Emozione ad essere uomo: aspetto cognitivo

Parlare oggi di emozioni significa interrogarsi sul significato più profondo (antropologico) dell’uomo. In prospettiva pedagogica e pastorale, questo invito si fa sempre più urgente e parlare di emozioni significa parlare dell’uomo, della sua vitalità, delle sue caratteristiche e di quello che lo costituisce, non esaurendosi in particolari abilità o specifiche competenze. Queste non hanno un mero compito strumentale, dal momento in cui sono parte dell’uomo e sono antecedenti della sua capacità razionale.
L’uomo è fatto di emozioni, ne compongono l’interiorità e queste sono processi della conoscenza, intesi sul piano funzionale come guida del comportamento. Nonostante la nostra storia occidentale stia uscendo solamente negli ultimi decenni da secoli di tabuizzazione del vissuto emotivo, la mentalità biblica è decisamente aperta a questo discorso: Sansone che fa fuori mille uomini con una mascella d’asino come arma, il popolo che piange di commozione quando sente pronunciare, dopo decenni, la legge di Dio che credeva dimenticata, Giobbe che si lamenta per quasi 40 capitoli, Giona che fa il risentito, Gesù che grida come un matto nel tempio e piange a dirotto quando muore Lazzaro (ecc.).
La Bibbia è un testo coloratissimo di emozioni e la storia della Salvezza non può fare a meno del temperamento dei suoi eroi. Per questo, il cammino che è stato proposto al grest ha voluto ribadire la necessità di riconoscere, nominare, esprimere e comprendere le emozioni, per armonizzarle all’esercizio del pensiero e al comportamento nelle relazioni.

Santi Pietro e Paolo (3)

Molto diversa è la vicenda umana e spirituale di Paolo di Tarso, che, a differenza di Pietro, non ha modo di incontrare il Gesù storico lungo le strade della Palestina. Lo incontra invece in modo misterioso, dopo anni di feroci persecuzioni contro la Chiesa. Per una parte della sua vita Saulo (questo il suo nome prima della conversione) è un uomo inflessibile, spietato, e colpisce i Cristiani con una determinazione che sembra sconfinare nel fanatismo. Poi, improvvisamente, accade qualcosa. Tutta la vita dell’Apostolo è segnata da quell’evento.
È difficile per noi capirlo, perché, in realtà, Paolo stesso comprende solo al momento della morte che cosa abbia significato per lui quell’episodio. È la cosiddetta folgorazione sulla via di Damasco.
È quell’incidente di percorso che lo costringe a un cambio di prospettiva. E ad incamminarsi verso una vita nuova: inizia così il suo apostolato. Paolo comprende che il messaggio evangelico non si può limitare alle comunità giudaiche, ma ha una dimensione universale. Con lui la Chiesa si scopre a tutti gli effetti missionaria, aperta ai “gentili”, i pagani, i lontani. Uomo caparbio, infaticabile, di grande cultura, eccellente oratore, Paolo abbandona le sue sicurezze per mettersi costantemente in gioco, spinto da un’unica certezza: «per me vivere è Cristo», come scrive lui stesso nella Lettera ai Filippesi. I suoi viaggi lo portano dall’Arabia alla Grecia, dalla Turchia all’Italia. A Roma viene arrestato, ma per un certo tempo riesce, pur tra mille difficoltà, a predicare. Come Pietro muore martire. 
Le sue 13 lettere, inserite nel canone del Nuovo Testamento, sono un pilastro dottrinale del cristianesimo e un riferimento imprescindibile per i fedeli di tutte le epoche storiche e di tutti i continenti.

La storia dei due santi è decisamente diversa ma entrambi hanno svolto un ruolo essenziale per la costruzione della chiesa che viviamo e che conosciamo. Due vite diverse accomunate dall’amore per Gesù e dall’impegno per diffondere il Suo Messaggio di Fede. A Roma Pietro ritrova Paolo. Non sappiamo se nel quotidiano della testimonianza cristiana, ma certamente nel segno grande del martirio. Paolo, “l’altro”, l’apostolo differente, posto accanto a Pietro nella sua alterità, quasi a garantire fin dai primi passi che la Chiesa cristiana è sempre plurale e si nutre di diversità.

