Pensieri per l’Avvento

Il nuovo anno liturgico è già iniziato. Stiamo infatti vivendo il tempo dell’Avvento.
Gli eventi dolorosi che hanno colpito il nostro mondo hanno semplicemente fatto emergere la nostra fragilità. Dal latino fragilis, ossia “che si può rompere, rovinare, spezzare”.
Proviamo a portare questa situazione dentro la nostra vita, nella nostra storia, nel nostro cuore.
La maggior parte dei problemi della nostra vita risiedono nell’incapacità di ammettere di fronte a noi stessi la nostra fragilità. Forse perché siamo figli di una storia scritta dai vincitori, forse perché ci siamo fatti travolgere dal mito della tecnica, dove efficienza, perfezione, competenza e prestazione sentenziano la riuscita, la qualità di un oggetto.
Ma io e te siamo altro. Io e te siamo esseri umani.
Quest’anno desidero avvicinarmi al Natale con tutte le mie fatiche, mi presenterò al Signore con tutta quanta la verità di me stesso.

Il presepe

Il presepe non è una semplice tradizione, ma è un piccolo segno di luce, quasi a ricordare che la nostra speranza è concreta, quotidiana, domestica.
Il significato spirituale della rappresentazione è dato dai simboli e dai personaggi che lo popolano.
Immancabile, ovviamente, la Sacra Famiglia, composta, prima della notte di Natale, solo da San Giuseppe e dalla Madonna, cui in seguito si aggiunge il Bambinello, la cui posa (braccia aperte e piedi incrociati) è figura futurorum della croce. Le tre statuine principali alloggiano dentro una stalla o una grotta, emblemi della povertà che accolse il Salvatore alla sua nascita. Il parto all’interno di queste strutture non è documentato nei Vangeli ufficiali, nei quali si dice solo che Gesù venne adagiato in una mangiatoia. Stesso discorso per il bue e l’asinello, di cui parla esplicitamente solo il profeta Isaia nel Vecchio Testamento: “Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone”. Immancabili i pastori, citati nei Vangeli, che rappresentano i poveri, primi destinatari del messaggio cristiano. Ma anche simbolo di Gesù “buon pastore” e, quindi, del “gregge” rappresentato dai futuri fedeli raccolti nella Chiesa. A essi spetta, dunque, il privilegio di poter assistere in presa diretta all’evento più importante della storia. La natura divina di Cristo viene annunciata da cori angelici. I messaggeri di Dio vengono solitamente posizionati in alto o in volo e indicano ai presenti la strada per raggiungere Gesù e la Salvezza. Infine troviamo i Magi, simbolo della manifestazione al mondo. Il loro ruolo è al contempo solenne e triste. Con L’Epifania, infatti, le feste natalizie terminano e nelle case il presepe viene smontato.

Grato di cuore
Colgo l’occasione per ringraziare e fare i complimenti alla squadra che anche quest’anno ha allestito il Presepe in Chiesa Parrocchiale. Sempre molto bello e significativo nella sua semplicità.
La mia gratitudine si estende al gruppo di uomini che costantemente prepara la Chiesa in maniera precisa, decorosa e con grande passione in occasione dei tempi liturgici, in diverse circostanze e per le molte celebrazioni. E per chi continuamente controlla che tutto sia sempre ben in ordine e ogni cosa al suo posto. Ringrazio anche le donne delle pulizie e chi cura gli arredi sacri.
La nostra Chiesa è sempre ben preparata per le celebrazioni grazie a tutte queste ammirevoli persone.

In cammino verso Betlemme (2)

Arrivati a Betlemme, «se invece di un Dio glorioso ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso».

Lo aveva affermato don Tonino Bello. Dobbiamo «valicare il pendio di una civiltà che, pur qualificandosi cristiana, stenta trovare l’antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la capanna povera di Gesù. Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, molto più faticoso di quanto lo sia stato per i pastori. I quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri di un bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti….
Noi invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostra sufficienza…per trovare chi?».
È un interrogativo che forse può dare nuovi significati alle celebrazioni dell’Avvento e del Natale di questo 2021. L’invito è per tutta la Comunità parrocchiale: andiamo a Betlemme, anche se è un cammino di fede e di conversione faticoso, difficile. L’importante è compierlo. «E se invece di un Dio glorioso ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di avere sbagliato percorso.
Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi della onnipotenza di Dio. Il Natale ci faccia trovare Gesù e, con Lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell’impegno storico»

Sussidi per l’Avvento

All’ingresso della Chiesa saranno disponibili due sussidi per vivere meglio il tempo dell’Avvento e del Natale. Uno, preparato dalla nostra Diocesi, con Parola di Dio, riflessione e preghiera per ogni giorno dell’Avvento. L’altro sussidio, edizioni san Paolo, con riflessioni per tutte le domeniche di Avvento e del tempo di Natale; novena Immacolata; rosario di Avvento in famiglia; novena del Natale; veglia nella santa Notte di Natale; rosario di Natale con la sacra Famiglia.

In cammino verso Betlemme (1)

Arrivati a Betlemme, «se invece di un Dio glorioso ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso».

