Il cieco nato (3)

Ma l’azione di Dio sul cieco non è tutto perché la guarigione è sì opera della mano di Cristo, ma anche della docile accoglienza dell’uomo. Il Maestro, infatti, con i suoi gesti, non priva il cieco della libertà di scegliere la salvezza ed accoglierla con consapevolezza, perché non decida il bene dell’uomo senza che questi lo voglia. La guarigione è sempre un dono da accogliere con piena volontà e totale abbandono, non la si può imporre. Colui che ti ha creato senza di te – insegna sant’Agostino – non può salvarti senza di te. La presenza di Cristo medico deve essere scelta. È necessario scegliere Dio nella propria vita, perché l’essere cristiani è sì un suo dono gratuito, ma è anche frutto della nostra libertà di optare per Lui e di vivere nella sua alleanza. La sua amicizia è dono e responsabilità sempre. Dio è onnipotente in noi, ma solo se noi gli permettiamo di esserlo.

Il ricco epulone

Questa domenica ci confronteremo, non con un episodio evangelico, ma con una parabola. Essa suppone una visione del mondo che noi chiamiamo “verticale”, cioè un mondo visto come un insieme, composto da una parte superiore identificata con il cielo, da una parte mediana, identificata con la terra e da una parte inferiore identificata con il regno dei morti. All’interno di questa visione verticale del mondo, i passaggi da una zona all’altra – possiamo dire da un emisfero all’altro – sono molto liberi.
In questo schema cosmologico c’è un movimento continuo dall’alto in basso e il punto in cui la parte superiore e la parte inferiore si incontrano, sembra identificarsi proprio con la parte mediana, che noi chiamiamo “terra dei viventi”. Tenere presente questo mondo culturale mentre leggeremo insieme questa parabola è molto importante.
Il contesto culturale moderno con la nuova visione dell’universo, non ci permette più di vedere il mondo distribuito lungo quest’asse perpendicolare di cielo, terra e abisso.
Siamo piuttosto portati a vedere un mondo in continua espansione, in continuo movimento, verso un al di là delle frontiere che abbiamo conosciuto dando per scontato che queste frontiere arretreranno sempre all’infinito, ma mano che sono raggiunte da noi.

Il cieco nato (2)

La prima cosa che notiamo alla lettura del brano evangelico è l’iniziativa di Gesù. Il Maestro, infatti, non consulta l’uomo, non solo non chiede se vuole essere guarito, dal momento che, cieco dalla nascita, non può sapere cosa sia la luce e neppure desiderarla. Questo sottolinea quanto la salvezza sia dono totalmente gratuito di Dio per l’uomo. Difatti, non richiesta e neppure voluta, la guarigione è il segno di quanto Cristo abbia a cuore il nostro bene, di come si preoccupi delle situazioni problematiche che viviamo. Gesù non può attendere che il cieco formuli la sua richiesta perché si è ormai abituato alla sua situazione di infermità e neppure si pone il problema che ci possa essere per lui una possibilità di guarigione. Il primato quindi è della grazia, dell’amore di Cristo che rompe il grigiore di una vita senza speranza e rimette in circolo una gioia mai pensata come possibilità attuabile. Ecco il Dio che fa cose stupende, che compie meraviglie nelle situazioni limite dove l’uomo non ha più nulla da sperare ed attendere. Da questo impariamo che per il cristiano non esiste e non può esistere la rassegnazione perché il discepolo di Gesù è l’uomo della consegna e dell’abbandono, non della rassegnazione, che non è mai la resa incondizionata che l’amore genera, ma il desiderio fallito di avere la meglio.
Dio è onnipotente nel suo amore, la sua parola può ricreare, la sua mano riplasmare.
Da questo nasce e rinasce la speranza e la gioia del discepolo.

