Epifania del Signore

Oggi nei presepi delle chiese come in quelli delle case i Magi vengono a prendere posto accanto a Gesù, Giuseppe, Maria e i pastori. Nella tradizione popolare rappresentano, attraverso il colore della pelle, tutti i popoli del mondo. È una traduzione felice del vangelo di questo giorno. Gesù rimane uno straniero per i capi e per i sapienti del suo popolo (che non si muovono da Gerusalemme) e invece mobilita dei pagani, che superano ogni ostacolo pur di raggiungere il loro scopo. E si fermano solo quando sono arrivati a destinazione.

▶ Una storia di re. Al centro del racconto c’è anche lo scontro fra due re. Da una parte Erode, nominato re della Giudea; un re “turbato”, che vuole informarsi con precisione sul bambino ed essere rassicurato. Dall’altra il «re dei giudei», colui al quale i Magi vogliono rendere omaggio dopo aver fatto molti chilometri per presentargli i loro doni. Mettendo il re Erode a contatto con Gesù, Matteo vuole annunciare fin dagli inizi del suo vangelo il conflitto che opporrà progressivamente il vero re, il salvatore del popolo, alle autorità ufficiali. Da un capo all’altro del vangelo sempre lo stesso conflitto. Erode, Caifa, Pilato: i potenti di questo mondo che tremano per il loro avvenire e la loro carriera. E tuttavia la regalità di Gesù non si fonda sulla forza di un esercito: è una regalità che si esercita nel servizio e offre salvezza. Ci voleva costanza, da parte dei Magi, per sottrarre ore al sonno e al riposo e continuare a scrutare i cieli nella notte, per cogliere ogni traccia di luce. Ma la loro fatica e i loro sacrifici sono stati ricompensati quando è apparsa quella stella, così diversa da tante altre. Per questo, nel silenzio non possono fare a meno di aver inteso i battiti dei loro cuori. Ci voleva coraggio per abbandonare una vita tranquilla ed agiata, la propria terra e la propria gente. Ci voleva audacia per partire, per mettersi in viaggio, senza neppure una meta precisa, un obiettivo sicuro, mossi solo dal desiderio di comprendere quell’appello scritto nella volta del firmamento. Ci voleva determinazione per andare avanti, per macinare chilometri
e chilometri, accettando la polvere e la stanchezza di ogni giorno, i miraggi e le illusioni di un percorso accidentato, lasciandosi guidare solo da quella stella… Ci voleva umiltà per rivolgersi alla competenza di altri uomini, alle loro conoscenze, dando voce all’interrogativo tenuto desto da tanto tempo: «Dov’è il re dei Giudei che è nato?». La loro poteva sembrare addirittura impertinenza, spudoratezza di stranieri che si interessano agli affari che non sono di loro competenza, che vogliono intendere i segreti di un libro non destinato a loro. Ci voleva fiducia per accogliere la risposta saccente dei dotti che in ogni caso non si muovevano dalla capitale e prendere per buona l’antica indicazione del profeta. Ci voleva un cuore di poveri e di semplici per riconoscere in quel bambino, figlio di povera gente, sistemato dentro un alloggio di fortuna, il Messia atteso, il re destinato a governare per sempre. Ci voleva speranza per intravedere in quel piccolo d’uomo il protagonista autentico della storia dell’umanità e per offrirgli dei doni preziosi.
La loro costanza, tuttavia, il loro coraggio e la loro determinazione, la loro umiltà, la loro fiducia di poveri, la loro speranza sono ancor oggi i segni distintivi di tutti coloro che cercano sinceramente il volto di Dio e che finiscono irrimediabilmente con l’incontrarlo.