Santi Pietro e Paolo (2)

Di Simone (poi ribattezzato Pietro da Gesù stesso) i Vangeli, solitamente molto parchi nelle caratterizzazioni psicologiche, ci offrono un ritratto vivido. E’ irruento, sanguigno: parla e agisce d’impulso, al punto da meritarsi i rimproveri del Maestro. Ma è anche colui che, ispirato dallo Spirito Santo, intuisce prima degli altri la natura divina di Gesù: «Io credo Signore che tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». Da qui la chiamata a una particolarissima missione, quella di guida e sostegno della comunità. «E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». E’ questo stesso primato che la Chiesa cattolica riconosce nel Papa, i cui simboli, le chiavi e l’anello del pescatore, immediatamente rimandano alla figura dell’apostolo.
Umanissimo nella sua fragilità, Pietro è, come gli altri discepoli, smarrito nel momento terribile della condanna e dell’agonia di Gesù. Ma più degli altri porta addosso un peso. 
«Non conosco quell’uomo»: con queste parole per tre volte rinnega pubblicamente Cristo, abbandonandolo di fatto al suo destino. Eppure, paradossalmente, proprio questo episodio gli consente di sperimentare, forse più di chiunque altro, l’abbraccio della misericordia. «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?», gli domanda per tre volte il Risorto, rinnovando poi subito la chiamata a guidare il gregge dei fedeli «Pasci le mie pecorelle». Una chiamata cui, dopo la Pentecoste, l’apostolo consacra la vita, diventando un riferimento per i Cristiani a Gerusalemme, in Palestina, ad Antiochia, e operando miracoli nel nome di Gesù. Fin qui le fonti bibliche: il resto è tradizione.
Varie testimonianze raccontano di un trasferimento a Roma.
Nel cuore dell’impero il discepolo vive per alcuni anni, predica e coordina la comunità

Santi Pietro e Paolo (1)

San Pietro e Paolo sono due apostoli molto diversi tra loro, ritenuti essenziali per la storia della chiesa. Il 29 giugno è il giorno dedicato ai due santi e con l’occasione, raccogliamo qualche pensiero di questi due grandi esempi di fede e del loro ruolo all’interno della chiesa.
San Pietro e San Paolo sono due uomini segnati da una storia e percorso di fede completamente diversi tra loro. Nonostante questo, entrambi vengono ricordati come due colonne portanti e come simboli della chiesa stessa, tanto che condividono la stessa festa, il 29 giugno.
Intorno al 67 d.C. i due santi sono stati martirizzati a Roma durante le persecuzioni ordinate dall’imperatore Nerone contro i cristiani. Questo ci è stato riportato dal Martirologio Romani, dai Sinassari delle chiese orientali, che raccolgono le vite dei santi, e dal Decretum Gelasianum, un documento del V secolo che all’interno è ricco di contenuti che ci permettono di ricostruire avvenimenti religiosi e storici importanti.
Abbiamo la certezza che i due santi sono stati entrambi martirizzati per volere di Nerone e che San Pietro è stato crocifisso a testa in giù mentre San Paolo è stato decapitato, tra il 64 d.C. e il 67 d.C. Non abbiamo però la conferma che questi due eventi siano accaduti lo stesso giorno e lo stesso anno Sembra invece che la scelta di commemorare i due santi il 29 giugno sia frutto della volontà di voler convertire una festa pagana così come è avvenuto per molte altre festività religiose.
In origine il 29 giugno era la festa di Romolo e Remo.
I cristiani hanno voluto rendere omaggio ai due fondatori della chiesa scegliendo lo stesso giorno dei fondatori di Roma, come a voler creare una nuova Roma cristiana.

Giornata per la Carità del Papa 26 giugno 2022 “Confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate.”

È il contesto imprevedibile nel quale si colloca quest’anno la Giornata per la Carità del Papa, nell’ultima domenica di giugno.
La parola di Francesco ci ha sostenuti sin dall’inizio della pandemia, da quella memorabile sera di due anni fa in Piazza San Pietro con la sua preghiera solitaria a nome di tutta l’umanità.
Ancora adesso, sono la sua presenza e la sua voce a darci coraggio e speranza.
Non può mancare il nostro aiuto generoso alla sua instancabile azione caritativa per le necessità di popoli e famiglie, di poveri e profughi.
Abbracciare gli altri attraverso le mani del Papa è un gesto che realizza la pace, perché sostenendo la premura del Santo Padre per le innumerevoli situazioni di indigenza e di “scarto” mostriamo di aver capito di «trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme».
Solo su questa strada si avvicina la pace vera, quella promessa dal Risorto.

