La prudenza

Ecco un modo di rappresentare la virtù della Prudenza: una scultura a tre facce, ognuna delle quali guarda in una direzione diversa. Perché mai questa immagine rappresenta la Prudenza? La Prudenza è proprio la virtù di colui che sa vedere bene, in tutte le direzioni.

“Gesù disse: “Ecco io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”

La Prudenza è una virtù da non confondere con la paura: non è la virtù di chi ha paura, di chi, per la fifa, non fa qualcosa perché non vuole rischiare; il sottile calcolo: non è la virtù di chi calcola tutto e solo la massima sicurezza la fa agire.

La Prudenza è una virtù contro: La precipitazione: è la situazione di chi fa in maniera avventata, di fretta, senza consiglio; La sconsideratezza: è la situazione di chi fa senza pensare, senza considerare, senza giudizio. Gesù stesso invita i suoi discepoli a fare bene i calcoli (cfr. Lc 14,25-33).

Come diventa ridicolo chi parte per costruire una torre e poi si ferma a metà perché non ha più mezzi, come diventa ridicolo il generale che parte in guerra con la metà degli uomini necessari per fare una battaglia, così si diventa ridicoli se si progetta un’impresa e si fanno i calcoli sbagliati. È prudente chi sa fare bene i calcoli prima di intraprendere un’impresa. La parabola va più in là. L’impresa a cui Gesù fa riferimento è andarGli dietro: “Fai bene i tuoi calcoli quando ti metti dietro a me”, sembra dire Gesù. Gesù sta raccontando di chi vuole essere Suo discepolo e non fa bene i calcoli cioè non si rende conto di che cosa sia necessario per seguirlo. Potremmo dire: il conto che devi metterti a fare quando ti metti dietro a Gesù è quello che non devi fare i calcoli in ciò che dai.

Di fronte a una scelta da fare …

L’impulsivo o il passionale: non sceglie, agisce in base all’impulso o allo slancio del cuore. L’indeciso: non sceglie, ha paura Il Prudente: ci pensa, valuta bene, fa bene i suoi calcoli …

Chi è il Prudente?

Colui che sa decidere convenientemente il da farsi, colui che sa valutare le conseguenze favorevoli e sfavorevoli prima di decidere è colui che fa una scelta “oculata” Colui che non agisce solo in base agli slanci del cuore o in base agli impulsi. Colui che ha la testa sulle spalle ed è capace di valutare le capacità e i mezzi necessari per una data impresa. Colui che si mantiene in una “zona di sicurezza”. Colui che è equilibrato. Colui che si fa consigliare e accetta il consiglio degli altri.

La Prudenza si gioca nell’ascolto …

Uno degli aspetti pratici di questa virtù è la capacità di saper ascoltare. La persona prudente è sapiente perché attenta nell’ascolto. Il Prudente è attento nella scelta del suo consigliere (cfr. Siracide 37,7-12). La persona Prudente presta anzitutto ascolto alla Parola di Dio, ascolta volentieri la voce delle persone sagge ed è attenta al consiglio del proprio cuore (cfr. Siracide 6,33-37). La persona Prudente è inoltre amabile e sa consigliare l’altro nella prudenza, nell’attenzione, nella cura, nella riflessione attenta sulle situazioni della vita (cfr. Siracide 37,16-18).

… e nel parlare al momento giusto. “C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere” (Qoelet 3,7). Primo ambito dove praticare la Prudenza è il linguaggio. L’uomo prudente infatti parla con sobrietà e moderazione, sa riconoscere i momenti giusti nel parlare e nell’esprimersi. Egli riconosce con umiltà di non sapere tutto nella vita, per questo si astiene dal parlare quando non ha conoscenza di determinate cose o situazioni: “Se conosci una cosa, rispondi al tuo prossimo, altrimenti mettiti la mano sulla bocca” (Siracide 5,12). Il Prudente dunque è colui che non è precipitoso nel parlare, ma sa attendere il momento favorevole (cfr. Qoelet 5,1).