Il cieco nato (1)

Siamo giunti alla domenica detta “Laetare” (cioè “Rallegrati”); la luminosità della Quaresima qui si fa esplicita; la Quaresima è “tempo di radiosa tristezza”, tristezza per i nostri peccati e luce per la grazia che ci viene offerta dall’amore gratuito di Dio che viene a cercarci nelle nostre tristezze, nei nostri abissi, nelle nostre tenebre; la radiosa tristezza ci è offerta in questa domenica perché il segno del Cieco nato, il racconto evangelico, ci indica Gesù come luce per il mondo e la sua Pasqua, ormai vicina, come “luogo” in cui per sempre questa luce vince le tenebre!
In questo tempo che pare così oscuro, colmo di paure di solitudini, colmo del pensiero che l’emergenza che viviamo mette in pericolo tutto il nostro quotidiano, le nostre relazioni, i nostri progetti, le nostre gioie, abbiamo bisogno di rallegrarci in modo evangelico, rallegrarci cioè per Cristo e la sua vittoria. Questa è certa, Lui ha già vinto! Questo non lo dobbiamo dimenticare; credo che sia inganno del maligno farci credere che le tenebre stanno vincendo o possono vincere.
Da parte nostra, che di questa luce siamo custodi, resta un compito: pregare, sperare, amare e comunicare speranza al mondo; dobbiamo pregare per tenere ancor più collegato questo mondo disorientato alla fonte della luce e della vita, ribadendo la nostra fede nella vittoria di Cristo, dobbiamo sperare perché la speranza è via per il futuro di Dio nelle nostre vie, dobbiamo continuare ad amare perché l’amore è quello che sulla croce ha condotto l’umanità, in Cristo, alla vittoria.

24ore per il Signore

Venerdì 17 marzo e sabato 18 marzo 2023 ricorre il decimo anno dell’iniziativa “24 ore per il Signore”, occasione propizia per riscoprire, rivalorizzare il sacramento della Riconciliazione.
La “24 ore per il Signore” cade in Quaresima, che è tempo di grazia per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio e occasione per ritagliarsi tempo e spazio per meditare sul mistero della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù.
La Quaresima sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio.
Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia.

Via Crucis in Mortorino

La Via Crucis è esperienza di dolore, percorso che giammai si fa da soli perché siamo dentro una carovana umana, ma è anche incontro di vite profumate, sebbene la carne è ridotta a brandelli e il volto si mostri sfigurato dalle violenze.
Proviamo a guardare in faccia il dolore dell’umanità, tra pandemia e guerre, tra violenze urbane e violenze sociali, tra solitudine collettiva e paure. Lasciamo che almeno una parte di noi si confronti con questo dolore o, come sarebbe meglio dire, lasciamo che la nostra vita sia come un campo di battaglia su cui si combattono le contraddizioni del nostro tempo.
Cristo Gesù, nella sua tenerissima carne, è stato come un campo di battaglia, un altare sul mondo, perché gli egoismi, le violenze, le idolatrie che dilaniavano i cuori e i volti di tanti uomini e donne potessero trovare ospitalità da qualche parte, uno spazio, un altare su cui combattere e placarsi. Noi, piccoli uomini, come una sola piccola anima, siamo invitati a divenire, proprio nella contemplazione spaventosa della violenza e del dolore di tanta parte di umanità, spazio interiore accogliente, camera ospitale per i drammi dell’umanità, altare dove l’irriconoscibile umano possa essere trasfigurato in bellezza dall’amore.
Le vie della croce, quella di Gesù Cristo e quella di tanti poveri cristi, ci ricordano che se l’infinito dolore di un bimbo violato, di una donna uccisa o di un uomo umiliato non allargano le pareti del cuore e non ci rendono più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, non solo è una opportunità perduta ma segna l’apice dell’imbruttimento dell’umano.

