Te Deum (ringraziamento di fine anno)

L’ultimo giorno dell’anno non è una festa particolare della Chiesa. Ma ha un senso profondo: quello del tempo che trascorre. E il tempo – lo sappiamo tutti – non è una dimensione secondaria della vita: è la vita. E, come la vita, il senso va colto, va compreso. E, come la vita, potrebbe scorrere in maniera vuota. Il rischio che corriamo infatti è che le nostre giornate passino senza un senso, appunto, vuote di significato; magari sono anche piene di cose da fare, piene di impegni che magari non ci danno neppure tanta soddisfazione, e così il tempo diventa pesante, triste. Quante volte il tempo è difficile e alienante!
Eppure è un dono di Dio. È come la vita. Ed è un dono che Dio dona a tutti, più o meno largamente. E si tratta di un mistero grande di fronte al quale dobbiamo stare attenti e rispettosi. Per questo la Chiesa da sempre difende il tempo come difende la vita.
Il tempo è così prezioso che anche Dio, potremmo dire, ha deciso di regalarselo. Sappiamo che Dio è eterno e senza tempo. Ma un giorno Dio si donò il tempo. Si fece questo dono quando decise di creare l’uomo e quindi la storia. Da quel momento Dio si è come mischiato con il tempo, con la nostra storia. E non se ne è mai allontanato. Sempre è stato accanto all’uomo perché la storia che viviamo crescesse sempre più nell’amore. Dio si è dato il tempo per amare l’uomo o, in altre parole, Dio ci ha creato per amarci e perché ci amassimo gli uni gli altri. Quindi il senso del tempo, il senso delle giornate, il senso della storia, è l’amore. Sì, l’amore è la sostanza del tempo; l’amore lo rende benedetto, l’amore è il senso dell’anno, l’amore è il senso della nostra stessa vita. E Dio ha continuato ad amare gli uomini per tutto il tempo della storia. Purtroppo è accaduto che gli uomini si sono allontanati da Dio, e ogni volta che lo hanno fatto il tempo si è fatto triste e violento. Ma Dio non ha diminuito il suo amore. Anzi è cresciuto in lui l’amore per noi. Lo intuiamo da quanto dice Paolo nella lettera ai Galati: “quando venne la pienezza del tempo mandò il suo Figlio per riscattare quelli che erano sotto la legge perché ricevessimo l’adozione a figli”.
La pienezza del tempo è la pienezza dell’amore di Dio? E l’evangelista Giovanni scrive: “Dio ha tanto amato il mondo da inviare il suo Figlio nel mondo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”, ossia abiti la pienezza del tempo. La nostra storia, questo nostro anno che sta per passare, è stato segnato da questa Pandemia, al punto tale che in cuor nostro diciamo: Speriamo che finisca il più presto possibile questo anno e tutto ciò che ha portato di così difficile. Ma da cristiani dobbiamo dire, che nonostante quanto accaduto, questo anno è stato segnato da questo amore di Dio per noi. Sì, lo vogliamo ringraziare perché in questo anno ci ha donato sempre il suo Figlio, ci ha sempre rivolto la sua parola con il Vangelo, ci ha sempre accompagnato con la sua benedizione. Il ritrovarci insieme alla Messa delle ore 18.00 sarà un segno forte e coraggioso di una comunità che nonostante tutto sa cantare: Noi ti lodiamo Dio e ti ringraziamo.
Noi siamo nati per stare accanto a quel Figlio, per poter amare con lui e come lui. Perché il tempo? Per stare accanto a Gesù. È quel che fecero i pastori. Giunti alla grotta – scrive Luca – si stupirono per quel che vedevano, ascoltarono quel che Maria disse loro del Bambino e, una volta partiti, parlavano di lui a tutti quelli che incontravano. Il tempo di quei pastori non era più quello scandito tristemente dalle notti buie della Palestina restando persone senza alcun peso.
Quell’incontro riscattò il lavoro e il tempo di quei pastori. Scoprendo quel Bambino, continuavano ad essere pastori, ma erano stati inseriti in una nuova storia, la storia dell’amore. Divennero i primi predicatori del Vangelo.
Anche noi nella celebrazione del Ringraziamento a fine anno vogliamo essere riscattati dal peso e dal buio delle vicende tristi e trovare nel Vangelo la forza e la saggezza per dire “Grazie o Signore per tutto quello che ci hai donato, soprattutto grazie per la tua presenza salvifica”.

I verbi del Natale

Per sapere come vivere il Natale basta prendere sul serio i verbi del racconto evangelico, mirabile sintesi dell’esperienza della fede nella sua essenzialità.

Glorificare e lodare.

Sono gli ultimi verbi che riguardano i pastori. Ed è l’esito di ogni autentica esperienza di Dio: non si può fare a meno di esprimere la gioia e la gratitudine per tutto quello che si è ricevuto. Lodare e glorificare significa in definitiva riconoscere la “grazia” che ci è stata fatta, il dono che ci è giunto e l’amore che esso rivela.