Pace

Come trovare la pace? Nella navigazione della nostra esistenza ci imbattiamo in alcuni scogli consistenti che si parano davanti a noi: il peso della vita quotidiana, i conflitti che lacerano, la sofferenza che ci schiaccia… Non sono gli unici a mettere seriamente in pericolo la nostra pace, la nostra serenità. Come ignorare, per esempio, il senso di colpa che paralizza la coscienza, la cattiva fede che impedisce ogni dialogo, la volgarità che sporca il clima sociale. Ma proprio dalla navigazione ci viene un’idea che a prima vista sembra paradossale: per sapere dove siamo dobbiamo guardare il cielo. Una pace che viene dall’alto e chiede il contributo di ciascuno. Questa pace è un dono di Dio, dono messianico perché destinato a cambiare la faccia della terra. E tuttavia non si tratta di una realtà magica: essa è affidata anche alle nostre mani, perché portiamo il nostro contributo. Ci vogliono cristiani attenti ai segni della presenza dello Spirito nei nostri tempi che genera speranza. È vero: la speranza è fragile ma è proprio lei a prenderci per mano e a trascinarci verso il futuro di Dio. Il suo sguardo ci aiuta a cogliere le tracce di un mondo nuovo, anche se queste appaiono coperte da tanti segni contrari, che indurrebbero alla disillusione e al disincanto. La sua bocca pronuncia parole che incoraggiano anche quando solo la tristezza e l’angoscia sembrano realistiche. Le sue mani, tenere e delicate, sono fatte apposta per ricucire strappi considerati ineluttabili, per lanciare ponti arditi sui baratri della terra, per stringere in una catena di solidarietà mani che hanno conosciuto solo il metallo spietato delle armi. È nel segno della speranza che siamo invitati a cominciare questo nuovo anno. Non una speranza generica, di chi si accontenta di un sogno qualsiasi. La nostra speranza ha un volto e un nome. Il volto di un uomo che è il Figlio di Dio.
Il suo nome è Gesù e annuncia a tutti un Dio che salva, che strappa l’umanità da ogni schiavitù e da ogni paura, per farle conoscere un’esistenza nuova.

Buon Anno

Un nuovo anno, un altro che si aggiunge a quelli che abbiamo attraversato. Che cosa ci riserverà? Solo Dio lo sa.
In ogni caso non rimarremo inerti, passivi: ad ognuno Dio ha affidato un compito per costruire una terra ospitale e fraterna. Che cosa vogliamo dire, in effetti, quando ci auguriamo: «Buon anno»? Conosciamo il vero valore del tempo. Ci viene donato per preparare l’eternità. È ritmato da avvenimenti che ci fanno progredire sul nostro cammino.
Il nostro augurio diventa così un impegno: a cogliere nel profondo di questo mondo, nonostante le sue ferite e le sue zone d’ombra, i segni tangibili della pace e della luce di Dio; a essere attenti a tutte le meraviglie di Dio che sono attorno a noi. Non rilevarle, non parlarne significa fornire uno spazio maggiore al male. Il nuovo anno, dunque, sarà un buon anno solo a queste condizioni, se ci preparerà all’eternità.

▶ Dio, fonte di ogni benedizione. Nelle diverse vicende della storia Dio non abbandona gli uomini al loro destino, ma garantisce la sua presenza. Li accompagna, cammina con loro, cioè “fa grazia” perché rivela la sua misericordia smisurata e dona loro la pace, cioè un’armonia sconosciuta: con lui, con gli altri uomini e con se stessi. Non possiamo prevedere ciò che ci accadrà nei giorni che ci stanno davanti e tuttavia non siamo smarriti e angosciati. A rassicurarci è la benedizione del Signore, cioè il suo amore. Più forte del nostro peccato, della nostra ingratitudine, della nostra fragilità. Sì, perché Dio ci ama incondizionatamente. Egli ha mandato il suo Figlio per fare di tutti gli uomini i suoi figli. E attraverso lo Spirito rende intima e profonda la nostra relazione con lui.

