Sant’Antonio, Abate, eremita e patrono degli animali

Sant’Antonio abate, uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250, a vent’anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni: morì, infatti, ultracentenario nel 356.
Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l’Oriente.
È festeggiato in tutta Italia, da Nord a Sud, con la benedizione degli animali e l’accensione dei falò. 
Perché il suo culto è associato all’allevamento dei maiali? Nel 561 fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono un lungo viaggiare nel tempo, da Alessandria a Costantinopoli, fino in Francia nell’XI secolo a Motte-Saint-Didier, dove fu costruita una chiesa in suo onore. In questa chiesa a venerarne le reliquie, affluivano folle di malati, soprattutto di ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segala, usata per fare il pane. Il morbo era conosciuto sin dall’antichità come “ignis sacer” per il bruciore che provocava. Per ospitare tutti gli ammalati che giungevano, si costruì un ospedale e una Confraternita di religiosi, l’antico Ordine ospedaliero degli Antoniani. Il Papa accordò loro il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade, nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento. Il loro grasso veniva usato per curare l’ergotismo, che venne chiamato “il male di s. Antonio” e poi “fuoco di s. Antonio”; per questo nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi fu considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla.
Nel giorno della sua festa liturgica, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici.

Gesù è il Figlio che dà soddisfazione al Padre

La parola “battesimo” è greca e vuol dire “immersione”; “battezzare” significa “immergere”.
Giovanni Battista aveva proposto questo gesto penitenziale: una immersione nelle acque del Giordano. Era un gesto con cui le persone si umiliavano davanti a Dio. Scendere nell’acqua, andare sott’acqua vuol dire “morire”. È un modo per dire: “Abbiamo l’acqua alla gola, stiamo annegando, da soli non ci salviamo”. Giovanni Battista diceva alla gente: “Riconoscete che avete bisogno di essere salvati, immergetevi in segno di penitenza, chiedere al Signore che intervenga per aiutarvi!” E molta gente andava a compiere questo rito penitenziale. Anche Gesù si è messo in fila con i peccatori ed ha accettato questo rito. Gesù si è umiliato in quel momento. Pensate: il Signore del cielo e della terra, il padrone di tutto … è nato bambino in una situazione di semplice povertà, ma anche da grande è rimasto nascosto in mezzo a tanta altra gente. C’era tantissima gente intorno a Giovanni Battista e Gesù era uno come gli altri: non ha voluto emergere per farsi vedere, ma si è messo alla pari degli altri e con umiltà è sceso nelle acque. È sceso. “Scendere” vuol dire “accettare” anche l’umiliazione: è il contrario di alzarsi, di alzare la testa, di emergere, di farsi vedere come i più importati. Noi spesso abbiamo questa voglia istintiva di emergere, di farci notare, di attirare l’attenzione. Da Gesù impariamo invece un atteggiamento di abbassamento, di umiltà; e mentre è raccolto in preghiera succede qualcosa: si aprono i cieli e si sente una voce. È la voce di Dio Padre che si rivolge diretta a Gesù e gli dice: “Tu sei il Figlio mio, l’amato; in te ho posto il mio compiacimento”.
È una rivelazione straordinaria: Dio fa sentire la sua voce.
Da Nazareth al Giordano ci sono centinaia di chilometri, quindi non è passato di lì per caso, ci è andato per mettersi insieme ai peccatori e in quel momento, dopo l’immersione, Dio Padre si fa sentire. È la prima volta che nel Vangelo si dice che la voce di Dio entra nella storia – ed è rivolta a Gesù: “Tu sei mio Figlio, tu sei l’amato; io ti approvo, hai tutta la mia stima, il mio favore, mi piaci”. Pensate quale bella parola!
È un complimento straordinario che un genitore può fare al figlio, ad un figlio adulto e maturo, di trent’anni: non è un banale complimento a un bambino! Pensate la soddisfazione di un genitore che può dire ad un figlio di trent’anni: “Tu sei il mio compiacimento, hai tutto il mio apprezzamento, mi hai dato soddisfazione”. Gesù è il Figlio che dà soddisfazione al Padre: ha il suo consenso pieno, il suo apprezzamento.
Noi oggi con il linguaggio moderno dei social diremmo: “Mi piaci”. Non è un banale pollice alzato, è un riconoscimento grandioso. Dio Padre dice a Gesù: “Tu sei il Figlio che ci vuole, mi piaci”.
Nel Battesimo anche noi siamo figli di Dio … siamo figli che danno soddisfazione al Padre?
Siamo diventati figli, uniti a Gesù che è il Figlio, siamo diventati cristiani uniti al Cristo … viviamo una vita da figli? Siamo imitatori di Cristo? Abbiamo Gesù come nostro modello di vita? Vogliamo che sia cosi! Gesù è il nostro ideale! Vogliamo crescere, vogliamo vivere, vogliamo fare tutto avendo Gesù come ideale di vita, come modello da seguire: Lui è il Figlio che piace, noi vogliamo essere figli che piacciono a Dio Padre. Vogliamo avere il suo gradimento: non quello del mondo, non ci interessa l’approvazione degli
uomini, della società e delle mode, ci interessa l’approvazione di Dio. È una scelta molto importante.
Scegliere di seguire Gesù nella vita, di crescere come Lui, vuole dire “avere Lui come modello”; ci vede e ci segue e ci accompagna ogni momento della nostra vita in tutto quello che facciamo, in tutto quello che diciamo, in quello che pensiamo è presente dentro di noi e ci conosce nell’intimo, meglio di come noi conosciamo noi stessi. Vogliamo piacergli, vogliamo che possa dire: “In te ho posto il mio compiacimento”. Questa espressione è la stessa parola che adoperano gli angeli quando annunciano la “pace in terra agli uomini della benevolenza”. È un termine difficile da tradurre e quindi si rende con termini diversi.
Gli uomini sono oggetto della benevolenza di Dio; Dio vuole bene all’umanità, ma l’uomo a cui vuole più bene è il Figlio Gesù: “Tu sei veramente il Figlio in cui io trovo compiacimento; mi piaci, sei veramente l’uomo che ho sempre sognato”. E noi – nella nostra umanità – vogliamo imitare Gesù, vogliamo essere come Gesù: solo se siamo come Gesù, saremo veramente uomini e la nostra vita sarà realizzata.
Vogliamo piacere a Dio: vogliamo essere in tutto come Gesù!