La Samaritana (2)

Anche noi sentiamo il bisogno di acqua fresca, acqua che disseta, acqua pura. Anche noi, come la Samaritana al pozzo, ci sentiamo delusi, preoccupati, impauriti e anche spaventati. Anche noi oggi, come la Samaritana, andiamo ad abbeverarci nel momento meno affollato della giornata, lei per paura di incontrare le persone e di essere giudicata e noi per paura di un incontro che possa contagiare. Andiamo al Pozzo, luogo dell’incontro per eccellenza e non c’è nessun altro oltre il Signore … “Dammi da bere”, il Signore oggi ci parla nella nostra piazza deserta, parla a ciascuno di noi e, come avvenuto con la Samaritana, ci chiama per nome, al di là della nostra storia, dei nostri peccati, delle nostre debolezze, fragilità e sofferenze …
“Come mai chiedi da bere a me?” L’incredulità della Samaritana è la nostra, ma il Signore non esita. Ci richiama e ci interroga, ci sfida ad addentrarci nel vivo di quanto stiamo vivendo.
In questo brano ci pare di sentire forte il richiamo anche per noi, “Ascolta…fidati”, «Sono io, che parlo con te» … In questa Quaresima il Signore ci dice “vieni alla Sorgente, al Pozzo e riempi la brocca” … La Samaritana è la rappresentazione di ognuno di noi quando ci rassegniamo a una vita quotidiana, quando ci accontentiamo della nostra fatica di attingere acqua del pozzo per
una giornata e basta; quando ci infastidiamo di richieste che ci scomodano; quando giudichiamo; quando ci affanniamo con supponenza a voler risolvere le nostre cose pensando di essere sufficienti a noi stessi. Proprio in questo momento il Signore viene; ci porta oltre la nostra quotidianità e la nostra banalità e ci invita ad andare oltre noi stessi, a trovare il meglio di noi.
Anche noi abbiamo tante domande da porre …! La Quaresima è il tempo opportuno per guardarci dentro, far emergere i nostri bisogni spirituali più veri e chiedere l’aiuto del Signore nella preghiera. In questo tempo di Grazia ci pare che il Signore ci chiami a restare ancora più vicini a Lui. Un’opportunità? Forse sì! Questa occasione ci aiuti a rinnovarci e convertirci nel profondo e a
ritrovare una fede ancora più forte.

La Samaritana (1)

La terza domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenterà l’incontro di Gesù con la donna di Samaria. Il luogo dell’incontro, dell’evangelizzazione è il Pozzo: le profondità del nostro cuore dove sappiamo essere deposta, fresca e fremente, una promessa di felicità, la nostra promessa di felicità: ciò che inqueta il nostro cuore, ciò che lo fa vibrare e sperare.
Un pozzo: nel brano del Vangelo è il pozzo che Giacobbe aveva scavato per la sua famiglia e il suo bestiame. Nella nostra vita c’è sempre un dono tramandato, un dono che qualcuno ha pensato per chi gli sarebbe succeduto nel tempo, per i suoi figli e i figli dei figli…
Un pozzo è un potenziale in grado di dissetare: l’unica discriminante è avere di che attingere. Il bisogno (tragico) nel bisogno è quello sperimentato da chi è sì al pozzo, ma non ha un’anfora da calarvi. Dio si presenta così com’è: forse ci sembrerà scandaloso, ma non ha ciò che gli permetterebbe di attingere alla nostra acqua! Dio non fa irruzione nella nostra intimità.
Si siede e attende che arriviamo, vive senza vergogna quel che noi spesso non sappiamo fare: tende le mani e chiede “Dammi da bere”. L’inizio della nostra relazione con Lui è il suo desiderio bruciante: il suo “bisogno di noi”. Ha sete di renderci giustizia, di restituirci alla dignità di figli, ha sete di riversare in noi il suo Spirito come acqua copiosa, come speranza che non delude.
Non sempre riusciamo a dare alla nostra sete il suo vero nome, non sempre riusciamo a capire di che cosa abbiamo davvero sete e ci illudiamo di aver trovato una nuova oasi nel deserto. Dio ci attende non nell’oasi, ma al nostro pozzo. Perché? Perché abbiamo bisogno di adorare: di baciare (adorare significa stare bocca a bocca) lo Sposo giusto, non l’ennesimo amante che delude il nostro desiderio profondo di pienezza, di quell’amore stabile e sempre nuovo che regge ogni urto. Quali desideri giacciono in fondo al tuo pozzo? Di che cosa hai sete?

