Canto del “Te Deum”

È tradizione, alla fine di ogni anno, cantare nelle Chiese latine un antico inno, che inizia: Te Deum laudamus, te o Dio lodiamo. Questo inno esprime il culto di lode della Chiesa rivolto alla Trinità, anche se più direttamente al Padre, al creatore e reggitore dell’universo.
La Chiesa si unisce al coro degli angeli. Questo canto manifesta la fede della Chiesa e risuona degli inni di benedizione del popolo della Parola, anch’esso segnato nella quotidianità dal canto di lode e di benedizione: a questo popolo della Parola, il popolo della Parola fatta carne deve questa capacità di leggere il tempo e gli avvenimenti, anche quelli più dolorosi, nel mistero dell’amore di Dio, che non viene mai meno; nella solitudine, nella povertà; nella famiglia, nella propria terra o in esilio; anche lì dove ciò che sembra prevalere è l’egoismo dell’uomo, l’indifferenza, la durezza del cuore. Questo amore che accolto umanizza il cuore e rende l’uomo capace di donare la vita, consapevolmente o inconsapevolmente, come Cristo, diventa la nuova chiave di lettura di tutto.
La nostra comunità, alla fine di questo anno, cantando il Te Deum assume, spero, una consapevolezza: senza di Te, Signore, tutto è perduto. Non abbandonarci nella nostra precarietà ma volgi il Tuo Volto sulla nostra miseria. Aiutaci ad alzare lo sguardo e dilata la misura del nostro cuore perché accada un nuovo inizio, a partire da noi, a partire da ogni uomo. Lì dove il cuore indurito, lamentoso, accidioso, egoista, dell’uomo si scioglie accade una nuova alba, un nuovo inizio, splende una nuova luce di speranza: la tua luce, Signore. Per questo, a te che sei l’unica vera nostra speranza:
Te Deum laudamus, Te Dominum confitemur…non confundar in aeternum.

Buon anno

1° gennaio. Suona bene, perché davanti abbiamo una pagina bianca tutta da riempire.
Ha in sé il bello dell’intonso, del nuovo, delle mille possibilità che ci si dispiegano davanti quando abbiamo la sensazione di avere tempo. Quella percezione che pervade tutta la vita e che deve fare i conti con una congiunzione necessaria. Quello che è stato, che ben conosci e che non puoi più modificare, e quello che sarà, che non conosci ancora e che hai il desiderio di poter pianificare. Ogni volta che termina un anno e ne inizia uno nuovo mi pervade una briciola di nostalgia per tutte quelle cose che avrei voluto fare, e che non ho fatto. Ma poi c’è il buon proposito di “fare di più” o “fare meglio” e tutto sembra possibile. In realtà più che un proposito, mi piace che sia un progetto. E nei miei c’è sempre una cosa al primo posto. Vivere ogni istante del mio anno avendone piena consapevolezza. Amo il bello, la lentezza, la concretezza delle cose fatte per viverle davvero, e non semplicemente per dire che le abbiamo fatte, guardandole in una fotografia.

“Il Bambù” supera nel 2021 lo scoglio della pandemia

Alla fine del secondo anno di pandemia anche la nostra Associazione si appresta a fare un consuntivo di ciò che si è potuto fare e di quello che, per causa di forza maggiore, non si è potuto realizzare.
Per le ragioni ormai note a tutti il servizio taxi, con il nostro pulmino, si è ridotto all’essenziale. Così pure l’animazione, che coinvolgeva ogni mese i nostri anziani, è stata sospesa.
Però, malgrado l’impossibilità di realizzare a pieno alcuni servizi, dobbiamo affermare con soddisfazione che la pandemia non ha fermato uno dei servizi più importanti e delicati a favore di nostri concittadini: la consegna mensile di pacchi alimentari. Quest’anno il numero complessivo dei pacchi consegnati è stato di 216. Ne hanno beneficiato mensilmente 18 famiglie, per un totale di 43 soggetti.
Tutto questo si è potuto realizzare grazie alla collaborazione dei nostri volontari, per la preparazione dei pacchi, e degli uomini della Protezione Civile del nostro Comune, per la consegna a domicilio dei pacchi stessi. A questi amici va il nostro vivo ringraziamento.
Questo servizio si è consolidato nel tempo grazie ai prodotti che riceviamo dalla Caritas di Lodi e dalla FEAD (fondi europei) per il tramite della nostra parrocchia.
In aggiunta a quanto sopra abbiamo constatato, anche quest’anno, che non sono mancati interventi a livello personale per risolvere situazioni molto delicate nei confronti di alcuni soggetti.
Mentre confidiamo in un superamento veloce di questa pandemia, auguriamo a tutti i sanfioranesi un sereno e felice anno 2022.