▶ All’insegna della gratuità. La gratuità è la verità dell’amore di Dio, ed è al tempo stesso la verità del nostro amore. Soltanto chi comprende questa gratuità nativa, originaria, dell’amore, è in condizione di comprendere Dio e se stesso. Ora, l’uomo è fatto per donarsi gratuitamente, totalmente e, quindi, nel farsi gratuità trova la verità di se stesso, tocca il suo essere “immagine” di Dio: Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. Come vivremo questa realtà nell’anno che ci sta davanti? Ci volgeremo totalmente e gratuitamente agli altri. E non solo perché si tratta di un comandamento, l’unico che Gesù ci ha lasciato, ma perché questa in fondo è la nostra vocazione, è l’unico modo di realizzare veramente la vita.
Vivremo la gioia di essere gratuitamente amati da Dio e, nello stesso tempo, la gioia (e la fatica) di donarci e di servire. Annunceremo il Vangelo di Gesù attraverso la gratuità del nostro amore, perché questo è il risvolto umano, tangibile, visibile di come Dio ci guarda e di come troviamo, in questo sguardo, la nostra consistenza. L’intera realtà poggia sulla gratuità: non sull’interesse e sul guadagno, sul rigidamente pattuito, ma sul dono. L’uomo e il mondo hanno bisogno di gratuità, e ce n’è poca. Certo, hanno bisogno anche di giustizia. Ma ci sono situazioni e atteggiamenti che non si possono racchiudere in leggi e contratti. L’aiuto fornito ai più bisognosi e trascurati, la pazienza e la generosità con cui vengono trattati i malati, la semplice cordialità di un saluto e di una risposta sorridente, profumano di gratuità e rendono bella la vita.
L’anno nuovo sarà, nonostante tutto, un anno di grazia, se saremo disposti ad accogliere la Buona Novella e a lasciarci trasformare dal suo amore!

Maria Santissima Madre di Dio

▶ Rivive il mistero del Natale. Oggi torniamo a contemplare il mistero del Natale: un Dio fatto bambino nel grembo verginale di Maria. Al centro c’è lei, la beata vergine Maria, una giovane donna disponibile alla volontà del Signore. C’è la madre di Dio. In lei sono realizzate le promesse. Con il suo «sì» ha reso possibile la salvezza, l’incarnazione del Verbo. In lei risplende il volto di Dio come mai prima era successo. Non possiamo non lodare Maria, non guardare il suo volto raggiante e pieno di amore.

▶ Maria la nostra guida. La chiesa pone lei all’inizio di un anno nuovo, carico di domande, di attese, di speranze, per vari motivi. Sicuramente per invocare la sua protezione. Abbiamo bisogno che Maria volga il suo sguardo pieno di misericordia su di noi che siamo in questa «valle di lacrime», lei che interceda presso suo Figlio perché ci aiuti a risollevarci dalle nostre cadute. Ma abbiamo anche bisogno che Maria ci aiuti a modellare la nostra vita sulla sua, che ha saputo essere docile alla Parola del Signore: l’ha ascoltata, meditata e vissuta.

▶ Maria immagine dell’autentico credente. Maria è l’immagine dell’autentico credente, colei che grazie al silenzio interiore sa fare memoria delle grandi cose che il Signore compie per ognuno di noi, così da non scivolare nella dimenticanza, nella superficialità e nell’ingratitudine. Abbiamo tutti bisogno di meditare di più, di diventare uomini e donne pensanti, per capire dove stiamo andando e dove vogliamo portare il mondo. Abbiamo bisogno che la donna di Nazaret ci aiuti a custodire e a mettere insieme i pezzi, a volte disordinati, della nostra vita. Maria ci aiuta a passare da un ascolto attento a una pratica operosa, in grado di comporre e ricomporre gesti di carità fraterna verso i fratelli e le sorelle che ci vivono accanto. Maria, col suo esempio, indica anche alla chiesa, alla nostra parrocchia, la strada della conversione, per comprendere ciò che il Signore ci chiede di fare in questo tempo così complesso. Ella ci dona lucidità per compiere scelte fedeli al Vangelo, per confermare o potenziare le attività che portano con sé il suo lievito buono, ma anche per eliminare inutili zavorre che rallentano il nostro cammino. Maria ci chiama a generare il Signore ogni giorno dentro di noi e nella chiesa, così che essa sia veramente grembo che genera alla fede.

Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria

Nell’ultima domenica di questo anno, mentre siamo ancora immersi nel clima gioioso della festa del Natale, la Chiesa ci invita a contemplare la Santa Famiglia di Nazaret.
Il messaggio che proviene dalla Santa Famiglia è anzitutto un messaggio di fede. Nella vita familiare di Maria e Giuseppe Dio è veramente al centro, e lo è nella Persona di Gesù. Per questo la Famiglia di Nazaret è santa. Perché? Perché è centrata su Gesù. Quando genitori e figli respirano insieme questo clima di fede, possiedono un’energia che permette loro di affrontare prove anche difficili, come mostra l’esperienza della Santa Famiglia, ad esempio nell’evento drammatico della fuga in Egitto: una dura prova. Il Bambino Gesù con sua Madre Maria e con san Giuseppe sono un’icona familiare semplice ma tanto luminosa. La luce che essa irradia è luce di misericordia e di salvezza per il mondo intero, luce di verità per ogni uomo, per la famiglia umana e per le singole famiglie. Questa luce che viene dalla Santa Famiglia ci incoraggia ad offrire calore umano in quelle situazioni familiari in cui, per vari motivi, manca la pace, manca l’armonia, manca il perdono. La nostra concreta solidarietà non venga meno specialmente nei confronti delle famiglie che stanno vivendo situazioni più difficili per le malattie, la mancanza di lavoro, le discriminazioni e anche difficoltà a capirsi e anche di disunione… In questa domenica ci ritroviamo come comunità cristiana attorno alla Mensa del Signore pregando per la nostra e per tutte le famiglie. Affideremo a Gesù, a Giuseppe e a Maria, tutte le famiglie del mondo, affinché possano vivere nella fede, nella concordia e nell’aiuto reciproco.

Te Deum: preghiera di lode e di affidamento al Signore

Nell’ultimo giorno dell’Anno, ci ritroveremo come comunità cristiana, per cantare insieme, al termine della Solenne Celebrazione delle ore 18.00, il Te Deum. Un atto comunitario di fede e ringraziamento al Signore per l’anno che si sta concludendo e per affidare a Lui, alla sua Grazia e Benevolenza il nuovo anno. Insieme al Gloria in excelsis Deo, è l’inno più antico ed è l’espressione che maggiormente simboleggia il sacro. È completamente proteso verso l’alto per rendere lode al Signore e chiedere protezione e salvezza, come se le parole volessero salire per giungere fino al Padre e poi allargarsi e discendere nuovamente verso gli angeli, gli apostoli, i profeti, fino agli uomini, per poi risalire ancora e di nuovo, con tutto l’afflato e la potenza della preghiera e della fede. È un inno che parla di una liturgia celeste che celebrano gli angeli e alla quale partecipano anche gli uomini.
Tuttavia, si tratta di un ringraziamento non rutilante, piuttosto è espressione di un’accettazione paziente della durezza che riserva la vita sulla terra. La vita umana non è nulla se non viene sostenuta dalla misericordia del Signore. Perché tutto è nulla se non c’è la sua pietà, affinché non siamo confusi in eterno. 
E proprio con queste parole, infatti, si chiude l’inno. 

Natale

Il Natale ci mostra l’umanità di Dio, che è il volto alto e puro dell’uomo, la sua capacità di abbracciare l’infinito e abbracciare anche il più piccolo bambino. Natale è la tenerezza di Dio. Gesù è il bacio di Dio germogliato sulla terra. 
Natale è il profumo di Dio nella vita. A cosa serve il profumo nella vita? Serve a dire che c’è un amore accanto a te, a sentire la gioia che non sei solo.
La nascita del Dio Bambino rende possibile la costante e reale rinascita di ciascuno di noi, quando ci lasciamo raggiungere da Lui, in ogni istante della giornata.
Natale è Natale se e raggiunge la vita. Natale è danzare la vita con Dio.
Che Natale dia senso al nostro cammino: in cammino come i pastori, liberi dalle false sicurezze del recinto; in cammino come Giuseppe, con gli occhi vigili della sentinella seguendo umilmente la vita; in cammino come Maria, consapevoli di avere la vita vera dentro la nostra vita, pazienti e resistenti affinché la vita profumi di futuro; in cammino con Gesù, così vicini alla vita da credere alla possibilità di cambiamento dell’uomo. Camminiamo insieme con la torcia lucente, una finestra aperta sulla notte, perché l’ardente amore possa entrare.