Giovedì eucaristico

L’evangelista Matteo sottolinea che i Magi, quando giunsero a Betlemme, «videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono». Adorare il Signore non è facile, non è un fatto immediato: esige una certa maturità spirituale, essendo il punto d’arrivo di un cammino interiore, a volte lungo. Non è spontaneo in noi l’atteggiamento di adorare Dio. L’essere umano ha bisogno, sì, di adorare, ma rischia di sbagliare obiettivo; infatti, se non adora Dio, adorerà degli idoli – non c’è un punto di mezzo, o Dio o gli idoli, o per usare una parola di uno scrittore francese: “Chi non adora Dio, adora il diavolo” –, e invece che credente diventerà idolatra. Nella nostra epoca è particolarmente necessario che, sia singolarmente che comunitariamente, dedichiamo più tempo all’adorazione, imparando sempre meglio a contemplare il Signore. Si è perso un po’ il senso della preghiera di adorazione, dobbiamo riprenderlo, sia comunitariamente sia nella propria vita spirituale.  Chiediamo al Signore la Grazia di avere cristiani che desiderano prostrarsi e adorare il Signore. Adorarlo sul serio, non come ha detto Erode: “Fatemi sapere dov’è il posto e io andrò ad adorarlo”. No, questa adorazione non va.

