Santo del mese: San Vincenzo Grossi

Il fondatore dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio, Vincenzo Grossi, nasce a Pizzighettone (CR) il 9 marzo 1845 da Baldassarre e Maddalena Capellini, penultimo di dieci figli. Il padre è mugnaio e tutta la famiglia è impegnata in questo lavoro. Il clima familiare favorisce in Vincenzo una armonica crescita umana, basata sui valori della laboriosità, dell’onestà, della fortezza, e una buona vita cristiana, grazie all’esempio dei genitori e all’inserimento nella comunità parrocchiale. A proposito di questo periodo usava dire “la scuola più bella è quella della mamma”.
A undici anni, dopo avere ricevuto per la prima volta Gesù Eucaristia, Vincenzo incomincia a sentire l’attrattiva verso la vita sacerdotale e il dono totale al Signore. Si confida con la mamma, desidera entrare in seminario, come già il fratello Giuseppe, ma le realistiche motivazioni del padre impongono una attesa: è urgente il contributo di Vincenzo, ragazzo forte e di buona volontà, nel lavoro al mulino.
Vincenzo non si scoraggia e nel corso degli anni il suo ideale si rafforza. Unisce la doppia fatica del lavoro e dello studio. Attende “l’ora di Dio”, secondo una espressione che gli diverrà abituale.
Nel frattempo si fa un programma di vita ed è fedele nell’osservarlo. La pazienza e la perseveranza creano il terreno adatto per la sua entrata in Seminario, che avviene nel 1874, a diciannove anni.
Vincenzo si applica con profitto agli studi e ottiene buoni risultati: è gioviale, vivace e disciplinato.
Si dedica all’apostolato fra i più giovani, manifestando un positivo ascendente nei loro confronti.
Vincenzo Grossi viene ordinato nella Cattedrale di Cremona il 22 maggio 1879.
Dopo le prime esperienze pastorali, viene quindi nominato parroco di Regona, frazione di Pizzighettone, dove rimane per dieci anni. La posizione marginale, l’ambiente semplice e rurale, la povertà diffusa, l’indifferenza religiosa non scoraggiano il giovane sacerdote, il quale trova nella preghiera la forza per vivere l’intimità con Gesù che si traduce nella sollecitudine verso il suo popolo.
Don Vincenzo dà ai propri parrocchiani il solido nutrimento dell’Eucaristia e della Parola di Dio.
Prega, studia, prende l’iniziativa di aprire la propria casa ai ragazzi per il catechismo, per dare un po’ di istruzione, perché possano giocare in un luogo sicuro e anche trovare un po’ di cibo che possa compensare la povertà della mensa familiare. Don Vincenzo tollera gli schiamazzi e anche i danni alle sue suppellettili. La sua preoccupazione e il suo conforto vengono dalla certezza che quando i ragazzi sono con lui possono stare lontani dai pericoli materiali e morali. Per se stesso sceglie uno stile connotato dalla povertà; dà la parte migliore ai più bisognosi, nei quali vede il volto di Cristo, e alle missioni, per favorire l’espansione del Regno di Dio. Si dedica assiduamente all’amministrazione del sacramento della confessione e alla direzione spirituale. Invita all’apertura della coscienza, perché la Grazia possa meglio agire anche attraverso la sua umanità. Tempra la propria personalità volitiva con la pazienza dell’agricoltore che getta il seme, ma non pretende di vedere subito il frutto della propria fatica. Impara ad accogliere anche gli insuccessi e le contraddizioni. Accetta di “morire” nella piccolezza del quotidiano, come il seme che può portare molto frutto dopo che si è donato. Confronta la propria fede con un ambiente sociale in rapida evoluzione.
Tante situazioni lo interpellano, lo fanno pensare, coinvolgono la sua coscienza di credente e di pastore.