Antonio Mariani – Presidente Associazione IL BAMBU’

Il potere della calma e la forza dell’abitudine (2)

Non è forse vero che spesso siamo di fretta? Troppo, secondo me. E rincorrere l’onda perfetta distoglie dal piacere del vivere il presente. Ritengo che la vita vuole, ogni giorno, essere colma di buone abitudini, che facciano di ogni giorno un giorno vissuto nel segno dell’eccellenza.
Tre semplici consigli potrebbero concretamente rallentare il passo.
Valorizza la tavola (2). Mangiamo tutti almeno due volte al giorno.
Come lo facciamo fa una grande differenza. Non solo perché la salute passa anche dal piatto. Ma anche perché a tavola la famiglia si racconta, le idee si scambiano, la vita si svolge e crea una rappresentazione sua, meravigliosa, puntuale e quotidiana. Mangiare bene, insieme con calma significa vivere meglio.
Non aspettare: agisci (3). La tua vita può essere bellissima oggi, non un domani. Devi avere il coraggio di prendere parte all’azione. Troppe persone mi dicono di sentirsi schiavi della tecnologia (troppi messaggi, troppi social, troppe notifiche) del proprio lavoro o delle proprie incombenze.

Il potere della calma e la forza dell’abitudine (1)

Non è forse vero che spesso siamo di fretta? Troppo, secondo me. E rincorrere l’onda perfetta distoglie dal piacere del vivere il presente. Ritengo che la vita vuole, ogni giorno, essere colma di buone abitudini, che facciano di ogni giorno un giorno vissuto nel segno dell’eccellenza.
Tre semplici consigli potrebbero concretamente rallentare il passo.
Ascolta e osserva (1). Riuscire a farlo rende la vita speciale. Guardare la casa svegliarsi all’alba mentre la luce filtra dalle finestre. Ascoltare i propri pensieri, sentimenti fin dal primo mattino. Seguire i ragionamenti dei propri figli mentre li si porta da qualche parte e si raccontano con voce ininterrotta quello che è successo. Indagare nello sguardo dei figli adolescenti, quando si è soli con loro, e con i loro silenzi e poche parole, ma inconsapevolmente si confidano.
Dedicare del tempo al guardare le cose e a capire cosa significano per me.
Ascoltare le parole che ci vengono dette e curare quelle che io stesso dico, perché i pensieri diventano parole e le parole diventano azioni. Le azioni compongono la vita. Quindi: la vita dipende da noi e dai nostri pensieri. Ciò che si è, molto spesso, è il risultato delle proprie scelte.

Santa Famiglia (2)