Come investigatori ricerchiamo e riconosciamo il Signore

Epifania è una splendida parola greca che abbiamo conservato dall’antichità e, purtroppo, perché non la capiamo bene, l’abbiamo deformata, l’abbiamo fatta diventare befana; e il linguaggio corrente, aiutato dalla televisione e dal mondo del commercio, ha trasformato la festa dell’Epifania nel giorno della befana.
È un guaio, perché vuol dire perdere il senso della nostra fede. È necessario essere credenti intelligenti.
La festa della Epifania ci ricorda l’intelligenza della nostra fede, la necessità di capire quello in cui crediamo. Epifania vuol dire che il Signore si è fatto conoscere, si è manifestato. Il Signore invisibile si è fatto vedere da noi, noi lo abbiamo riconosciuto e questo riempie di gioia. I magi sono partiti da lontano e hanno riconosciuto in quel Bambino, in una povera casa di Betlemme, il Signore, il vero Re, il Salvatore dell’umanità. Il problema serio non è conoscere, ma riconoscere. Non ci arriviamo da soli con la nostra intelligenza a capire e a spiegare tutto, ma con l’intelligenza riconosciamo la presenza di Dio nella nostra vita. Ed è importante proprio questo impegno: riconoscere il Signore che è presente nella nostra esistenza. Non lo vediamo con gli occhi della carne, non lo sentiamo con le orecchie fisiche, eppure ci accorgiamo che è presente? Lo riconosciamo in qualche momento della nostra vita? Anche se non riusciamo a sentirlo presente sempre, ci sono dei momenti significativi in cui sentiamo che il Signore è presente, sentiamo che ha ragione, ci accorgiamo che è vero quello che ci ha detto.
Per aiutarci a comprendere questo senso, proviamo a immaginare il lavoro di un investigatore.
Quando avviene un delitto, si denuncia il fatto, ma non si sa come sono andate le cose. Bisogna trovare chi sia il responsabile: per mettere insieme i dettagli e gli indizi, ci vuole una ricerca, una investigazione, perché non è tutto così chiaro. Se uno non si impegna, non trova niente. Se invece c’è un investigatore che si impegna e ricerca con intelligenza, può scoprire come sono andati i fatti. In queste ricerche molte volte – tanti telefilm televisivi ci aiutano a pensare questo evento – la soluzione viene attraverso una intuizione: ad una certo momento si accede una luce, l’investigatore ha un attimo di illuminazione, gli viene in mente qualcosa che gli permette di ricostruire tutto. Nel linguaggio dei fumetti in genere c’è la lampadina che si accende. «I magi videro la stella e furono pieni di gioia». Col nostro linguaggio moderno potremmo dire che si è accesa quella lampadina – è una immagine di fede – si è accesa l’intelligenza e in un attimo hanno capito! Quando uno riesce a capire qualcosa di oscuro che stava ricercando, è pieno di gioia.
Perdonate il paragone negativo con l’investigatore in un caso di delitto, ma la nostra esperienza cristiana è proprio quella di investigatori che ricercano Dio. È lui che è venuto a cercare noi, eppure si nasconde, non è così apertamente visibile, ma c’è, opera, è presente nella nostra vita. Noi possiamo non accorgercene e fare come se niente fosse … oppure possiamo cercarlo, possiamo cercare la sua presenza, lasciarci illuminare dalle “sue lampadine” e riconoscerlo. Ogni volta che lo riconosciamo presente nella nostra vita siamo colmi di gioia, ci illuminiamo, perché sentiamo che quello che crediamo è vero. «Se lo senti, lo sai».
È importante sentire la presenza del Signore, riconoscerla! È importante usare l’intelligenza nella nostra vita di fede. Allora proprio in questa festa della intelligenza della fede, possiamo tranquillamente continuare a scherzare con la befana, con tutte le immagini che il mondo consumistico ci propone, ma non dobbiamo chiamarlo il giorno della befana … oggi è il giorno della Epifania, è l’Epifania del Signore nella nostra vita, è qualcosa di molto serio, non è una vecchia befana inventata dai commercianti, ma è la manifestazione di Dio e noi abbiamo bisogno di riconoscerlo.
Siamo venuti qui per adorarlo e per chiedere la luce, per riconoscerlo presente nella nostra vita.
Se lo cercate, lo troverete; se lo sentite, lo sapete; se lo riconoscete, siete persone contente, luminose.