Come vivere questo Natale? Il modo più sicuro e garantito è quello di vivere la stessa avventura dei pastori, di mettere in pratica quei verbi che hanno contrassegnato la loro esperienza di quella n otte che è anche l’esperienza di ogni discepolo di Gesù.

I verbi del Natale

Per sapere come vivere il Natale basta prendere sul serio i verbi del racconto evangelico, mirabile sintesi dell’esperienza della fede nella sua essenzialità.

Riferire

Non possono fare a meno di parlare, i pastori. Non possono tenere per sé le scoperte di quella notte così strana e così esaltante. E allora raccontano quello che hanno udito e quello che hanno visto e in questo modo innescano una sorta di reazione a catena, generando stupore in tutti quelli che li incontrano e li ascoltano. Anche raccontare è un verbo della fede perché la fede è esperienza e ogni esperienza può essere trasmessa attraverso una narrazione che presenta i fatti, gli avvenimenti, ma anche quello che passa per il cuore di chi vi assiste.

I verbi del Natale

Per sapere come vivere il Natale basta prendere sul serio i verbi del racconto evangelico, mirabile sintesi dell’esperienza della fede nella sua essenzialità.

Trovare.

Viene subito da aggiungere: “Chi cerca, trova”. E infatti quando si cerca Dio e ci si lascia guidare dalla sua parola, si finisce sempre col trovarlo. È quello che accade anche ai pastori: «trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia». Sembra tutto così facile, ma non lo è! Perché c’è una distanza notevole tra i titoli assegnati a quel neonato e quello che vedono gli occhi. Salvatore, Cristo, Signore: termini che fanno pensare ad un potente, ad uno che viene da una famiglia nobile, ricca di risorse… E invece la realtà è molto modesta: un alloggio di fortuna, un bambino appena nato in mezzo ai disagi del censimento, una mangiatoia per culla. Sì, hanno trovato, ma solo perché hanno creduto, nonostante la diversità che separava le attese (legittime) dal segno!

I verbi del Natale

Per sapere come vivere il Natale basta prendere sul serio i verbi del racconto evangelico, mirabile sintesi dell’esperienza della fede nella sua essenzialità.

Andare.

Un verbo di movimento che caratterizza tutti i credenti, a partire da Abramo. Non si tratta, però, di un percorso qualsiasi. Ha una meta, un punto di riferimento, ed è stato l’annuncio angelico a fornirlo. Dietro questo mettersi in cammino c’è dunque l’ascolto di un messaggio, quello che l’angelo ha portato nella notte. «Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». Ed è sempre l’angelo che permette di identificare il “segno”: un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia. Se i pastori si muovono, se affrontano il freddo della notte è perché vogliono “vedere l’avvenimento che il Signore ha fatto conoscere”.

Famiglia di Nazareth

Dio ha voluto che suo Figlio venisse ad abitare in mezzo a noi per compiere la sua opera di salvezza a favore dell’umanità e ha scelto di compiere tale progetto con la collaborazione di due creature: una donna, Maria, e un uomo, Giuseppe. Il verbo della vita è stato generato in una famiglia ed è all’interno di essa che è cresciuto come uomo; è qui che Egli deve avere imparato alcune di quelle qualità umane, che probabilmente saranno state proprie di Giuseppe – come l’impegno nel lavoro, la resistenza alla fatica, il rispetto della legge, l’onestà, l’umiltà, il silenzio – di Maria – come l’attenzione agli ultimi, il rispetto per le persone, lo spirito di servizio. Da un lato, guardando all’umanità di Gesù, comprendiamo quanta importanza Dio nutre nei confronti dell’uomo; dall’altro, guardando al periodo vissuto da Gesù nella casa di Nazareth, comprendiamo la grandezza della famiglia. Quella di Gesù, Maria e Giuseppe è una famiglia “singolarissima” ma non per questo meno significativa per le nostre famiglie. Essa si pone come modello al quale devono ispirarsi le nostre famiglie. Indichiamo alcuni elementi: vi è in essa un invito alla fiducia; nessun potere mondano può annullare il progetto di Dio e la sua volontà di salvezza. Il Signore guida la storia e, nel rispetto delle libere scelte dell’uomo, conduce tutto con pazienza verso il bene e verso il compimento del suo disegno. Il secondo elemento riguarda il valore della vita quotidiana, Matteo nota che Gesù “andò ad abitare in una città chiamata Nazareth”, località oscura della Galilea. Qui Gesù trascorre la maggior parte della sua vita: questo fatto ha suscitato stupore, se si pensa alla grandiosità della sua missione. Questo è lo stile di Dio; fare grandi cose per la via dell’umiltà, del nascondimento, della apparente inutilità. Un ultimo elemento riguarda la vita familiare. Ogni membro di una famiglia che voglia rispettare il progetto di Dio, è chiamato a “uscire da sé” a porsi in primo luogo le domande sul bene dell’altro, facendo propria l’esortazione di Paolo a “gareggiare nella stima vicendevole”.