La Prudenza permette agli uomini di istruirsi vicendevolmente con docilità e spirito fraterno (cfr. Siracide 4,23). L’uomo prudente è colui che non tiene per se stesso i propri doni, ma li investe nella giusta proporzione, li mette al servizio perché questi portino frutti di vita anche nel prossimo. La Prudenza insegna a parlare poco o addirittura ad astenersi dal parlare con uomini irascibili e superbi (cfr. Siracide 8,11.16). Altro caso in cui la Prudenza conduce al dominio della parola è quello legato alla custodia del segreto che un amico ha confidato (cfr. Siracide 27,16-17).

Le virtù

La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene, è una costanza nell-esercizio della propria intelligenza e volontà, che si orientano con impegno e decisione verso il bene. La persona virtuosa cerca il bene e lo sceglie applicandolo nelle azioni della sua vita.

Le virtù sono “abiti”, dati dalla ripetizione di atti stabili, che si radicano nell-intimo della persona. Se sviluppati rettamente, generano gioia e felicità. Tutti sono capaci di praticare le virtù.

Le principali virtù morali sono dette cardinali perché orientano e costituiscono i cardini, appunto, di una vita dedicata al bene. Sono: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.

Si dicono virtù teologali quelle che hanno Dio per oggetto e sono da egli stesso infuse nell-uomo.

Non tendono solo al giusto mezzo, ma al sommo bene e sono tre: fede, speranza e carità. Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali. Sono infuse da Dio nell-anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna.

Papa Francesco: un anno dedicato all’enciclica “Laudato sì”

Capitolo quarto – Un’ecologica integrale

Il cuore della proposta dell’Enciclica è l’ecologia integrale come nuovo paradigma di giustizia; un’ecologia «che integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda» (15). Infatti, non possiamo «considerare la natura come qualcosa separato da noi o come una mera cornice della nostra vita» (139). Questo vale per quanto viviamo nei diversi campi: nell-economia e nella politica, nelle diverse culture, in particolar modo in quelle più minacciate, e persino in ogni momento della nostra vita quotidiana.

La prospettiva integrale mette in gioco anche una ecologia delle istituzioni: «Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana: “Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali”» (142).

Con molti esempi concreti, Papa Francesco non fa che ribadire il proprio pensiero: c’è un legame tra questioni ambientali e questioni sociali e umane che non può mai essere spezzato. Così «l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa» (141), in quanto «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» (139). Questa ecologia integrale «è inseparabile dalla nozione di bene comune»(156), da intendersi però in maniera concreta: nel contesto di oggi, in cui «si riscontrano tante iniquità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali», impegnarsi per il bene comune significa fare scelte solidali sulla base di «una opzione preferenziale per i più poveri» (158). È questo anche il modo migliore per lasciare un mondo sostenibile alle prossime generazioni, non a proclami, ma attraverso un impegno di cura per i poveri di oggi, come già aveva sottolineato Benedetto XVI: «oltre alla leale solidarietà intergenerazionale, occorre reiterare l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intragenerazionale» (162).

L’ecologia integrale investe anche la vita quotidiana, a cui l’Enciclica riserva un’attenzione specifica in particolare in ambiente urbano. L’essere umano ha una grande capacità di adattamento ed «è ammirevole la creatività e la generosità di persone e gruppi che sono capaci di ribaltare i limiti dell’ambiente, […] imparando ad orientare la loro esistenza in mezzo al disordine e alla precarietà» (148).

Ciononostante, uno sviluppo autentico presuppone un miglioramento integrale nella qualità della vita umana: spazi pubblici, abitazioni, trasporti, ecc. (150-154).

Anche «il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi.  L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio» (155).

