Il frammento di uno specchio

Uno studente domandò a un professore: “Professore quale è il significato della vita?”. Qualcuno tra i presenti che si apprestava ad uscire rise. Il professore guardò a lungo lo studente,
chiedendo con lo sguardo se era una domanda seria. Comprese che lo era. “Le risponderò”, disse. Estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, ne tirò fuori uno specchietto rotondo, non più grande di una moneta. Poi disse: “Ero bambino durante la guerra. Un giorno, sulla strada, vidi uno specchio andato in frantumi. Ne conservai il frammento più grande. Eccolo. Cominciai a giocarci e mi lasciai incantare dalla possibilità di dirigere la luce
riflessa negli angoli bui dove il sole non brillava mai: buche profonde, crepacci, ripostigli.
Conservai il piccolo specchio. Diventando uomo finii per capire che non era soltanto il gioco di un bambino, ma la metafora di quello che avrei potuto fare nella vita. Anch’io sono il frammento di uno specchio che non conosco nella sua interezza.
Con quello che ho, però, posso mandare luce, la verità, la comprensione, la bontà, la tenerezza, nei bui nascosti del cuore degli uomini e cambiare qualcosa in qualcuno.
Forse altre persone vedranno e faranno altrettanto. In questo, per me, sta il significato della vita”.

Pensiamo…

Quando ci succede di VEGLIARE, di non dormire?
A volte non riusciamo a prendere sonno perché non stiamo bene o siamo preoccupati per qualcosa di triste che è successo o può capitare.
Altre volte vogliamo e riusciamo a stare svegli perché c’è qualcosa di importante e che ci coinvolge. Oppure l’attesa di una telefonata… di un amico che viene a trovarci, oppure… ed è una gioia immensa. Vegliare, in Avvento, non è semplicemente restare svegli per l’emozione, ma è attendere l’incontro con un fratello… che è più grande di noi, e nasce in mezzo a noi per insegnarci ad accogliere Dio e i fratelli, l’incontro con uno che ci chiama amici e ci vuole bene. Un incontro importante, che non si può perdere e per il quale vogliamo cominciare subito a prepararci.

Avvento, un tempo per desiderare

Inizia l’«Avvento», un termine latino che significa avvicinarsi, camminare verso. Tutto si fa più prossimo, tutto si rimette in cammino e si avvicina: Dio, noi, l’altro, il nostro cuore profondo.
L’avvento è tempo di strade. L’uomo d’avvento è quello che, dice il salmo, ha i sentieri nel cuore, percorsi dai passi di Dio, e che a sua volta si mette in cammino.
L’avvento è tempo di attenzione. Il Vangelo ricorda i giorni di Noè, quando «nei giorni che precedettero il diluvio gli uomini mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito e non si accorsero di nulla». Alimentarsi, sposarsi sono azioni della normalità originaria della vita. Si è impegnati a vivere, a semplicemente vivere. Con il rischio però che la routine non faccia avvertire la straordinarietà di ciò che sta per accadere: e non si accorsero di nulla. Loro, del diluvio; noi, dell’occasione di vita che è il Vangelo.
Lo senti che ad ogni pagina Gesù ripete: non vivere senza mistero!
Tempo di Avvento, cioè sotto il familiare scopri l’insolito, sotto il quotidiano osserva l’inspiegabile.
Che ogni cosa che diciamo abituale, possa inquietarci. I giorni di Noè sono i giorni della superficialità: «Il vizio supremo della nostra epoca è di essere superficiale».
Invece occorre l’attenzione vigile delle sentinelle. E allora ti accorgi dei mille doni che i giorni recano, delle forze di bontà e di bellezza all’opera in ciascuno, ti accorgi di quanta luce, di quanto Dio vive in noi: «Il vostro male è di non rendervi conto di quanto siete belli!» (Dostoewski).
Avvento: tempo per attendere, perché qualcosa o qualcuno manca.
Come i soldati romani detti «desiderantes» che, attendevano vegliando sotto le stelle i compagni non ancora rientrati all’accampamento dopo la battaglia. Attendere è declinazione del verbo amare.
Avvento: tempo per desiderare e attendere quel Dio che viene, dice il Vangelo, con una metafora spiazzante, come un ladro. Che viene nel tempo delle stelle, in silenzio, senza rumore e clamore, senza apparenza, che non ruba niente e dona tutto. Si accorgono di lui i desideranti, quelli che vegliano in punta di cuore, al lume delle stelle, quelli dagli occhi profondi e trasparenti che sanno vedere quanto dolore e quanto amore, quanto Dio c’è, incamminato nel mondo. Anche Dio, fra le stelle, come un desiderante, accende la sua lucerna e attende che io mi incammini verso casa.