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Tutte le famiglie dovrebbero applicare alcune “regole” di vita, che ricorda san paolo e che appartengono all’intera comunità cristiana: amore, bontà, misericordia, rispetto vicendevole, sopportazione, perdono: tutto nella ricerca della volontà di Dio e di una vita fondata sul Vangelo. L’ascolto comune della Parola e la preghiera fatta insieme costituiscono la sorgente e l’alimento di relazioni belle e significative.

alle ore 16.00

Recita dei vespri e momento di adorazione comunitaria: “Pregando con le famiglie”

S. Stefano

Dopo avere contemplato nel mistero del Natale il Verbo che si è fatto carne per rivelarci il vero volto di Dio e renderci partecipi della stessa vita divina, il giorno seguente la liturgia ci invita a rallegrarci per la nascita al cielo del suo primo martire secondo il Vangelo, il diacono Stefano. Egli appartiene a quella immensa schiera di testimoni che giunge fino ai nostri giorni.

Nel racconto del suo martirio ritroviamo tutto ciò che Gesù aveva predetto: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo”. Il Maestro aveva parlato chiaro e aveva dipinto ai suoi un quadro netto di ciò che si dovevano aspettare: denuncia ai tribunali giudaici e pagani, condanne alla tortura e alla pena capitale, tradimenti da parte dei familiari, odio generalizzato e feroci persecuzioni.

Con questa festa abbiamo l’occasione di constatare come in lui si realizzi in pieno la parola di Gesù: la persecuzione è occasione di testimonianza. Il libro degli Atti mostra con chiarezza come Stefano assuma nella morte gli stessi sentimenti del Crocifisso e ripeta perfino le stesse sue parole: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”. Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato” .

È così anche per la nostra testimonianza. Certamente essere testimoni della Parola che si fa carne significa condividerne la debolezza nella logica di una morte che dona la vita. Ma ciò che deve trasparire dalla nostra testimonianza è lo stesso sguardo di Stefano, uno sguardo che indica la meta della nostra vita, la comunione con il Signore Gesù, e che si trasforma in quella compassione che strappa il cuore dell’uomo alle tenebre del peccato.

Buon Natale!

Il Natale torna in mezzo a noi, e torna come un giorno amico degli uomini. Ed è bene che torni perché abbiamo bisogno di giorni che siano amici degli uomini, amici della vita. Sì abbiamo bisogno di giorni più sereni, che siano di vera rinascita della vita. Abbiamo bisogno del giorno del Natale perché il buio dei nostri giorni sia illuminato da quella luce che rischiarò la notte dei pastori. Non sempre i giorni passati ci sono stati amici. Penso a tutto ciò che abbiamo attraversato e ancora oggi con questa Pandemia. Alle persone che ci hanno lasciato, ai loro familiari colpiti dal lutto e che ancora piangono nel dolore del distacco, alle persone che hanno avuto bisogno di cure per la loro “positività” e per tutti coloro che sono segnati dal timore, dalla preoccupazione dell’ora presente e dalle minacce possibili, per la salute, per gli affetti e per il lavoro. Ricordiamole e ricordiamoci tutti insieme nelle Messe di Natale. Sono giorni ancora difficili.

In questo Natale vogliamo rivolgere a Dio una particolare preghiera perché possiamo superare questo momento e guardare con maggiore serenità il futuro. Abbiamo bisogno che il Natale torni. Viene l’angelo e ancora una volta ci ha annunciato che Dio ha mandato il suo Figlio sulla terra. Sì, il Signore, che veglia su di noi, si è commosso nel vedere la debolezza nella quale viviamo e non ha esitato a chiedere al suo Figlio di lasciare il Paradiso per venire sulla terra. È questo il senso profondo del Natale: Dio che si commuove di amore per noi al punto di preferire una stalla al Paradiso. Fermiamoci un momento a considerare questo evento. Aveva ragione l’antico canto dell’Adeste fideles, ossia “Fermatevi genti”, guardate questo mistero. Dio che per amore dell’uomo, pur di starci vicino, lascia il cielo e viene in una stalla. Quello che è ancor più straordinario, quel che è davvero misterioso, è la grandezza di questo amore. Dio si è fatto mendicante di amore per toccarci il cuore. E sa bene che se non lo accogliamo i nostri giorni saranno amari e tristi. Perché c’è una solitudine amara in tanti cuori? Perché abbiamo chiuso la porta del cuore all’amore che è venuto a cercarci. E se nei cuori non c’è l’amore, c’è la violenza e la cattiveria. Ma ecco Natale. E noi, di fronte all’annuncio che ci viene fatto di un Dio che si fa bambino, ci diciamo l’un l’altro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Sì, andiamo sino a Betlemme! Andiamo fino a Betlemme e abbiamo fatto nelle nostre case il presepe. Andiamo fino a Betlemme e veniamo ogni domenica alla messa, perché ogni domenica è Natale, ogni altare è la mangiatoia. Non dimentichiamolo.