In un contesto attuale quanto mai critico, che ci pone in una situazione di attesa e di speranza, ritorna il Natale, evento di grazia e forte invito a intraprendere, sull’esempio dei pastori, il nostro cammino di fede.
«I popoli immersi nelle tenebre videro una gran luce; una luce che rifulse su quelli che abitavano in terra tenebrosa», scrive il profeta Isaia nella previsione dell’evento meraviglioso che avrebbe donato al mondo il Figlio di Dio, «un germoglio dal tronco di Jesse» .
La luce che dal volto del neonato Salvatore rifulse nella grotta di Betlemme, invadendo di gioia innanzi tutto i cuori di Maria e di Giuseppe, è motivo di stupore per i pastori e oggi attrae quanti, ansiosi d’uscire da situazioni di crisi umane e spirituali, desiderano far ricrescere nell’animo un orientamento per la loro vita. Già Isaia aveva indicato a Israele, che nel dopo-esilio si trovava senza prospettive, una visione grandiosa
di speranza: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Cammineranno le genti alla tua luce». Il mistero della nascita del bambino Gesù,
avvolto in un’abbagliante luce divina, ha trasformato la storia umana in storia di salvezza.
L’immagine della strada ci sta accompagnando in questo anno pastorale. Betlemme, anche nel suo significato metaforico, è méta del nostro cammino di fede per incontrare un Dio che ha voluto incarnarsi nelle coordinate del tempo e dello spazio: un Dio che, dopo la sua nascita, è vissuto in mezzo al suo popolo rivelando un messaggio salvifico per l’umanità, e che dopo la sua morte, risorgerà per lasciare il segno della sua identità e della sua missione divina. In questo tempo di Avvento ripercorrere la strada verso Betlemme, come pellegrinaggio di conversione per raggiungere la grotta e adorare il Figlio di Dio forse è più arduo di quanto sia stato per i pastori.

L’adorazione, un consegnarsi di amanti

Davanti a Dio che si rivela, si fa conoscere, propone prospettive inaudite, l’uomo (come Mosé, Isaia, Maria…), comincia a balbettare, si arrende.
La Vergine, dice Luca, “rimase molto turbata”. È il turbamento di chi avverte l’abisso del proprio nulla da una parte e dall’altra rimane affascinato dalla grandezza di Dio che lo riempie e lo vuole esaltare. Non c’è ragionamento che tenga, c’è la resa incondizionata, c’è il silenzio, c’è il consegnarsi all’amato, c’è l’adorazione. Il modo migliore di adorare è consegnarsi, come avviene tra due amanti. L’atto supremo di adorazione per Gesù è stato quando ha detto: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”.

Dalla contemplazione e dalla conoscenza all’adorazione come comunione d’amore

Sfogliando un Dizionario etimologico, troviamo che la parola adorazione può derivare dal latino ad os (oris), “alla bocca”, gesto del baciare, perciò dell’amore; per questo i vocabolari indicano che adorare significa anche “amare con trasporto”, “amare con piena dedizione e con grande tenerezza”. L’adorazione nasce dalla gioia di percepire la grandezza di Dio non come di colui che ci opprime ma di colui che ci ama immensamente, dà senso alla nostra vita, diviene la pienezza di quello che siamo. Davanti a questa esperienza ci comportiamo come i bambini che aprono la bocca, portano la mano “alla bocca” (ad os) e poi rimangono così, senza parole.
L’adorazione fondamentalmente è questo stare davanti a Dio pieni di stupore, senza parole, senza pensieri, ma soltanto aprendoci e godendo dell’intimità con il Signore.
È questa l’adorazione del Verbo; dall’eternità egli è “rivolto verso il Padre”, quasi in un bacio eterno (ad os) he è lo Spirito. Egli introdusse questa adorazione nel mondo quando “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”; a coloro che, ieri e oggi, lo accolgono, egli dà “il potere di diventare figli di Dio”, partecipi perciò della sua stessa relazione con il Padre, della sua stessa adorazione. A questa luce è pienamente comprensibile l’espressione: “viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”. Il supremo gesto di adorazione del Verbo incarnato, questo “bacio” del Dio-uomo, trova la
massima attuazione e rivelazione sul calvario, quando viene innalzato sulla croce e attira a se chi crede in lui. Da allora coloro che “credono nel suo nome” e “da Dio sono stati generati”, partecipando del suo sacrificio, possono adorare Dio “in spirito e verità.

Il canto…

Gli Atti degli Apostoli così scrivono: “Ogni giorno, tutti insieme, frequentavano il tempio, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo”. Il canto da sempre è stato espressione di comunità. Insieme si canta lo stesso canto. Si può parlare in modi diversi e con parole diverse. Il canto rinsalda l’unione del gruppo. Quindi non cantare per cantare, non un fatto tecnico freddo, ma il canto racchiude tutte le diverse espressioni dell’uomo e del suo essere. Un cuore che canta, loda, è in festa e vive nell’amore.
Il canto è scuola di socialità che educa all’unione delle voci e dei cuori, alla comunione fraterna.
Il canto e la musica esprimono la comunità, favoriscono la fusione, danno fervore alla preghiera; essa, nella celebrazione, “acquista una espressione più gioiosa, il mistero della sacra liturgia e la sua natura gerarchica e comunitaria vengono manifestati più chiaramente, l’unità dei cuori è resa più profonda dall’unità delle voci, gli animi si innalzano più facilmente alle cose celesti e la celebrazione prefigura più chiaramente la liturgia che si svolge nella Gerusalemme celeste”.