La bontà, la bellezza e la sapienza di Dio hanno preso la carne di un uomo

La contemplazione di Dio che si fa uomo induce anche tutti noi a percepire in maniera chiara la meraviglia sempre nuova della bontà di Dio. La meraviglia non è aver conosciuto un Dio tanto potente e grande verso cui elevarci, tanto buono e misericordioso per cui consolarci, quanto un Dio che nella sua bontà si svuota della sua onnipotenza per condividere la vita e la storia dell’umanità.
A partire da questa verità la meraviglia che invade la nostra esistenza diventa lieta notizia che aiuta e leggere gli eventi della storia con uno sguardo ampio, perché Gesù non è soltanto il mistero di Dio di fronte all’uomo, ma anche il mistero dell’uomo di fronte a Dio.
Per rivelarsi e comunicarsi Dio ha scelto la via dell’incarnazione, cioè una profonda condivisione dell’esperienza umana facendola propria. La condivisione di Dio è espressa da un segno chiaro come ci dice la sacra Scrittura: «Questo il segno: troverete un bambino avvolto in fasce in una mangiatoia»; segno dice qualcosa di visibile e di convincente, ma dice anche qualcosa che rinvia.
Il segno non ferma lo sguardo su di sé, ma rinvia altrove.
Il Natale che desideriamo celebrare non viene solo a titillarci con le nenie e le luci sfolgoranti, ma ci chiede di essere segno di una nuova umanità innestata da Cristo nel cuore della storia per ridare all’uomo il senso pieno e autentico dell’esistenza. Nella Vita Prima di S. Francesco scritta da Tommaso da Celano si narra che il santo poverello di Assisi si trovava a Greccio nel Natale del 1223 dove realizzò il primo presepe vivente della storia, così leggiamo nel racconto: «Il Bambinello giace privo di vita nella mangiatoia, Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo.
Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché per i meriti del Santo, il bambino Gesù veniva risvegliato nel cuore degli uomini che l’avevano dimenticato e il ricordo di lui rimaneva impresso nella loro memoria.
Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia».
Questo episodio aiuta a capire che il vero senso del Natale è: risvegliare Cristo nel cuore degli uomini. Come cristiani, come comunità cristiana, siamo chiamati a ridestare, nelle persone che incontriamo nella nostra famiglia, nei vari ambienti di lavoro o di svago e lungo il cammino, il desiderio e il bisogno di Cristo ed aiutarli a comprendere, con umile e serena fiducia, che solo Lui dona quella gioia ineffabile che dà senso alla vita.

Concerto di Natale

DOMENICA 10 DICEMBRE, ALLE 18, IN SCENA UN CAPOLAVORO DELLA MUSICA SACRA: LA GROSSE MESSE K 427 DI MOZART

CORO E ORCHESTRA DEL COLLEGIUM VOCALE DI CREMA

Nel 1783, Wolfgang Amadeus Mozart viveva a Vienna da tempo dopo essere stato al servizio dell’Arcivescovo di Salisburgo Colloredo. Decise, seppur senza avere ricevuto alcuna commissione, di comporre una Messa, probabilmente come ringraziamento per la guarigione della moglie Constanze. Nacque così un capolavoro unico della musica sacra: la Grosse Messe k 427, rappresentata per la prima volta nella Peterskirche dei benedettini a Salisburgo il 25 agosto del 1783. Una composizione per soli, coro e orchestra, che restò però incompiuta. Mozart non aveva fretta di concluderla e così rimase per sempre sospesa.
Domenica 10 dicembre, alle 18, nella Chiesa Parrocchiale di San Fiorano, il Coro e Orchestra del Collegium Vocale di Crema interpreteranno proprio la Grande Messa. Un’opera imperdibile caratterizzata da una impareggiabile maestosità sonora. Le parti del solista furono pensate da Mozart proprio per la moglie Constanze, una valida cantante dell’epoca. Nell’opera sono evidenti il ringraziamento per la guarigione della moglie, il dolore per la recente perdita di un figlio e la fede in Dio, salvifica e trionfatrice sulla morte. Giampiero Innocente, direttore del Collegium Vocale, ha definito i due Hosanna che chiudono la composizione come ‘quanto di più solenne e ardito si potrebbe scrivere’. La Grosse Messe è composta da Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Benedictus.
Vi aspettiamo numerosi per un appuntamento unico.