La nascita di ogni bambino porta con sé qualcosa di questo mistero! Lo sanno bene i genitori che lo ricevono come un dono e che, spesso, così ne parlano. A tutti noi è capitato di sentir dire a un papà e a una mamma: “Questo bambino è un dono, un miracolo!”. In effetti, gli esseri umani vivono la procreazione non come mero atto riproduttivo, ma ne percepiscono la ricchezza, intuiscono che ogni creatura umana che si affaccia sulla terra è il “segno” per eccellenza del Creatore e Padre che è nei cieli. Quant’è importante, allora, che ogni bambino, venendo al mondo, sia accolto dal calore di una famiglia! Non importano le comodità esteriori: Gesù è nato in una stalla e come prima culla ha avuto una mangiatoia, ma l’amore di Maria e di Giuseppe gli ha fatto sentire la tenerezza e la bellezza di essere amati. Di questo hanno bisogno i bambini: dell’amore del padre e della madre.
È questo che dà loro sicurezza e che, nella crescita, permette la scoperta del senso della vita.
La santa Famiglia di Nazareth ha attraversato molte prove, come quella della “strage degli innocenti”, che costrinse Giuseppe e Maria ed emigrare in Egitto. Ma, confidando nella divina Provvidenza, essi trovarono la loro stabilità e assicurarono a Gesù un’infanzia serena e una solida educazione.
La santa Famiglia è certamente singolare e irripetibile, ma al tempo stesso è “modello di vita” per
ogni famiglia, perché Gesù, vero uomo, ha voluto nascere in una famiglia umana, e così facendo l’ha benedetta e consacrata. In questa domenica affidiamo pertanto a Gesù, alla Madonna e a san Giuseppe tutte le famiglie della nostra comunità parrocchiale, affinché non si scoraggino di fronte alle prove e alle difficoltà, ma coltivino sempre l’amore coniugale e si dedichino con fiducia al servizio della vita e dell’educazione.

Santa Famiglia (1)

Invito calorosamente tutti quanti, non solo a partecipare alla Messa Festiva, ma in questa circostanza,
ad esserci con i propri familiari, insieme, (papà, mamma, figlio, figlia o figli).
Penso sia un bel segno e una bella occasione da non perdere.

Il Vangelo secondo Luca racconta che i pastori di Betlemme, dopo aver ricevuto dall’angelo l’annuncio della nascita del Messia, “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. Ai primi testimoni oculari della nascita di Gesù si presentò, dunque, la scena di una famiglia: madre, padre e figlio neonato. Per questo la Liturgia ci fa celebrare, nella prima domenica dopo il Natale, la festa della santa Famiglia. Quest’anno essa ricorre proprio all’indomani del Natale e, prevalendo su quella di santo Stefano, ci invita a contemplare questa “icona” in cui il piccolo Gesù appare al centro dell’affetto e delle premure dei suoi genitori. Nella povera grotta di Betlemme rifulge una luce vivissima, riflesso del profondo mistero che avvolge quel Bambino, e che Maria e Giuseppe custodiscono nei loro cuori e lasciano trasparire nei loro sguardi, nei gesti, soprattutto nei loro silenzi. Essi, infatti, conservano nell’intimo le parole dell’annuncio dell’angelo a Maria: “colui che nascerà sarà chiamato Figlio di Dio”.

Buon Natale (2)

In fondo, celebrare il Natale vuol dire decidersi per una scelta fondamentale, irrevocabile, che ha poi ripercussione su tutte le altre scelte: quella della realizzazione dell’umanità, di ogni uomo. Quando si chiede a un bambino: «Che cosa farai da grande?». Difficilmente il bambino risponde: «Voglio diventare un uomo!». Il Natale ci racconta il mistero di Dio che si veste di umanità. L’uomo ha bisogno di andare con umiltà a Betlemme per ritrovare sé stesso, perché mai come ora è messa in discussione la verità circa la persona umana. Gesù è la luce che rivela il senso del rapporto con Dio, con gli altri, con sé stessi e con il creato. La luce della fede aiuta ad andare oltre una ragione che si è autolimitata a misurare il verificabile e consente alla libertà di aderire intimamente al bene. L’essenziale non è cosa ci ha portato, ma cosa siamo disposti a recepire da questo Natale. Dio diventa persona umana perché noi, finalmente, impariamo a riconoscere la nostra origine e la nostra mèta. Deve essere splendida la vita e grande la nostra dignità, se Dio assume la fragilità della nostra condizione umana! Ecco perché è festa per tutti, oggi.
Anzi i frutti del “Festeggiato”, Gesù, si estendono a tutto il genere umano: nessuno è più solo e in balìa del presente! Nei pensieri per la crisi economica, nel conformismo delle spese, nella gioia del ritrovarci con i nostri cari, sapremo “aprire le porte” al Signore che viene?