Cammino spirituale per il tempo dell’Avvento

Se l’Avvento è la preparazione ad un incontro (quello con il Signore che viene), mi sembra opportuno vivere questo tempo, non tanto aumentando azioni o gesti, ma in un atteggiamento spirituale.
L’incontro con Cristo è materia dello Spirito Santo. Solo in questa ottica la nostra comunità cristiana potrà comprendere le varie proposte che verranno fatte e sono esposte nella pagina seguente.
Iniziative che nei quattro anni precedenti venivano messe in calendario a partire dall’inizio dell’anno pastorale. Quest’anno, invece, le inizieremo col tempo “forte” dell’Avvento, sperando che sia occasione per darci una “scossa”. Strumenti per un cammino personale e anche (sarebbe il top) familiare.
Soprattutto accasioni propizie perché nell’incontro comunitario con il Signore cresciamo nella consapevolezza di essere una comunità di discepoli ed evitiamo il rischio di diventare un’azienda.
Se ogni credente viene incoraggiato a mettere al centro l’Eucaristia (la Messa), a chi ha scelto un impegno maggiore è chiaro che viene chiesto di più (cioè questi ulteriori momenti spirituali).
Come sollecito spesso i genitori a ritrovare il valore della Messa festiva, così, in questo tempo liturgico, vorrei sollecitare i “più presenti in Parrocchia” a non essere distratti e lasciar perdere troppo frettolosamente le molteplici proposte, evidentemente nel rispetto della libertà, del tempo a disposizione di ciascuno. Come Gesù soffre per ogni persona che ama, così soffro per le assenze, non solo alla Messa ma anche a queste occasioni di crescita insieme. Ma non mi rassegno e non smetto di sognare.

Avvento di carità

Chi lo desidera può fare un’offerta nella cassettina che trova all’ingresso della Chiesa, prima di ogni Messa. Al termine dell’Avvento, il ricavato verrà consegnato alla Caritas Diocesana secondo la finalità stabilita (vedi locandina qui sotto).

Proposte spirituali per l’Avvento

  • Sussidio di preghiera e riflessione quotidiana da usare personalmente (o con i miei familiari) preparato dalla nostra Diocesi e che posso trovare all’ingresso della Chiesa
  • Un foglietto con una riflessione sulle letture della domenica successiva che posso usare durante la settimana per un momento di meditazione personale e di preparazione alla Messa Festiva. Strumento che posso trovare all’ingresso della Chiesa, accanto al Bollettino parrocchiale
  • Alla domenica ore 17.00, in chiesa, recita comunitaria dei Secondi vespri, momento di riflessione-formazione, meditazione, breve adorazione eucaristica comunitaria.
  • Momenti di preghiera in preparazione alla Solennità dell’Immacolata (da martedì 29 novembre a venerdì 2 dicembre, lunedì 5 e martedì 6 dicembre) e in preparazione al Natale (da martedì 20 a venerdì 23 dicembre), alle ore 18.00, al termine della Messa feriale.
  • Adorazione eucaristica personale al giovedì mattina in Chiesina
  • Adorazione eucaristica comunitaria al giovedì sera, in Chiesa, dalle ore 21.00 alle ore 21.30. Dalle ore 21.30 alle ore 22.00 adorazione personale.

Le parole dell’attesa: VEGLIARE

Il brano di Vangelo che ascolteremo alla Messa fa parte di un lungo discorso di Gesù su quello che accadrà negli ultimi tempi. Dobbiamo ricordare che Matteo scrive il Vangelo per i primi cristiani, che erano convinti che la fine del mondo sarebbe venuta presto, che Gesù sarebbe presto tornato. Non dobbiamo confondere però l’invito di Gesù a vegliare, a stare all’erta, a stare pronti, con una minaccia L’atteggiamento che Gesù ci invita ad assumere non è quello della paura o dell’angoscia (come peraltro sarebbe istintivo anche in questo periodo di terrorismo e violenza) bensì quello dell’attesa, della sorpresa, dell’emozione per la visita di Dio che ci porta la salvezza.

Dal vangelo di Matteo (24,37-44)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà.

Inizia il tempo di Avvento

Inizia il tempo di avvento. Per definizione l’avvento è tempo di attesa.
Mi vengono subito alla mente due domande.
La prima: che cosa attendiamo? Dovremmo dire meglio “chi” attendiamo, perché l’avvento è un cammino incontro a Gesù: Lui viene incontro a noi, e noi andiamo incontro a Lui. Non ci incontriamo a metà strada, ma ci incontriamo nella gioia di una amicizia e di una alleanza che si rinnovano nel profondo del cuore. Ma aspettiamo davvero Gesù? Il Natale che ci prepariamo a vivere è ancora il Natale di Gesù, o è un giorno in cui si faranno mille altre cose a prescindere da Gesù?
Il rischio di vivere il Natale senza Gesù è grande; fare festa senza il festeggiato: niente di più triste!
Il tempo di avvento è dunque tempo per preparare il cuore ad un incontro vero e profondo con Gesù.
La seconda domanda: sappiamo ancora attendere? Può apparire una domanda un po’ strana, ma non è inopportuna. Non lo è perché il tempo che viviamo è un tempo di impazienza, è un tempo in cui si bruciano le tappe, si cercano risultati immediati, a volte anche senza l’adeguata preparazione, è tempo in cui si vuole (e si può spesso ottenere) tutto e subito. È tempo in cui non si coltivano più i desideri veri (non i bisogni indotti), i sogni sono appiattiti dal calcolo delle probabilità, lo sguardo verso un futuro promettente si appiattisce nel piccolo cabotaggio quotidiano. L’attesa è bruciata nel consumo delle cose quotidiane, ma non saper attendere, oltre che un impoverimento della nostra umanità, è mortificare anche una dimensione tipicamente cristiana: tutta la vita cristiana – come ci suggerisce la Parola di Dio – è l’attesa del ritorno di Gesù alla fine dei nostri tempi. Il tempo di avvento, dunque, è anche tempo per coltivare la virtù della attesa, virtù possibile da coltivare anche attraverso un cammino di purificazione da tante cose (spesso superflue) che riempiono la nostra vita, per rendere più vero il nostro desiderio di Gesù e della sua venuta nella nostra vita.

