode e di benedizione: a questo popolo della Parola, il popolo della Parola fatta carne deve questa capacità di leggere il tempo e gli avvenimenti, anche quelli più dolorosi, nel mistero dell’amore di Dio, che non viene mai meno; nella solitudine, nella povertà; nella famiglia, nella propria terra o in esilio; anche lì dove ciò che sembra prevalere è l’egoismo dell’uomo, l’indifferenza, la durezza del cuore. Questo amore che accolto umanizza il cuore e rende l’uomo capace di donare la vita, consapevolmente o inconsapevolmente, come Cristo, diventa la nuova chiave di lettura di tutto.
La nostra comunità, alla fine di questo anno, cantando il Te Deum assume, spero, una consapevolezza: senza di Te, Signore, tutto è perduto. Non abbandonarci nella nostra precarietà ma volgi il Tuo Volto sulla nostra miseria. Aiutaci ad alzare lo sguardo e dilata la misura del nostro cuore perché accada un nuovo inizio, a partire da noi, a partire da ogni uomo. Lì dove il cuore indurito, lamentoso, accidioso, egoista, dell’uomo si scioglie accade una nuova alba, un nuovo inizio, splende una nuova luce di speranza: la tua luce, Signore. Per questo, a te che sei l’unica vera nostra speranza:
Te Deum laudamus, Te Dominum confitemur…non confundar in aeternum.

Buon anno

1° gennaio. Suona bene, perché davanti abbiamo una pagina bianca tutta da riempire.
Ha in sé il bello dell’intonso, del nuovo, delle mille possibilità che ci si dispiegano davanti quando abbiamo la sensazione di avere tempo. Quella percezione che pervade tutta la vita e che deve fare i conti con una congiunzione necessaria. Quello che è stato, che ben conosci e che non puoi più modificare, e quello che sarà, che non conosci ancora e che hai il desiderio di poter pianificare. Ogni volta che termina un anno e ne inizia uno nuovo mi pervade una briciola di nostalgia per tutte quelle cose che avrei voluto fare, e che non ho fatto. Ma poi c’è il buon proposito di “fare di più” o “fare meglio” e tutto sembra possibile. In realtà più che un proposito, mi piace che sia un progetto. E nei miei c’è sempre una cosa al primo posto. Vivere ogni istante del mio anno avendone piena consapevolezza. Amo il bello, la lentezza, la concretezza delle cose fatte per viverle davvero, e non semplicemente per dire che le abbiamo fatte, guardandole in una fotografia.

Il potere della calma e la forza dell’abitudine (2)

Non è forse vero che spesso siamo di fretta? Troppo, secondo me. E rincorrere l’onda perfetta distoglie dal piacere del vivere il presente. Ritengo che la vita vuole, ogni giorno, essere colma di buone abitudini, che facciano di ogni giorno un giorno vissuto nel segno dell’eccellenza.
Tre semplici consigli potrebbero concretamente rallentare il passo.
Valorizza la tavola (2). Mangiamo tutti almeno due volte al giorno.
Come lo facciamo fa una grande differenza. Non solo perché la salute passa anche dal piatto. Ma anche perché a tavola la famiglia si racconta, le idee si scambiano, la vita si svolge e crea una rappresentazione sua, meravigliosa, puntuale e quotidiana. Mangiare bene, insieme con calma significa vivere meglio.
Non aspettare: agisci (3). La tua vita può essere bellissima oggi, non un domani. Devi avere il coraggio di prendere parte all’azione. Troppe persone mi dicono di sentirsi schiavi della tecnologia (troppi messaggi, troppi social, troppe notifiche) del proprio lavoro o delle proprie incombenze.

Il potere della calma e la forza dell’abitudine (1)

Non è forse vero che spesso siamo di fretta? Troppo, secondo me. E rincorrere l’onda perfetta distoglie dal piacere del vivere il presente. Ritengo che la vita vuole, ogni giorno, essere colma di buone abitudini, che facciano di ogni giorno un giorno vissuto nel segno dell’eccellenza.
Tre semplici consigli potrebbero concretamente rallentare il passo.
Ascolta e osserva (1). Riuscire a farlo rende la vita speciale. Guardare la casa svegliarsi all’alba mentre la luce filtra dalle finestre. Ascoltare i propri pensieri, sentimenti fin dal primo mattino. Seguire i ragionamenti dei propri figli mentre li si porta da qualche parte e si raccontano con voce ininterrotta quello che è successo. Indagare nello sguardo dei figli adolescenti, quando si è soli con loro, e con i loro silenzi e poche parole, ma inconsapevolmente si confidano.
Dedicare del tempo al guardare le cose e a capire cosa significano per me.
Ascoltare le parole che ci vengono dette e curare quelle che io stesso dico, perché i pensieri diventano parole e le parole diventano azioni. Le azioni compongono la vita. Quindi: la vita dipende da noi e dai nostri pensieri. Ciò che si è, molto spesso, è il risultato delle proprie scelte.