La via Crucis

La Via Crucis: questa forma di meditazione ci aiuta non solo a ricordare le sofferenze di Cristo, ma a scoprirne, in qualche misura, la profondità, la drammaticità, il mistero, sommamente complesso, dove il dolore umano nel suo più alto grado, il peccato umano nella sua più tragica ripercussione, l’amore nella sua espressione più generosa e più eroica, la morte nella sua più crudele vittoria e nella sua definitiva sconfitta… acquistano l’evidenza più impressionante. Chi cammina spera. Chi non cammina più è stanco o disperato.
Il cammino della croce è il “cammino della speranza”, perché è un cammino sulle orme di Cristo, in compagnia di Maria, “pellegrina della fede” e Madre della speranza. Il nostro è un “cammino difficile”, è l’Esodo, è il cammino della Croce. È sicuro il “punto di partenza”: l’amore di Dio che ha portato il Figlio sulla Croce. È sicuro il punto di arrivo: la gloria della risurrezione. La Via Crucis è un “camminare” e sostare: per contemplare, pregare, riposarsi in Dio e riprendere fiato, per camminare ancora fino al traguardo. In Dio. Per camminare sulle orme di Cristo servono le tre virtù teologali, le “tre figlie di Dio”: la fede che è “sposa fedele”, la carità che è “madre feconda e generosa”, ma soprattutto, la speranza, la “sorella piccolina”, che “trascina tutto” e ci aiuta a “varcare la soglia” in Cristo.

La parola all’arte: Viandante sul mare di nebbia

1818 – Caspar David Friedrich—Hamburger Kunsthalle di Amburgo

Questo dipinto è una delle opere più rappresentative della pittura romantica e pur essendo utilizzato nei più svariati contesti conserva sempre un fascino straordinario! Soffermiamoci sul protagonista di questo dipinto: un uomo in piedi, di spalle, che osserva il paesaggio dall’alto di un monte: un viandante che porta appunto già nel nome l’idea del percorso, di una ricerca senza fine che si perde nei misteri della vita. Il viandante è come sospeso in un momento magico e mistico in cui perdendosi nella contemplazione del paesaggio si immerge in una complessa meditazione sull’uomo, sulla natura, sull’infinito, su Dio. La sua postura però non indica una statica contemplazione del paesaggio, quanto la sosta necessaria per “studiare la prossima mossa”. Un uomo di spalle, senza volto, perché ognuno di noi è il viandante sul mare di nebbia; ognuno di noi è quel viandante che pur ammirando il paesaggio che lo circonda sta cercando di capire da che parte andare. Le tre dimensioni del tempo sono racchiuse in questo dipinto: il viandante è il presente che vive, che osserva; il passato è la roccia scura, la salita che lo ha portato fino a lì; il futuro è il mare di nebbia ai suoi piedi, la foschia che aleggia sul cammino che lo attende. Ma il suo sguardo, oltre la nebbia, si posa sui monti visibili in lontananza, su un altro panorama da contemplare, sulla meta da raggiungere! Il viandante è desiderio, speranza, coraggio, è il senso di paura mista a determinazione, è la difficoltà e il suo superamento.
Quel viandante rappresenta il senso della vita, è l’intuizione della silenziosa presenza di Dio.
Il viandante dovrà scendere dal monte per proseguire il cammino, affrontare e superare nebbie ed ostacoli, ma ha già scorto la meta e sa di non essere solo nel suo viaggio!