Edith Stein: il Mistero del Natale

“E il Verbo si fece carne” Ciò è divenuto verità nella stalla di Betlemme. Ma si è adempiuto anche in un’altra forma. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Come il corpo terreno ha bisogno del pane quotidiano, così anche la vita divina aspira in noi ad essere continuamente alimentata. “Questo è il pane vivo che è disceso dal cielo” chi lo fa veramente il suo pane quotidiano, in lui si compie quotidianamente il mistero del Natale, l’incarnazione del Verbo. E questa è indubbiamente la via più sicura per conservare ininterrottamente l’unione con Dio e radicarsi ogni giorno sempre più saldamente e profondamente nel corpo mistico di Cristo.

Lungo è il cammino per passare dall’autocompiacimento del “buon cattolico”, che “compie i suoi doveri”, ma per il resto fa come gli piace, ad una vita che si lascia guidare per mano di Dio ed è caratterizzata dalla semplicità del bambino e dall’umiltà del pubblicano. Chi però l’ha imboccata una volta, non lo rifà più a ritroso: sarà un rivoluzionamento di tutta la loro vita interiore ed esteriore.

Dal Messaggio di papa Francesco per la Giornata della Pace

All’alba di questo nuovo anno donatoci dal Padre celeste, tempo Giubilare dedicato alla speranza, rivolgo il mio più sincero augurio di pace ad ogni donna e uomo, in particolare a chi si sente prostrato dalla propria condizione esistenziale, condannato dai propri errori, schiacciato dal giudizio altrui e non riesce a scorgere più alcuna prospettiva per la propria vita. A tutti voi speranza e pace, perché questo è un Anno di Grazia, che proviene dal Cuore del Redentore! Che il 2025 sia un anno in cui cresca la pace!
Quella pace vera e duratura, che non si ferma ai cavilli dei contratti o ai tavoli dei compromessi umani.
Cerchiamo la pace vera, che viene donata da Dio a un cuore disarmato: un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo.

Il disarmo del cuore è un gesto che coinvolge tutti, dai primi agli ultimi, dai piccoli ai grandi, dai ricchi ai poveri. A volte, basta qualcosa di semplice come «un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito». Con questi piccoli-grandi gesti, ci avviciniamo alla meta della pace e vi arriveremo più in fretta, quanto più, lungo il cammino accanto ai fratelli e sorelle ritrovati, ci scopriremo già cambiati rispetto a come eravamo partiti.
Infatti, la pace non giunge solo con la fine della guerra, ma con l’inizio di un nuovo mondo, un mondo in cui ci scopriamo diversi, più uniti e più fratelli rispetto a quanto avremmo immaginato.

Concedici, la tua pace, Signore! È questa la preghiera che elevo a Dio, mentre rivolgo gli auguri per il nuovo anno ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leader delle diverse religioni, ad ogni persona di buona volontà.