Gesù Cristo Re dell’universo (3)

Gesù Cristo è re perché è Figlio di Dio e poiché, offrendo la sua vita, ci ha riscattati per Lui. Siamo suoi e il Suo regno non è di questo mondo perché non fonda sul potere, sul danaro, sulla tirannia, ma è un regno di libertà, la libertà dei figli di Dio; regno eterno e universale: di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di amore, di giustizia e di pace.
Dobbiamo rendere grazie a Dio poiché per la sua infinita bontà ci ha chiamati ad appartenere al Regno del Suo Figlio che noi proclamiamo nostro Re e Signore, che amiamo e obbediamo nella ferma speranza e nella gioia anticipata della eterna beatitudine. L’appartenenza al Regno di Dio e il riconoscimento della sua sovranità su di noi e sull’Universo ci obbliga a lavorare per
l’estensione di questo Regno, della sovranità di Dio e di Cristo poiché Egli sia conosciuto e riconosciuto come Re e Signore e l’umanità intera si costituisca come una sola famiglia.

S. Cecilia, patrona della musica, dei musicisti e dei cantanti

Cecilia nacque da ricchissima famiglia alle falde del Gianicolo, e quivi fra agi e comodità fu educata dai più rinomati maestri di Roma. Fattasi segretamente cristiana, andava ogni giorno più distaccando il suo cuore dalle cose terrene. Costretta a sposarsi, durante le feste del matrimonio, mentre tutti l’attorniavano per festeggiarla e cantavano inni pagani, essa in cuor suo cantava un cantico di amore al suo mistico e vero sposo, Gesù Cristo. Quando fu sola con Valeriano gli disse: «Sappi che io sono cristiana e già da molto tempo ho consacrato a Gesù tutto il mio cuore… Egli solo è il mio sposo, e tu devi rispettare il mio corpo, perché io ho sempre vicino a me un Angelo del Signore che mi custodisce e mi difende».
Valeriano non solo promise di custodire intatta la purezza della sua castissima sposa, ma si fece ferventissimo cristiano ed istruì e fece battezzare anche suo fratello Tiburzio. Continuava intanto la persecuzione: Valeriano ed il fratello Tiburzio furono decapitati, mentre Cecilia fu condannata a morire asfissiata nella sua stessa camera da bagno. I soldati eseguirono l’ordine, ma aperta la camera dopo un giorno e una notte trovarono la Santa sana e salva come se avesse respirata aria purissima. Comandò allora Almachio che un littore le troncasse il capo. Andò il littore, vibrò ben tre colpi, ma non riuscì a staccare completamente la testa dal busto, per cui terrorizzato si allontanò lasciando la Santa in una pozza di sangue.
I fedeli accorsi, raccolsero con pannolini il sangue della Martire, come preziosa reliquia e soccorsero Cecilia che visse ancora tre giorni, pregando ed incoraggiando gli astanti ad essere forti nella fede.
Finalmente, consolata dal Papa Urbano a cui donò la propria casa affinché fosse trasformata in chiesa, placidamente spirò, e andò a cantare eternamente le lodi al suo amato sposo Gesù.

Santa Cecilia è nota per essere la patrona della musica un’affiliazione che le è stata attribuita grazie ad un brano della Passio nel quale, descrivendo il suo matrimonio si dice: «Mentre suonavano gli strumenti musicali, la vergine Cecilia cantava nel suo cuore soltanto per il Signore, dicendo: Signore, il mio cuore e il mio corpo siano immacolati affinché io non sia confusa». Fu così che da questo canto le venne attribuito l’appellativo di patrona della musica.

Gesù Cristo Re dell’universo (2)

La solennità di Cristo Re indica che Gesù  il Figlio di Dio é: il Re e Signore della Storia; un Re vicino a ognuno di noi; un Re che si fa amico, fratello, padre, sposo di ogni anima che cerca consolazione, perdono, amicizia, amore.
Gesù Cristo è Re e Signore perché come Figlio di Dio, in Lui e per Lui sono state create tutte le cose: quelle del cielo e quelle della terra; in Lui si fonda l’Universo e tutto sarà ricapitolato in Lui: cioè, tutto sarà consumato e concluso in Cristo; la creazione stessa geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto attendendo la sua consumazione, quando tutto sarà posto ai piedi del suo Signore e anche l’ultimo nemico – la morte – sarà annientato, giacché è già stata vinta dalla morte e risurrezione del Signore.
Proprio la morte e risurrezione di Gesù Cristo costituiscono altro titolo della sua regalità e signoria, poiché ci ha riscattati, ci ha acquistati al prezzo del suo sangue dando inizio alla sua vittoria che un giorno sarà definitiva.