Infatti, sull’altare, vediamo la stessa cosa che videro i pastori: essi videro un bambino avvolto in fasce, noi vediamo quello stesso bambino avvolto nel pane e nel vino. E come i pastori anche noi ci inchiniamo e veneriamo il nostro Salvatore. E i nostri giorni saranno benedetti. E sentiremo anche noi la gioia che provarono loro. C’è una gioia del Natale. Cos’è questa gioia? È  il sentimento profondo che non siamo più abbandonati, che c’è qualcuno, il Signore, che ci ama a tal punto da lasciare il cielo e venirci accanto. È la libertà di non essere più schiavi di noi stessi, di non pensare che se sbagliamo è finita. L’amore di Dio è molto più grande del nostro peccato, molto più forte delle nostre debolezze. Sì, la gioia del Natale è sapere di essere amati, e per sempre. Lo compresero bene quei pastori. Per questo se ne partirono da quella stalla pieni di gioia. Sapevano di aver trovato in quel Bambino l’amore, l’amore di un Dio che non ha esitato a scendere tra gli uomini e che per facilitare l’incontro non ha scelto di essere un uomo potente ma un bambino. Chi ha paura di un bambino? Ecco Dio si è fatto piccolo perché noi divenissimo grandi nell’amore. “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”

Amiamoci gli uni gli altri: il Natale è tutto qui, accogliere nel cuore l’amore di Dio e cercare di viverlo ogni giorno.

Le S. Messe di Natale

Quest’anno le S. Messe di Natale saranno un momento di massima attenzione alla sicurezza per il fatto di essere solitamente molto frequentate. Ricordiamo che la nostra chiesa dovrà continuare a mettere a disposizione solo 54 posti. Per partecipare alla Messa sarà necessario essere muniti di autocertificazione. Restano in vigore la misurazione della temperatura e l’igienizzazione delle mani. Vi chiediamo di collaborare e seguire le indicazioni del volontari riguardo all’assegnazione dei posti.

Per la Vigilia

ore 18.00 S. Messa Solenne Natale vespertina della vigilia
ore 20.30 S. Messa Solenne Natale della Notte

Per il Natale del Signore

ore 08.30 S. Messa Solenne Natale dell’aurora
ore 09.30 S. Messa Solenne Natale del giorno
ore 10.30 S. Messa Solenne Natale del giorno

I monti di Dio: Sion-Moria

1 Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?

Salmo 121

In questo mese la nostra riflessione sarà a questo secondo  Monte. Cosa scopriamo fermandoci su questo monte?

L’incontro Dio-uomo. Monte di Dio

Dopo il monte della fede e il monte della pace, ecco ora profilarsi in Sion il monte di Dio per eccellenza, il monte dell’incrocio e dell’abbraccio tra Dio e l’uomo. È bellissimo il termine con cui viene definito nella Bibbia il tempio; di per sé è il termine che viene usato quando si parla del santuario mobile nel deserto, lo si chiama in ebraico “la tenda dell’incontro”, naturalmente la tenda dell’incontro degli Ebrei tra di loro: è, infatti, il luogo dell’assemblea dei figli di Israele. Ma è anche il luogo dell’incontro e dell’abbraccio dell’uomo con Dio. Possiamo osservare allora come il santuario di Sion non corrisponda ai templi magici: qui si tratta dell’incrocio, dell’intreccio, dell’abbraccio di due libertà. È significativo il capitolo ottavo del Primo Libro dei Re dove si parla della grande preghiera di dedicazione del santuario di Sion che Salomone pronuncia dopo aver eretto il tempio.

Vi sono due frasi che ora riporteremo e che mostrano veramente come lì si compia l’incontro, il convegno. 

Al versetto 27 si dice: “I cieli e i cieli dei cieli, o Signore, non ti possono contenere, quanto meno questa casa che io ho costruita!”. Dio, che è infinito, non può essere compreso nel perimetro sacro di un tempio, Dio non può essere costretto magicamente a essere lì, ma come si dice al versetto 30: “Ascolta la supplica del tuo (…) popolo, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali dal luogo della tua dimora”. Possiamo qui osservare come Dio giunga dalla sua dimora celeste, che è il simbolo appunto della trascendenza, ad ascoltare il grido che l’uomo eleva verso di lui: ecco allora che il tempio di Sion diventa il luogo del dialogo.