Verso la fine del mese Missionario

Cuori di viandanti

Se tutto si chiudesse nell’enfatizzazione di un momento, nell’entusiasmo dettato da un forte sentimento, avremmo avuto accesso a una memoria, ma non necessariamente al pulsare di un cuore vivente. Il rischio sempre forte è di chiudere il ri-cordo in un atteggiamento di nostalgia, volendolo custodire isolandolo dalla vita. Così potrebbe esserlo anche per il mese di Ottobre: al suo termine archiviare nella memoria la dimensione missionaria, da riaprire l’anno successivo nello stesso mese. È il rischio di sempre e che anche nel Vangelo è ampiamente attestato. Non è sufficiente che Gesù, come nel discorso nella sinagoga di Cafarnao, porti al cuore di ciò che alimenta la vita. Spesso c’è una “sclerocardia” che denota l’ostinata insensibilità all’annuncio della volontà di salvezza da parte di Dio.
È quella rigidità che impedisce di accogliere e di sintonizzarci con il ritmo dell’esperienza dettata dal Vangelo, cosicché «molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non volevano più camminare con lui». Andare al “cuore” non è qualche cosa di statico, ma provoca a un movimento, a stare nel cammino del Vangelo con i propri piedi, con la forza e l’espressione gioiosa di essere messaggeri di un annuncio che è diventato parte della propria vita.
Così, senza un cuore che arde non è possibile avere piedi in cammino: «Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!». Il camminare è un atteggiamento della fede, così come i lebbrosi che si trovano guariti durante il cammino; è lo stile del missionario che «strada facendo» porta i discepoli a dirsi parte di quel grande pellegrinaggio che caratterizza il cammino di ogni donna e di ogni uomo. Non è possibile annunciare se l’esperienza del cammino non ci appartiene, se non ci appartiene la fatica, la callosità e le ferite dei piedi proprie di ogni pellegrino.
Piedi che sanno stare sul terreno della ricerca e dell’incontro. Di conseguenza, tutti noi siamo chiamati a contemplare il cammino che evoca il pellegrinaggio di ogni persona che cerca Dio con onestà e riscontrabile nel viaggio dei magi, un tracciato di strada sorretto dalla disponibilità autentica a mettersi in gioco.

Dedicazione della nostra Chiesa (2)

Ma perché si parla prima di “benedizione” e poi di “dedicazione”? 
Quando la costruzione di una chiesa è terminata, viene benedetta, invocando la benevolenza e la presenza del Signore su di essa. In seguito quel luogo può anche essere dedicato ad altro scopo, come succede quando, in una nuova parrocchia si celebra inizialmente in un capannone o in una sala o in un prefabbricato. Quando invece la chiesa viene “dedicata” significa che la si vuole destinare in modo definitivo al culto. Il rito della dedicazione può però essere celebrato solo quando la chiesa possiede un altare fisso. Non si tratta di passaggi burocratici.
Come per tutte le nostre case, si tratta di momenti che segnano una storia di amore di chi abita i luoghi, di chi li ha sognati proprio perché esprimino, custodiscano e incrementino la storia di bene di chi li abita. Così è anche tra di noi e con il Signore.
La chiesa è un edificio in cui Dio e l’uomo vogliono incontrarsi; una casa che ci riunisce,  in cui si è attratti verso Dio, ed essere insieme con Dio ci unisce reciprocamente.

“Perché farne memoria ogni anno? E come mai è una “solennità”, cioè il grado più alto delle feste cristiane, come il Natale, la Pasqua, l’Ascensione, la Pentecoste?” Potremmo chiamarla “la solennità della Chiesa locale”: attraverso il segno del tempio manifestiamo il nostro essere pietre vive dal giorno del Battesimo, la nostra comunione con la Chiesa diocesana e il nostro vescovo, la nostra missione di annunciare il Vangelo come grembo che genera altri alla fede, il dono immenso che ci viene fatto ogni volta che ci riuniamo in santa assemblea per celebrare l’Eucaristia!!

Celebrare questa solennità per la nostra comunità cristiana significa che siamo unici, ma in un corpo armonioso. Siamo speciali, ma in una comunione universale.
Proprio perché siamo noi, con la nostra storia, la nostra originalità, il nostro cammino, talvolta fattoo di slanci, altre volte di incertezze, mancanze, ma siamo parte irrinunciabile della Chiesa.
Non solo noi, ma non senza di noi.