Buon Natale (1)

«Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo…». È l’annuncio degli angeli ai pastori, la buona novella del Natale che ogni anno si rinnova per noi. Ma cosa significa riconoscere che Gesù è nato? Ed è nato per noi? Ogni nascita evoca anzitutto l’emozione di poter uscire. Anche Gesù “esce”. Esce dal grembo di Maria, come è uscito dal seno del Padre. Questo suo duplice uscire ha due ragioni profonde: Gesù esce dal Padre per rivelarLo a noi; esce, poi, dal grembo di Maria per essere uno di noi, solidale con noi. Celebrare il Natale di Cristo significa allora aprirci a questa duplice e consolante verità.

Ma non solo. Vivere il Natale implica che pure noi entriamo dentro questo movimento esodale. Come? Lasciando le nostre umane sicurezze per partecipare alla novità di Dio; abbandonando il peso di un passato che ci tiene prigionieri per vivere l’avvenire di Dio; superando, infine, quelle posizioni che ci separano gli uni dagli altri e impediscono la comunione e la fraternità.

«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». È Dio che si fa conoscere, che si esprime, si comunica, che dona il suo Spirito. È Lui la Parola viva, donata a chi vuole incontrare, conoscere, amare il Signore. È Lui la Parola sulla quale si fonda un rapporto autentico con il Signore e che permette una comunione nuova nel segno della tenerezza e della misericordia. Com’è importante la Parola! Il nostro parlare come si esprime? Si comprendono il contenuto e la valenza di ogni parola? Quando si dice: «Ti odio» o: «Violenza, distruzione, guerra», che cosa si trasmette? Invece, quando si pronunciano parole come: «Amore, amicizia, fraternità, gioia, comunione», che cosa si produce in chi ascolta? Il nostro parlare ha il potere di distruggere l’altro o di creare armonia e serenità. Dovremmo sentirci come Cristo, Parola vivente che realizza e crea armonia e vita; diventare come Cristo, Parola incarnata e vivente del Padre. Il Salvatore offre e dona una vita nuova, non una vita qualsiasi, ma la stessa vita di Dio, che ora può circolare nell’esistenza dell’uomo; non una vita limitata al corso, in parte breve, del tragitto umano, ma una vita che sfocia nell’eternità per diventare pienezza in Dio; non una vita amorfa, insulsa, condannata alle sue angustie, ma dilatata dall’amore, dal perdono, dalla benevolenza di Dio Padre.

L’adorazione fuori dalla messa

La celebrazione dell’Eucaristia nel sacrificio della Messa è veramente l’origine e il fine del culto che ad essa vien reso fuori della Messa. Infatti Cristo Signore, che nel sacrificio della Messa è immolato quando comincia a essere sacramentalmente presente come cibo spirituale dei fedeli sotto le specie del pane e del vino, anche dopo l’offerta del sacrificio, allorché viene conservata la Eucaristia nelle chiese, è veramente l’Emmanuele, cioè Dio con noi.
Giorno e notte resta in mezzo a noi, e in noi abita, pieno di grazia e di verità”.
Questa permanente presenza dell’Emmanuele è all’origine dell’adorazione eucaristica. Di questa adorazione sottolineo due aspetti che possiamo definire l’uno soggettivo e l’altro oggettivo.
Innanzitutto Cristo è presente in modo reale e permanente nelle specie del pane, non in forma statica ma dinamica, in quanto è lui che perpetua nel tempo quell’adorazione al Padre che si è compiuta nel tempo della celebrazione eucaristica: è l’aspetto soggettivo dell’adorazione eucaristica. Quando si propone l’adorazione eucaristica, si invita ad unirsi all’adorazione di Gesù: l’adorazione è fatta con Cristo per Cristo e in Cristo.
Ma la presenza di Cristo nelle specie eucaristiche (ed è l’aspetto oggettivo) chiama la chiesa, sua sposa, all’adorazione di lui, cioè ad un dialogo d’amore. Nell’adorazione eucaristica si ascolta il Signore, ci si abbandona a lui. È bello intrattenersi con Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo prediletto, essere toccati dall’amore infinito del suo cuore.
Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro tempo, soprattutto per l’arte della preghiera, come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento? Quante volte abbiamo fatto questa esperienza, e ne abbiamo tratto forza, consolazione, sostegno!