La Fede

La Fede non è mai una cosa che si vede, è una cosa di cui ci si accorge mangiando, vivendo. Potremmo dire che la Fede ha sempre a che fare con l’esperienza. La Fede non è un’informazione su Dio. La Fede dice una relazione tra me e Lui. E la relazione è stabilita da Lui, è una relazione d’amore. Qualunque cosa accada, io ho l’intima certezza che Lui mi ama. Questa è la nostra forza, questa è la Fede che ha vinto il mondo.

Se c’è la Fede, succede che tutte le componenti della nostra vita sono amalgamate, dialogano tra di loro tanto da formare un tutt’uno, non un miscuglio di cose accostate e indigeste, ma un qualcosa di buono da mangiare. Quando non abbiamo la Fede, non abbiamo un motivo valido per cui tutto quello che c’è dentro la nostra vita valga la pena. Ecco perché, a un certo punto, la nostra vita diventa insopportabile, perché non riusciamo più a far quadrare il cerchio, non riusciamo più a tenere insieme tutte le contraddizioni che sono presenti dentro, e ci diciamo che siamo condannati a non essere felici perché la nostra vita è troppo imperfetta per poter contenere la felicità. La nostra felicità non dipende mai dalla vita in sé, non dipende mai da quello che c’è o meno dentro la nostra vita, ma da come essa è tenuta insieme. Noi invece ci sentiamo sempre un po’ in ritardo, un po’ sbagliati al posto giusto nel momento sbagliato, e viviamo costantemente il dramma di non sentirci amati, riconosciuti.

La felicità è questo senso di pienezza, è lasciarci raggiungere da un Amore che ci dice: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt 3,17). È una dichiarazione di amore di Dio nei confronti di ogni uomo, perché noi siamo tutti battezzati in Cristo Gesù. La vita eterna è lasciarsi raggiungere da Dio che dice:

“Tu sei l’amato, in te ho posto la mia fiducia”. Quando qualcuno ti dice: “Tu sei l’amato”, ti sta dando un’appartenenza. Tutti noi abbiamo bisogno di un’appartenenza, e soltanto la fiducia sprigiona dentro di noi le potenzialità della nostra umanità. Non il dovere, non il giudizio, ma la fiducia. Dio si fida di noi! Se sfogliassimo un po’ il Vangelo, ci accorgeremmo che quando Gesù deve spiegare la logica degli ultimi tempi e il regno di Dio, usa immagini molto simili fra loro: parla di affittuari: “Uno aveva una vigna e poi la dà in affitto e se ne va; aveva una casa, l’affida ai servi e se ne va lontano”. A prima vista può sembrare uno sfruttamento lavorativo del tipo: “Io ho la vigna, la faccio lavorare a te, poi torno e voglio i frutti”. Invece la verità è un’altra: questo dare e partire è un atto di fiducia. Uno che ti lascia le chiavi di casa e se ne va, è un uomo che si sta fidando di te. La nostra esistenza è un Dio che ci lascia le chiavi di casa e ci dice: “Tu non sei il padrone, ma io ti tratto come se tu fossi mio figlio e ti do fiducia”.

Il corpo che sono io: l’arpa dell’anima

Oggi il corpo ha una centralità assoluta. Non solo per gli adolescenti, ma per tutti: piccoli e grandi. Cifre alla mano: al corpo sono rivolti il 90% dei nostri pensieri, dei nostri desideri, delle nostre preoccupazioni. Il corpo deve essere “palestrato”, asciutto, snello, tonico, morbido. Il colesterolo è il male.

La “rotondità” il disonore. Oscena non è più la rappresentazione impudica della sessualità, ma la vecchiaia, la decadenza fisica.

Le edicole traboccano di riviste per la salute. Le industrie farmaceutiche fanno affari d’oro. I sarti stravincono sui filosofi. Il look vale quanto una laurea. I dietisti fanno gli straordinari per verificare se i “super-cibi” siano davvero in grado di mantenerci giovani e belli, perché essere in forma, sempre e comunque, è un imperativo. Insomma, oggi, il corpo è oggetto di culto. Di culto ossessivo. Non è venuto il momento per una riflessione sul culto totalitario del corpo? Sul suo senso? Non è venuto il momento di interrogarci se ha senso vivere per andare dal sarto, dal parrucchiere, al ristorante?