Cosa significa infatti prepararsi a diventare preti oggi? Ce n’è ancora bisogno?

Sono convinto di sì. C’è bisogno più che mai di persone che con tutta la loro vita, e semplicemente con la loro vita, indichino discretamente ma con piena convinzione che il Signore è fondamento dell’esistenza, che stare con Lui conta, e che mettere al centro Lui è sufficiente per vivere una vita riuscita. Scommettere l’esistenza sul Signore diventa poi fondamento di vera comunità, di una comunità che sappia valorizzare la vocazione di ciascuno e di ciascuna, e che sia luogo accogliente per tutti, scuola e casa di autentica fraternità. Il nostro Seminario ha bisogno della preghiera e del sostegno di tutta la Diocesi, al cui servizio continua a porsi per formare preti secondo il cuore di Gesù. Il Signore continua a camminare con noi, a prenderci per mano, a indicarci la via della vita e per questo sempre chiama servitori appassionati della Chiesa, comunità in cammino nella storia chiamata a condurre tutti a Dio.
L’apertura all’amore infinito ed eterno di Dio è fondamento sicuro per umanizzare il presente.
Il nostro Seminario vuole essere scuola semplice e concreta per saggiare la chiamata degli uomini che si mettono a disposizione per provare quest’avventura, in cammino nella Chiesa, a servizio dell’umanità. Accompagniamolo e aiutiamolo in questo cammino.

Gesù Cristo Re dell’Universo (3)

“Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte… Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini”.

Nel Vangelo lucano proclamato nella solennità di Cristo Re dell’universo in questo anno liturgico troviamo quattro parole pronunciate verso Gesù: dai capi (v. 35), dai soldati (v. 36-37) e dai due malfattori crocifissi accanto a Gesù (v. 39-42).
Queste quattro parole hanno in comune, sia pur con sfumature diverse, la sfida rivolta a Gesù: dimostra chi sei (il Cristo, il re…), salva te stesso, scendi dalla croce… Le parole dei capi, dei soldati e di uno dei malfattori sono ingiuriose, sprezzanti, senza pietà, mostrano una totale incomprensione e stravolgimento della identità di Cristo.
La scritta sopra il capo di Gesù parla da sola: “Questi è il Re dei Giudei” (v. 38).
Dice tutto di quella condanna. Ma come decifrarla? Chi la capisce nella sua verità? Per i capi religiosi e politici sono parole da burla; ma per Dio e per il cristiano sono parole vere, che centrano in pieno l’identità di quello strano condannato. Quella lapide è una sfida che attraversa i secoli: o la si accetta o la si rifiuta. Con alterne conseguenze! “Il popolo stava a vedere” (v. 35): muto e perplesso, fra curiosità e impotenza, non capiva cosa stava succedendo, non sapeva cosa fare… Poco dopo, però, quando lo spettacolo si concluse in orrenda tragedia, quelle folle “se ne tornavano percuotendosi il petto” (v. 48). È possibile cogliere il significato di quella morte dalle parole del secondo dei malfattori, il famoso ‘buon ladrone’, l’unico che riconosce il senso di quella scritta e l’identità di Gesù. Non gli chiede una clamorosa liberazione, ma solo di stare accanto a Lui nell’ultima fase della vita: “Ricordati di me…” (v. 42). Richiesta subito esaudita: “Oggi sarai con me nel paradiso” (v. 43). È la prima sentenza del nuovo Re! Gesù ha solo parole di salvezza piena: oggi, in paradiso! Il silenzio di Gesù, il suo gesto di perdono, le poche parole (con il Padre, la madre, gli amici…) svelano il mistero di un re splendido e potente, ma che finisce su una croce. La sua è una regalità atipica, nuova: ha mandato in tilt Erode, Pilato, Tiberio, i capi, il popolo… Una regalità difficile da comprendere e ancor più da accettare. Una regalità spesso incompresa e travisata!  Ma per chi l’accetta, è regalità vera, che dà senso pieno alla vita.