Vendita di fiori

Sabato 28 e domenica 29 ottobre, nell’imminenza della Solennità di Tutti i Santi e della Commemorazione di tutti i defunti, l’oratorio organizza, prima e dopo le sante messe festive, una bancarella di fiori, nella Chiesina, a fianco della Chiesa Parrocchiale.
Il ricavato sarà per l’oratorio stesso.

Grazie mille agli organizzatori e agli acquirenti.

Dedicazione della nostra Chiesa (1)

La solennità della Dedicazione della propria Chiesa, che per noi sarà celebrata sabato 28 e domenica 29 ottobre, durante le sante Messe festive, è un grande avvenimento di fede e di memoria grata per la nostra comunità parrocchiale.
La prima pietra di una chiesa è simbolo di Cristo. La Chiesa poggia su Cristo, è sostenuta da lui e non può essere da lui separata. Egli è l’unico fondamento di ogni comunità cristiana, la pietra viva, rigettata dai costruttori ma scelta e preziosa agli occhi di Dio come pietra angolare. Con lui anche noi siamo pietre vive costruite come edificio spirituale, luogo di dimora per Dio. Questa è la realtà della Chiesa; essa è Cristo e noi, Cristo con noi. Egli è con noi come la vite è con i suoi tralci.
La Chiesa è in Cristo una comunità di vita nuova, una dinamica realtà di grazia che promana da lui.

Ma cosa significa la parola “chiesa”? 
Il termine deriva dal greco ekklesía, che significa “assemblea” o “coloro che sono convocati”.
Il significato fondamentale di “chiesa” non è quindi quello di un edificio, ma di persone.
Il contenuto (le persone) ha in seguito dato il nome anche al contenitore (l’edificio).

Santo del mese: Beato Carlo Gnocchi

Frasi di don Carlo Gnocchi

“Tu solo, per sempre” è l’immutabile parola di quelli che si amano. L’amore che si limita, l’amore episodico, non è amore, è passione.
Non esistono malattie, ma malati, cioè un dato modo di ammalarsi proprio di ciascuno e corrispondente alla sua profonda individualità somatica, umorale e psicologica.
In un mondo come il nostro, inaridito, agitato, maniaco, è necessario mettere olio d’amore sugli ingranaggi dei rapporti sociali e formare nuclei di pensiero e di resistenza morale per non essere travolti.
L’amore è la più benefica, universale e santa di tutte le forze naturali, per la quale l’uomo può evadere dalla clausura dell’io per donarsi, e diventare fonte viva e luminosa di altre vite nel mondo.
Dopo tante antiche e recenti disillusioni, qualcuno può essere tentato di raccogliersi nella propria solitudine e rifiutare l’offerta di nuove amicizie; ma io dico che deve battersi contro questa amara e pericolosa tentazione.
La guerra nasce da un disordine morale, molto prima che da uno squilibrio economico, o da una perturbazione dell’ordine politico. La guerra nasce dalla colpa.
La religione, per questa gente [gli alpini], non è mai un momento o un episodio; è uno stato, una forma, un modo di vita; sangue vivo e succo vitale.

La sfida del Ricordare (2)

Hanno fatto esperienza del Risorto, risentono il vibrare della sua Parola, la stessa che ora li motiva verso un futuro inedito, non più orientato dalle proprie certezze, ma dalla forza di una promessa e della fedeltà dell’amore, da ciò che permette loro di sentire “ardere il cuore”. A partire da quella Parola riconsegnata e dai gesti che Gesù ha compiuto nella condivisione eucaristica, riscoprono il significato della sua vita e della sua morte come dono di comunione, come incontro che ora permette a loro di riconoscere il Signore come colui che è in grado di offrire una relazione di comunione e di donare vita.
Proprio questa memoria riattivata, con la possibilità di accedere al “cuore” della vicenda di Gesù, permette l’“ardere del cuore”, una passione per la vita che desiderano consegnare anche ad altri, a partire dalla loro comunità. I loro piedi ora si muovono in un cammino di condivisione testimoniando che l’incontro con il Signore dà una sensatezza alla ricerca del vivere umano.
Dalla disponibilità a lasciarci incontrare, interrogare, accompagnare e permanere nella relazione con il Risorto, è consegnata la possibilità di andare al “cuore” di una concreta possibilità di stare nella vita, anche quella ferita. Allo stesso tempo, proprio quel ri-cordare ci pone nelle mani un “defibrillatore” inconsueto in cui riattivare il palpito della vita attraverso le parole e i gesti compiuti da Gesù, e che rimandano al cuore dell’annuncio cristiano: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti».
Un annuncio che tutti dovrebbero sentire per riconoscervi una presenza in grado di rianimare alla vita, e di renderla umanamente significativa.