Parliamo del corpo con grande stima e simpatia. Il corpo è il nostro compagno di viaggio per l’eternità. Il corpo sono io, allo stesso titolo con cui sono spirito! Il corpo è il tesoro che mi appartiene, è la mia ricchezza. Il corpo è l’arpa che permette alla mia anima di esprimersi: di pensare, di amare, di cantare. Onore al corpo! Quando parliamo di corpo, parliamo di un grattacielo biochimico formato da 100 mila miliardi di cellule! Dunque, se collocassimo una cellula al secondo per impiantare questo straordinario grattacielo, impiegheremmo 100 mila miliardi di secondi, cioè tre milioni di anni!

Ecco una prima sorpresa. Quando parliamo di corpo, parliamo di un cuore che nell’arco di una vita ripete i suoi battiti circa tre miliardi di volte, ritmati alla velocità di 60-80 volte al minuto: ogni minuto muove da 9 a 12 litri di sangue. In 70 anni il nostro cuore sprigiona tanta energia quanto basterebbe per sollevare un macigno di due quintali e mezzo fino all’altezza della torre Eiffel (300 metri)! Quando parliamo di corpo, parliamo di un cervello cioè dell’organizzazione più complessa che conosciamo nell’universo. Il cervello non teme, di certo, confronti con niente. Davanti al cervello il computer scompare.

Il computer non inventa, non crea, non sorride, non ama … Il cervello umano è un giacimento inesauribile, una riserva pressoché infinita. È un micro-cielo. È costituito da 100 miliardi di cellule (i neuroni) quante sono le stelle della nostra galassia, la Via Lattea. I neuroni hanno un groviglio di connessioni (cento mila miliardi!): ogni connessione un’idea! Ebbene, tutto questo è sotto i nostri capelli. Il grande studioso John Eccles, al termine della sua lunga vita, dedicata tutta alla scoperta dei misteri del cervello esprimeva questo desiderio: “Vorrei che si capisse il dono che ci è stato dato: ciascuno di noi ha un cervello e questo è un miracolo, la cosa più fantastica dell’universo intero”.

Quando parliamo di corpo, parliamo di occhio. Altro capolavoro. Il nostro occhio contiene 50 miliardi di cellule visive che ci permettono di vedere oltre 3000 stelle nel cielo notturno. Con le sue sole forze, il nostro occhio arriva a vedere fino a circa due milioni di anni luce! Infatti nelle limpide notti estive, nel cielo terso e buio della montagna, riesce a vedere, senza l’aiuto di alcun strumento, la costellazione di Andromeda (formata da un turbinio di centinaia di miliardi di stelle!) costellazione che dista, appunto, due milioni di anni luce (cifra che dà le vertigini, se si pensa che la luce scivola via alla velocità di 300 mila chilometri al secondo!). L’occhio umano è un mistero: si può dire che sia il luogo ove finisce il corpo e comincia l’anima. Per questo gli occhi parlano, comunicano, accarezzano, diffondono comprensione, misericordia, calore (o gelo) … Gli occhi piangono. Anche le lacrime sono un regalo del nostro corpo:

– regalo gentile perché le lacrime fanno capire quanto l’uomo è debole, ma anche quanto il suo cuore è  buono;

– regalo prezioso. “Sulla terra vi sono uomini che consideralo le lacrime cosa indegna di loro. Non sanno che sono essi indegni delle  lacrime” (Ernest Hello);

– regalo eloquente: fanno capire che chi è nato uomo, si sta facendo umano.