Battesimo del Signore

Il Battesimo inaugura una nuova fase della vita di Gesù. Egli è presentato ufficialmente al mondo dal padre come il Messia che parla e agisce autoritariamente in nome suo. È questo l’inizio della cosiddetta vita pubblica di Gesù. Da qui cominciano quei “Ma io vi dico …” e quel parlare “con autorità” che stupiranno gli Scribi e i Farisei. Nella fase più antica, era da questo momento che cominciava la narrazione della vita di Cristo. Marco, infatti, il primo evangelista, inizia con il Battesimo nel Giordano il suo Vangelo. Pietro nel discorso riportato dagli Atti degli Apostoli, fa del Battesimo di Gesù l’inizio della sua storia: fu nel Battesimo infatti che Dio “consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth”. Perché tutta questa importanza? Anzitutto, essa è legata alla manifestazione dello Spirito. Giovanni Battista aveva caratterizzato le due epoche così: io vi battezzo con acqua egli vi battezzerà in Spirito. La discesa dello Spirito è il “via!” alla redenzione; essa indica che è cominciata la nuova creazione perché lo Spirito è riapparso sulle acque come alle origini. Lo Spirito era già in Gesù di Nazareth per la nascita.
Esso era disceso su Maria, prima ancora che nel Giordano. Ma là si era trattato di un avvenimento avvenuto nel segreto, rimasto sconosciuto; qui invece c’è la manifestazione al mondo della venuta dello Spirito. L’unzione profetica e messianica di Gesù è palesata al mondo.
Nel suo Battesimo Gesù appare l’atteso sul quale si è posato lo Spirito del Signore, come era stato scritto dal profeta Isaia.
L’importanza del Battesimo, oltre che alla manifestazione dello Spirito, è legata anche alla solenne proclamazione del Padre: “Questi è il mio figlio diletto, ascoltatelo”. Colui che si era fatto il servo è proclamato adesso figlio è il vertice dell’Epifania: non più una stella, ma la voce stessa del Padre che rivela agli uomini chi è Gesù di Nazareth: il figlio beneamato del Padre celeste.
Gesù ha confermato il senso di questa dichiarazione, chiamando costantemente Dio con il nome di Abbà, Padre. Dalle sue parole e dal suo agire affiora la coscienza di essere il Figlio di Dio.
Il Vangelo, specie quello scritto da Giovanni, ce lo mostra in un dialogo ininterrotto con il Padre che continua quello esistente in seno alla Trinità. Tutta la nostra fede è ancorata a questa coscienza di Gesù. Egli ci salva perché è Figlio di Dio; egli fa di noi dei figli adottivi di Dio perché Lui che era figlio naturale si è fatto nostro fratello. “A coloro che ,o hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. A noi non importa se quelli che vissero con Gesù furono coscienti di questo segreto fin dall’inizio e ne capirono la portata. Ciò che importa veramente è sapere che Gesù, Lui, ne era consapevole e ne ha lasciato delle prove sicure durante la sua vita terrena.
La conseguenza di questa rivelazione è nelle parole del Padre al momento della Trasfigurazione che continua idealmente la teofania del Battesimo: “Ascoltatelo!”.
Dobbiamo ascoltare Gesù che ci parla ancora oggi, perché Egli ci parla in nome di Dio.
Questo imperativo però non significa solo prestategli attenzione, o mettete in pratica ciò che vi Dice. Significa soprattutto credergli, dare la vostra adesione di fede a Lui, accogliere la sua persona, prima ancora che la sua parola.