Santa Famiglia (2)

La nascita di ogni bambino porta con sé qualcosa di questo mistero! Lo sanno bene i genitori che lo ricevono come un dono e che, spesso, così ne parlano. A tutti noi è capitato di sentir dire a un papà e a una mamma: “Questo bambino è un dono, un miracolo!”. In effetti, gli esseri umani vivono la procreazione non come mero atto riproduttivo, ma ne percepiscono la ricchezza, intuiscono che ogni creatura umana che si affaccia sulla terra è il “segno” per eccellenza del Creatore e Padre che è nei cieli. Quant’è importante, allora, che ogni bambino, venendo al mondo, sia accolto dal calore di una famiglia! Non importano le comodità esteriori: Gesù è nato in una stalla e come prima culla ha avuto una mangiatoia, ma l’amore di Maria e di Giuseppe gli ha fatto sentire la tenerezza e la bellezza di essere amati. Di questo hanno bisogno i bambini: dell’amore del padre e della madre.
È questo che dà loro sicurezza e che, nella crescita, permette la scoperta del senso della vita.
La santa Famiglia di Nazareth ha attraversato molte prove, come quella della “strage degli innocenti”, che costrinse Giuseppe e Maria ed emigrare in Egitto. Ma, confidando nella divina Provvidenza, essi trovarono la loro stabilità e assicurarono a Gesù un’infanzia serena e una solida educazione.
La santa Famiglia è certamente singolare e irripetibile, ma al tempo stesso è “modello di vita” per
ogni famiglia, perché Gesù, vero uomo, ha voluto nascere in una famiglia umana, e così facendo l’ha benedetta e consacrata. In questa domenica affidiamo pertanto a Gesù, alla Madonna e a san Giuseppe tutte le famiglie della nostra comunità parrocchiale, affinché non si scoraggino di fronte alle prove e alle difficoltà, ma coltivino sempre l’amore coniugale e si dedichino con fiducia al servizio della vita e dell’educazione.

Santa Famiglia (1)

Invito calorosamente tutti quanti, non solo a partecipare alla Messa Festiva, ma in questa circostanza,
ad esserci con i propri familiari, insieme, (papà, mamma, figlio, figlia o figli).
Penso sia un bel segno e una bella occasione da non perdere.

Il Vangelo secondo Luca racconta che i pastori di Betlemme, dopo aver ricevuto dall’angelo l’annuncio della nascita del Messia, “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. Ai primi testimoni oculari della nascita di Gesù si presentò, dunque, la scena di una famiglia: madre, padre e figlio neonato. Per questo la Liturgia ci fa celebrare, nella prima domenica dopo il Natale, la festa della santa Famiglia. Quest’anno essa ricorre proprio all’indomani del Natale e, prevalendo su quella di santo Stefano, ci invita a contemplare questa “icona” in cui il piccolo Gesù appare al centro dell’affetto e delle premure dei suoi genitori. Nella povera grotta di Betlemme rifulge una luce vivissima, riflesso del profondo mistero che avvolge quel Bambino, e che Maria e Giuseppe custodiscono nei loro cuori e lasciano trasparire nei loro sguardi, nei gesti, soprattutto nei loro silenzi. Essi, infatti, conservano nell’intimo le parole dell’annuncio dell’angelo a Maria: “colui che nascerà sarà chiamato Figlio di Dio”.

Buon Natale (2)

In fondo, celebrare il Natale vuol dire decidersi per una scelta fondamentale, irrevocabile, che ha poi ripercussione su tutte le altre scelte: quella della realizzazione dell’umanità, di ogni uomo. Quando si chiede a un bambino: «Che cosa farai da grande?». Difficilmente il bambino risponde: «Voglio diventare un uomo!». Il Natale ci racconta il mistero di Dio che si veste di umanità. L’uomo ha bisogno di andare con umiltà a Betlemme per ritrovare sé stesso, perché mai come ora è messa in discussione la verità circa la persona umana. Gesù è la luce che rivela il senso del rapporto con Dio, con gli altri, con sé stessi e con il creato. La luce della fede aiuta ad andare oltre una ragione che si è autolimitata a misurare il verificabile e consente alla libertà di aderire intimamente al bene. L’essenziale non è cosa ci ha portato, ma cosa siamo disposti a recepire da questo Natale. Dio diventa persona umana perché noi, finalmente, impariamo a riconoscere la nostra origine e la nostra mèta. Deve essere splendida la vita e grande la nostra dignità, se Dio assume la fragilità della nostra condizione umana! Ecco perché è festa per tutti, oggi.
Anzi i frutti del “Festeggiato”, Gesù, si estendono a tutto il genere umano: nessuno è più solo e in balìa del presente! Nei pensieri per la crisi economica, nel conformismo delle spese, nella gioia del ritrovarci con i nostri cari, sapremo “aprire le porte” al Signore che viene?