Lo stupore è la reazione davanti alle meraviglie di Dio

Gli eventi che accompagnano la nascita di Gesù provocano stupore in tutti coloro che ne ascoltano il racconto. Anche noi nel primo giorno dell’anno, che è ottava di Natale e conclude il grande giorno della Natività, osserviamo e meditiamo con stupore questi eventi che hanno segnato l’inizio della nostra salvezza. Celebriamo la divina maternità di Maria e contempliamo con meraviglia questa giovane donna, semplice e umile, è divenuta la «Madre di Dio». È questa una espressione straordinaria che hanno coniato gli antichi Padri della Chiesa, definendo Maria Theotókos, Colei che ha generato Dio, per sottolineare come nella persona di Gesù sia presente la divinità e l’umanità in modo indissolubile. Maria non ha generato solo l’uomo, ma ha generato la persona di Cristo che e Dio e uomo, quindi si può dire che ha generato Dio. È una affermazione strepitosa, che deve generare stupore. Di fronte a ciò che è straordinario noi possiamo porci in diversi modi: con l’atteggiamento critico di chi sorride, solleva le spalle e dice che non è vero; oppure con l’indifferenza di chi ascolta qualche cosa che è abituato ad ascoltare e quindi lo dà per scontato e lo considera abituale, quasi banale. Invece l’atteggiamento giusto è quello di chi guarda e medita queste cose con stupore: non riusciamo a capire, a spiegare, non rifiutiamo in modo razionalistico, non accettano in modo passivo … accogliamo con stupore. Siamo abituati a cambiare anno, a farci gli auguri immaginando che quello nuovo sia migliore di quelli passati; ma siamo anche un po’ smaliziati, sapendo che le cose non cambiano, che siamo sempre da capo, che la situazione resta quella di prima – cambiando il calendario non cambia la nostra vita – e rischiamo di portare questo atteggiamento disilluso anche nel mondo della fede, passando da una celebrazione all’altra, come banali abitudini che non toccano il nostro cuore né la nostra intelligenza. Vorrei invece invitarvi a fare un esercizio di stupore. Ripensate gli eventi che i pastori hanno udito e visto … essi li hanno raccontati producendo stupore in tutti coloro che ascoltavano. Torniamo a casa anche noi – all’inizio di quest’anno – stupiti per le meraviglie che il Signore ha operato e impariamo a stupirci delle cose belle, che ci sono adesso nella nostra vita, con cui il Signore si fa presente nella nostra esistenza. Impariamo lo stile di Maria che custodiva questa cose meditandole nel suo cuore. È importante custodire la Parola. Maria ha accolto la Parola di Dio e le ha dato carne, ha accolto con tanta profondità quella Parola che in lei la Parola si è fatta carne e l’ha custodita per tutta la vita. Non ha capito tutto all’inizio, ha peregrinato nella fede, comprendendo poco alla volta e custodendo la Parola, meditando nel proprio cuore quello che stava avvenendo. La meditazione di Maria è espressa dall’evangelista con un verbo greco che vuol dire mettere insieme. Luca dice che Maria faceva un’azione “simbolica”, cioè metteva insieme i dettagli. La meditazione è proprio questo: mettere insieme i tasselli per ricomporre il grande mosaico della nostra esistenza. Maria custodiva la Parola, il messaggio fondamentale che le era stato rivolto, e viveva giorno per giorno quei momenti straordinari che suscitavano stupore e li meditava, rifletteva e combinava insieme: mettendo insieme i vari pezzi, ha compreso il progetto di Dio. È quello che dobbiamo fare noi. Non possiamo capire dall’inizio che senso abbia la nostra vita … lo comprendiamo vivendo e col tempo che passa. Guardando indietro, noi possiamo mettere insieme tanti tasselli della nostra esperienza, non solo con la nostra esperienza, ma custodendo la Parola di Dio, quello che il Signore ci ha detto e ci ha promesso, insieme a quello che noi abbiamo vissuto e sperimentato. Mettendo insieme la Parola di Dio e la nostra esperienza, noi maturiamo nella fede, comprendiamo meglio il suo progetto, aderiamo a Lui. Ma l’atteggiamento di fondo che permette questo composizione è lo stupore: né il rifiuto né l’accettazione passiva, ma l’accoglienza meravigliata di qualche cosa che ci supera. Chi sa stupirsi, vede il bello e ne resta meravigliato; perciò si interroga e ricerca il senso, il motivo e la causa, e può così riconoscere la presenza di Dio. Nella nostra vita c’è un mistero più grande di quel che possiamo capire. Oggi torniamo a casa stupiti di quello che è la nostra vita, di quello che sarà il nostro futuro. Non lo prevediamo, non lo possiamo conoscere, ma lo viviamo nello stupore quotidiano di chi si fida del Signore, custodisce la sua Parola e la medita nel proprio cuore ogni giorno dell’anno … e questo dà senso e forza alle nostre opere e ai nostri giorni.