Amore e morte

Ma la rivelazione più decisiva dei cuore di Gesù è che l’amore non è totale se non passa attraverso la morte; non diviene portatore di vita se non accetta di attraversare la morte.
Può trattarsi, talora, anche di morte fisica e sanguinosa, ma in ogni caso si tratta della morte a se stesso, dello spogliamento, della rinuncia, dei distacco, della perdita e oblio di se stesso.
Da quando la sofferenza è stata assunta per amore da Cristo, è diventata portatrice di vita e di salvezza. Al centro del mistero redentore non sta tanto l’azione dell’uomo-Dio, quanto la sua passione. Il mistero del cuore di Gesù è il mistero di un uomo trafitto.
Fin dall’inizio, Dio si è fatto conoscere come colui che ama, che sceglie liberamente e si lega con fedeltà agli uomini. «Il Signore è buono e grande nell’amore» canta Israele.
Ma è soltanto in Cristo che Dio si manifesta pienamente «Amore» che giunge a dare il Figlio per la salvezza degli uomini. Gesù stesso, esaltando la bontà del Padre che si rivela nel Figlio, afferma di essere sollecito a confortare gli affaticati e gli oppressi, di essere «mite e umile di cuore».

La ricchezza del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria

Il sabato successivo alla seconda domenica dopo Pentecoste, subito dopo aver celebrato il Sacro Cuore di Gesù, la liturgia romana, con un formulario speciale, celebra la memoria del Cuore Immacolato della beata Vergine Maria.
L’espressione «Cuore della Vergine» si comprende alla luce del senso biblico: designa la persona stessa della Madonna; il suo «essere» intimo e irripetibile; il centro e la sorgente della vita interiore; della mente e del cuore, della volontà e dell’affettività; l’animo indiviso, con il quale ella amò Dio e i fratelli e si dedicò completamente all’opera di salvezza del Figlio.
Nella Santa Liturgia, espressione della fede della Chiesa, il Cuore della beata Vergine che, piena di fede e di amore, accolse il Verbo di Dio, è chiamato innanzitutto «dimora del Verbo», nonché «tempio dello Spirito Santo» (cfr LG 53) proprio per la continua presenza in esso dello Spirito.

È presentato poi come cuore immacolato, cioè immune da macchia di peccato;

           Cuore sapiente, perché Maria, interpretando gli eventi alla luce delle profezie, serbava nel suo cuore la memoria delle parole e dei fatti riguardanti il mistero della salvezza (cfr Lc 2,19.51);

Cuore docile perché Maria ha aderito gioiosamente ai comandi del Signore (cfr Lc 1,48);
Cuore nuovo, secondo la profezia di Ezechiele (cfr Ez 18,31; 36,26) rivestito della novità della

grazia ottenuta da Cristo (cfr Ef 4,23-24);
Cuore mite, in conformità al Cuore di Cristo che ammonisce: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29);
Cuore semplice, cioè alieno da ogni doppiezza e tutto ricolmo dello Spirito di verità;

puro, ossia, secondo la beatitudine proclamata dal Signore (cfr Mt 5, 8), capace di vedere Dio;
Cuore forte nell’abbracciare la volontà di Dio quando, secondo la profezia di Simeone

(cfr Lc 2,35), o incombeva la persecuzione contro il Figlio (cfr Mt 2,13) o ne era imminente la

morte (cfr Gv 19,25);
Cuore vigilante, mentre Cristo dormiva nel sepolcro, il cuore di Maria, come il cuore della sposa del Cantico (cfr Ct 5,2), vegliava in attesa della risurrezione di Cristo.
Questo è il Cuore Immacolato della Madre a cui la SS. Trinità desidera ci consacriamo per essere da Lei formati ed essere di compiacenza al Padre , sull’esempio del Figlio, ed esaudire il suo

testamento d’amore (cfr. Gv 19,27).

Il mistero dell’uomo abbandonato

Gesù, uomo perfetto, ha amato come nessun altro uomo. Alla sua scuola noi impariamo ad amare secondo dimensioni completamente nuove. L’amore di Gesù non è né stoico né platonico, ma sentito, tenero, delicato. Il suo cuore ha veramente provato sentimenti di gioia e ammirazione davanti allo splendore della natura, al candore dei bimbi, allo sguardo d’un giovane rimasto puro; sentimenti di misericordia verso tutti i «poveri»: peccatori,
malati, vedove in pianto, folle erranti ed affamate; sentimenti di amicizia verso gli apostoli, i discepoli, Lazzaro e le sorelle; sentimenti di pietà per Gerusalemme che lo rifiuta e per Giuda che lo tradisce; d’indignazione contro i venditori del tempio e contro i suoi nemici, che volendolo perdere, rovinano se stessi e il popolo; sentimenti di terrore durante l’agonia, di fronte al mistero della morte e del male che sembra trionfare.