Quando parliamo di corpo, parliamo di mani. Le mani sembrano le cose più naturali del mondo, invece sono un capolavoro. Secondo gli studiosi (i paleontologi) il passo decisivo dall’animale all’uomo sarebbe avvenuto quando i nostri antenati si alzarono sulle gambe, liberando le mani. Le mani, liberate dalla posizione che “gattona”, stimolarono la creatività e il cervello triplicò il suo volume. Le mani hanno un loro linguaggio così vario che da come le si usa, si può giudicare una persona.

Lo ammettiamo tutti con il nostro modo di parlare: “Tengo le mani a casa”, “Mi frego le mani”, “Metto la mano sulla coscienza”, “Ti tengo per mano”, “Sono nelle tue mani”, “A mani giunte”, “Con il cuore in mano”, “Ti ho preso con le mani nel sacco”, “Metto la mano sul fuoco” … Insomma, possiamo dire che le mani raccontano l’anima. Le mani parlano così tanto che i sordo muti possono capirsi con i vari gesti delle dita.

Il pellegrinaggio, brevi annotazioni

Il cammino come dimensione della vita

Spesso nella Scrittura si parla della vita del credente come cammino o della chiamata alla fede come un invito a muoversi, a migrare. Il viaggio, la migrazione sono spesso i luoghi in cui Dio si rivela ed effonde la sua grazia. Abramo è chiamato a lasciare tutto ed a andare in un paese sconosciuto in vista della promessa della terra e della fecondità della sua discendenza. Si tratta di una chiamata di fede che non impegna solo l’aspetto esteriore della vita, ma comporta un cambiamento interiore, un abbandono delle vecchie certezze per affidarsi nelle mani di Dio. L’esperienza di Esodo è quella della liberazione, l’uscita da un paese straniero e dalla condizione di schiavi per porsi in cammino verso una terra che sarà donata dal Signore e di cui si resta in attesa mentre si cammina verso di essa. Questo cammino è rischioso e pieno di pericoli e si configura come un cammino attraverso un deserto, attraverso una terra straniera ed inospitale. Anche qui alla tortuosità del cammino nel deserto corrisponde la difficoltà del cammino interiore degli Israeliti che cedono continuamente alla tentazione dell’idolatria e del rimpianto della vita in Egitto. Nel Nuovo Testamento Gesù lascia tutto ciò che gli è famigliare per diventare predicatore itinerante per l’annuncio del Regno. Egli non ha dove posare il capo. Anche qui la chiamata è ad un cammino interiore, la conversione.

I primi cristiani spesso si consideravano dei “senza patria”, dei chiamati a vivere una esperienza umana e spirituale lungo il cammino verso la terra promessa, il Regno delle beatitudini.

Camminare al seguito di Gesù.

Nel vivere l’esperienza del pellegrinaggio quale parabola di tutta la nostra esistenza di uomini e di cristiani, non possiamo prescindere in alcun modo dalla persona e dalla vita di Gesù. E così il pellegrinaggio diventa occasione provvidenziale per professare, testimoniare e vivere la nostra fede in Gesù. Tutta la vicenda terrena di Gesù ci dice che la vita dell’uomo è un andare verso la casa del Padre. La vita, dunque, è un cammino verso il Padre, un cammino vissuto in fraternità, insieme con Gesù e tra di noi. Non è però un cammino che si svolge nell’incertezza e nell’improvvisazione.

In realtà, Gesù ha voluto sì indicare il rapporto tra lui e i suoi discepoli con l’immagine dinamica del cammino, ma qualificandolo come un cammino che ha le caratteristiche della “sequela”. Si tratta, allora, di un cammino da percorrere sotto la direzione di una guida, al seguito di qualcuno che traccia il percorso e che indica la via, anzi che presenta se stesso come “la Via” (cfr. Giovanni 14, 6). Mettersi al seguito di Gesù significa mettere tutti i nostri progetti umani sotto la signoria di Dio e misurarsi solo sul Vangelo. Vuol dire abbandonarsi al soffio dello Spirito.  Significa farsi pellegrini verso di Lui, aprendosi al dono della Sua parola. Solo chi si riconosce amato dal Dio vivo vince la paura e vive il grande viaggio per camminare verso gli altri, verso l’Altro che è Dio stesso.