La sfida del Ricordare (1)

C’è un incontro che riaccende la fiamma della speranza, la possibilità di risentire il palpito del cuore e il suo ardore e porterà i due discepoli a dire: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre …».

Loro che prima erano «tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti», ora si trovano aperti a una nuova storia, lanciati verso un nuovo cammino. In una semplice congiunzione, “mentre”, l’assenza di speranza che li accompagnava, è ora volta a una direzione diversa, lasciando intravedere ciò che ha riattizzato la fiamma, il calore della vita. Un incontro che riconsegna la memoria di una Parola e la condivisione del dono della vita, e che dà impulso a un nuovo cammino, così da offrire ciò che fino a poco prima sembrava disperante e che ora, invece, lascia spazio al miracolo di un riconoscimento: «si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero». In quel “mentre” c’è una consapevolezza nuova che ora li abilita alla missione che li attende e, prima ancora, a un ri-cordare, a un riandare al cuore dell’esperienza stessa di Gesù. Tornano all’essenziale a ciò che era il vero motivo della loro ricerca, sperimentando come la vita contrassegnata dall’amare fino alla fine, anche se apparentemente fallimentare, è una vita pienamente riuscita. Questo motivo di speranza permetterà a loro di tornare ora nella stessa città e comunità da cui si erano allontanati.

Rosario con intenzioni missionarie

In questo mese di ottobre, preghiamo insieme come comunità parrocchiale, prima di ogni santa messa feriale, il Rosario missionario. Lo scopo è, come aveva sottolineato san Giovanni Paolo II “inventando il rosario missionario”, di far pregare per la pace nel mondo e per la conversione di tutti gli uomini. I cinque colori diversi rappresentano i cinque continenti e richiamano l’intenzione secondo la quale si deve pregare. La decina del Rosario, quella bianca è per la vecchia EUROPA, perché sia capace di riappropriarsi della forza evangelizzatrice che ha generato tante Chiese; la decina gialla è per l’ASIA, che esplode di vita e di giovinezza; la decina verde è per l’AFRICA, provata dalla sofferenza, ma disponibile all’annuncio; la decina rossa è per l’AMERICA, vivaio di nuove forze missionarie; la decina azzurra è per il continente dell’OCEANIA e dell’Australia che attende una più capillare diffusione del Vangelo.
Un rosario è “missionario” quando è capace di andare fino ai confini del mondo non soltanto con le parole, le lingue e le intenzioni, ma anche con il cuore! Un rosario è “missionario” quando ogni singola parola del rosario ti interpella, te la senti addosso, ti scorre nelle vene e non ti lascia la coscienza tranquilla per il solo fatto che hai pregato per quell’intenzione missionaria! 
Un rosario è “missionario” quando il pregare “per” e il pregare “con” coincidono! 
Un rosario è “missionario” quando il tempo della preghiera è lo spazio dove inizi ad agire! 
Un rosario è “missionario” quando lo reciti con cuore, mente, mani e occhi apertissimi…
per sconfiggere il peggiore di tutti i mali: l’indifferenza! Infine, un rosario è “missionario”
quando avrai il coraggio e la forza di vivere il resto della tua vita… a colori!

Bancarella di torte e oggetti pro-Missioni

Sabato 21 e domenica 22 ottobre, in Chiesina, prima e dopo le sante Messe, il Gruppo Missionario Parrocchiale organizza una bancarella di prodotti e oggetti missionari e vendita di torte fatte in casa.
Il ricavato sarà versato al Centro Missionario di Lodi in occasione della Giornata Missionaria Mondiale. Invito, le signore esperte in cucina, a preparare le torte per la vendita. Grazie mille