Natività S. Giovanni Battista

La Chiesa festeggia la nascita di Giovanni Battista. E non c’è da stupirsi che il Precursore sia celebrato con tanta solennità! La figura di Giovanni Battista ha sempre meravigliato e sorpreso i discepoli del Maestro, tanto che i testi evangelici sembrano insistere più volte nell’affermare che il Messia atteso era Gesù, e non Giovanni.
Normalmente dei Santi si celebra il “dies natalis” ossia il giorno della morte.
Giovanni è l’unico santo (se si esclude la Beata Vergine Maria, di cui fa memoria della sua nascita l’8 settembre) di cui celebriamo sia la nascita gloriosa nella casa del Padre dopo la morte, sia il giorno in cui nacque alla vita terrena nella nostra storia.
La festa è assai antica: risale al IV secolo e fu fissata la 24 del mese di giugno in considerazione del fatto che, nell’annunciare la nascita di Gesù a Maria, l’arcangelo Gabriele le disse che Elisabetta sua parente fosse al sesto mese. Dunque il Battista sarebbe dovuto nascere sei mesi prima di Gesù. Ovviamente queste date hanno puramente valore liturgico e simbolico, non già storico. Infatti non conosciamo né il giorno né l’anno della nascita di Gesù e, quindi, neppure quelli di Giovanni Battista. Ma a noi interessa solo il fatto relativo alla fede.

Giovanni è l’uomo mandato da Dio; è il santo della speranza e della fiducia in un avvenire
migliore, purché questo sia incentrato sul Cristo e orientato al vero Messia e alla buona novella
del Regno. La sua festa ci ricorda che la nostra vita è tutta e sempre “relativa” a Cristo e si realizza accogliendo Lui, Parola, Luce e Sposo.
Giovanni fu tutto attratto da Gesù, calamitato da Colui che stava per venire.
Giovanni fu colui che capì chi fosse Gesù e ha orientato tutta la sua vita a Lui offrendogli l’umile dedizione dello schiavo, quello di slacciare i sandali del padrone: “Viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure i legacci dei sandali”.
Giovanni Battista è facilmente riconoscibile come modello del discepolo di Cristo.
Per molti aspetti, è una vera icona del missionario.
Il suo messaggio è di perenne attualità: anche oggi il Signore ha bisogno di precursori e di testimoni per costruire un mondo nuovo più umano e più fraterno, più rivolto a Dio con la fede e con le opere. Ciascuno di noi è chiamato a diventare profeta per questo la solennità ci invita a riflettere sul nostro essere cristiani nel mondo di oggi. Quale è la nostra testimonianza della fede che noi professiamo? Quale è il nostro compito, la nostra missione che Gesù ci ha affidato?
Tutti siamo chiamati a preparare le vie del Signore e essere suoi testimoni coraggiosi.
Forse a nessuno di noi sarà chiesto – come a Giovanni – di donare la vita in maniera cruenta, ma a ogni battezzato è chiesto di annunciare Cristo e il suo Vangelo con la forza della parola e con la testimonianza della vita. Ognuno di noi, infatti, deve indicare al mondo il Cristo vivente e operante nella Storia di ogni tempo e deve farlo soprattutto con una vita che sia sequela coerente, testimonianza incisiva e fedele della vita buona del Vangelo.
Tempi nuovi chiedono modi nuovi di vivere ed annunciare il medesimo e immutato Vangelo di Gesù Cristo. Come Giovanni Battista prepariamo anche in noi:

  • un cuore deciso nel realizzare il progetto che Dio ha su di noi:
  • un cuore umile, tanto da non considerarci neppur degni di sciogliere i legacci dei calzari di Gesù
  • un cuore fedele fino alla testimonianza coerente e generosa per vivere il Vangelo con tenacia a convinzione.

Dio ci ama con cuore di uomo

Al centro del mistero del mondo c’è Gesù Cristo.
Al centro del mistero di Gesù Cristo c’è la sua morte che si schiude nella risurrezione.
Al centro del mistero della sua morte c’è il suo amore, il suo cuore.
Per questo possiamo dire che la celebrazione della festa del Cuore di Cristo conduce all’essenza del cristianesimo: la persona di Gesù, Figlio di Dio e Salvatore del mondo, svelato fin nel mistero più intimo dei suo essere, fino alle profondità da cui scaturiscono tutte le sue parole e le sue azioni: il suo amore filiale e fraterno fino alla morte.
Il cuore ha simbolizzato per gran parte delle culture il centro vivo della persona, il luogo dove nell’intima unità della persona si fondano la complessità, la molteplicità delle facoltà, delle energie, delle esperienze. Il cuore, inoltre, è simbolo della profondità e dell’autenticità dei sentimenti e delle parole, quindi, della loro sorgente profonda: l’amore.