Papa Francesco: un anno dedicato all’enciclica “Laudato sì”

Capitolo terzo – La radice umana della crisi ecologica

Questo capitolo presenta un’analisi della situazione attuale, «in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde» (15), in un dialogo con la filosofia e le scienze umane.

Un primo fulcro del capitolo sono le riflessioni sulla tecnologia: ne viene riconosciuto con gratitudine l’apporto al miglioramento delle condizioni di vita (102-103), tuttavia essa «a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero» (104). Sono proprio le logiche di dominio tecnocratico che portano a distruggere la natura e a sfruttare le persone e le popolazioni più deboli. «Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica» (109), impedendo di riconoscere che «Il mercato da solo […] non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale» (109).

Alla radice si diagnostica nell’epoca moderna un eccesso di antropocentrismo (116): l’essere umano non riconosce più la propria giusta posizione rispetto al mondo e assume una posizione autoreferenziale, centrata esclusivamente su di sé e sul proprio potere. Ne deriva una logica «usa e getta» che giustifica ogni tipo di scarto, ambientale o umano che sia, che tratta l’altro e la natura come semplice oggetto e conduce a una miriade di forme di dominio. È la logica che porta a sfruttare i bambini, ad abbandonare gli anziani, a ridurre altri in schiavitù, a sopravvalutare la capacità del mercato di autoregolarsi, a praticare la tratta di esseri umani, il commercio di pelli di animali in via di estinzione e di “diamanti insanguinati”.

È la stessa logica di molte mafie, dei trafficanti di organi, del narcotraffico e dello scarto dei nascituri perché non corrispondono ai progetti dei genitori. (123) In questa luce l’Enciclica affronta due problemi cruciali per il mondo di oggi. Innanzitutto il lavoro: «In qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, è indispensabile integrare il valore del lavoro» (124), così come «Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società» (128).

La seconda riguarda i limiti del progresso scientifico, con chiaro riferimento agli OGM (132-136), che sono «una questione di carattere complesso» (135). Sebbene «in alcune regioni il loro utilizzo ha prodotto una crescita economica che ha contribuito a risolvere alcuni problemi, si riscontrano significative difficoltà che non devono essere minimizzate» (134), a partire dalla «concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi» (134). Papa Francesco pensa in particolare ai piccoli produttori e ai lavoratori rurali, alla biodiversità, alla rete di ecosistemi. È quindi necessario «un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome» a partire da «linee di ricerca autonoma e interdisciplinare» (135).

Vivere da cristiani

Il primo articolo della nostra fede non è: “io amo”, ma: “io credo in Dio Padre” che mi ha amato, mi ama e mi amerà sempre per primo. In quanto Padre, mi rigenera alla vita del Figlio. Non sono io il padre del mio nuovo io. La nuova nascita non è un auto-generazione, ma una rigenerazione. Cristo si accoglie, non si merita. L’uomo nuovo vive la vita nuova nell’amore. L’amore di Dio non comprime la mia libertà, ma la suscita, la sostiene e la dilata. Mi rende capace di vivere secondo l’unica legge del cristiano: l’amore. La vita nuova si esprime in scelte consapevoli non soggette agli istinti spontanei o alle pressioni esteriori. Una scelta non è positiva solo perché è una scelta o perché produce un piacere immediato: molti delitti sono decisioni volontarie, molte esperienze piacevoli sono distruttive. Il piacere non è un valore in sé, né un criterio legittimo di azione; è solo conseguenza di un obiettivo raggiunto e va considerato buono o cattivo secondo la qualità morale dell’obiettivo stesso.

Una scelta è umana – ragionevole e sensata – solo se contribuisce alla vera e piena realizzazione della persona. Qui sta la felicità. Noi da sempre siamo alla ricerca di una pienezza per la nostra vita. Possiamo realizzarci solo se percorriamo la via dell’amore, l’unico bene che può appagare il nostro cuore. Una tentazione sempre in agguato per noi discepoli è la tristezza. Ed è un peccato che gli altri, giustamente, non ci perdonano. Noi cristiani crediamo che, attraverso Gesù, il Padre ha stabilito con la Chiesa un patto inossidabile di nuova ed eterna alleanza: non è un nostro privilegio, ma una missione, per portare al mondo la civiltà dell’amore. Questa civiltà implica nei cristiani la tensione verso l’ideale irrinunciabile della santità.

Dio merita di attendersi dai cristiani, suoi alleati, un comportamento più-che-umano – come l’amore ai nemici, la fedeltà al matrimonio indissolubile, ecc. – e la società ha diritto di chiedere a chi si professa cristiano la coerenza anche su questi punti, che sono resi a noi possibili solo dalla grazia.

Chi è il pellegrino?

Il pellegrino è colui che conosce bene la meta da raggiungere e cammina sulla strada che conduce a tale meta. Il contrario del pellegrinaggio è il vagabondaggio.

Il vagabondo è colui che cammina fuori strada, che va a zonzo, senza una precisa meta da raggiungere.

Il pellegrino, anche se cammina molto adagio, si avvicina comunque alla meta.

Il vagabondo, invece, anche se corre, non si avvicinerà mai alla meta.

E poiché la vita è un viaggio con il biglietto di solo andata, senza ritorno,  ogni persona è chiamata, con urgenza, a farsi l’esame di coscienza: Dove sto camminando e dove sto andando?

L’uomo, infatti, non ha su questo pianeta Terra la sua stabile dimora, ma vi soggiorna come straniero e pellegrino. “ Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura”(Ebr.13,14). Chi trascura di prendere coscienza o, peggio ancora, chi non vuole prendere coscienza di tale realtà, si pone nel serio rischio di fallire la sua stessa esistenza. L’uomo non deve mai dimenticare che la vita non se l’è data lui,  ma che gli è stata totalmente donata da Dio, tramite i genitori. E’ stato Dio, Creatore e  Padre, a progettare l’universo e tutta l’umanità nel suo Figlio Gesù Cristo: perché egli divenisse, mediante la sua Incarnazione e la sua Pasqua, il Salvatore e il Signore di tutte le creature. E’ lo stesso Gesù Cristo che si propone a noi come strada da percorrere e come meta da raggiungere nel pellegrinaggio terreno:

“Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno viene al Padre, se non per mezzo di Me” (Gv.14,6).

Alla Luce di queste verità, ogni uomo, Immagine e Somiglianza di Dio,  è chiamato a porsi seriamente davanti alla propria vita, per scoprirne  il vero senso e i valori autentici, che Dio Creatore ha già posto nelle aspirazioni più profonde del suo spirito.  “Tu ci hai fatto per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”.

La vita è una strada

PARTIRE. Da quando si nasce sempre bisogna partire. Uscire dal presente, protendersi verso l’avvenire.

CAMMINARE. Non ci si può fermare perché l’esistenza prosegue.

L’importante è CAMMINARE SULLA STRADA, anche se faticosa. Verso la META. La vita invoca una META, pena l’apatia, la disperazione, il fallimento.

Il futuro è davanti a noi, invita a CAMMINARE con speranza.CRISTO ti si presenta nella vita come Colui che ti lancia in questa meravigliosa avventura, ti fa partire. E’il tuo CAMMINO, la tua META. CRISTO: VIA, VERITA’, VITA. Il Cammino del cristiano: un incontro con Cristo. Dallo sconforto alla gioia, dalla paura al coraggio, dalla sordità all’ascolto, dalla cecità al riconoscimento, dalla fuga alla Testimonianza