“CREDO”, è il grido d’ogni genitore

Nel vangelo di Marco, possiamo trovare un episodio illuminante (Marco 9,14-29).
Vogliamo vedere come Gesù parla, come agisce, come si muove, come si comporta.
Egli, dopo la Trasfigurazione, scende dal monte con i tre apostoli, raggiunge gli altri, vede una gran folla, gli scribi che discutono, la gente che alterca e che, al vederlo, corre a salutarlo. Questa confusione indica l’esistenza di un grave problema che interessa tutti: è un ragazzo (a quanto pare non solo oggi i giovani sono per molti adulti un problema). Il padre si era rivolto agli apostoli perché compissero il miracolo.
Lui non sapeva più cosa fare, si trovava in gran difficoltà.
Ancora oggi, può accadere che i genitori si trovino in difficoltà con i propri figli (non riescono più a dialogare, vivono momenti di tensioni enormi, non sanno cosa fare per evitare certe esperienze o scelte di vita).
I discepoli, invano, cercano di guarire il ragazzo.
Talvolta s’indossano abiti militari per interventi forti e gli unici a garantire un’educazione valida (perché la forza è sempre vincente). Altre volte si pensano stratagemmi e imitazioni d’invenzioni tecnologiche pur di tenerli al riparo. Ma il discorso di fede sembra passare in secondo piano.
Gesù, invece, dopo un primo grido di sdegno, con calma e sangue freddo osserva con distacco la situazione.
Egli vede il malato, ma vede anche il padre, vede gli apostoli, vede la folla e colloca tutto tra la sua missione. Così lo sguardo di Gesù domina ciò che accade. Non è travolto dal fatto particolare del ragazzo che gli si rotola innanzi, ma tiene conto di tutta la situazione.
Cosa fa Gesù? Vede il ragazzo che grida, schiuma, si divincola, ma riflette che il vero malato è il padre.
Capisce quindi che la via da prendere è un’altra. Attraverso una riflessione attenta e distaccata trova il vero punto d’appoggio che è nuovo, diverso, e a cui nessuno aveva pensato.
Gli apostoli, si erano messi a gridare, a fare preghiere sul ragazzo, ma avevano cominciato dalla parte sbagliata; erano stati incapaci di vedere una nuova apertura nella situazione.
Gesù incomincia, dunque, il colloquio con il padre. Il cuore del padre si scioglie.
Da una risposta quasi monosillaba, passa, sentendosi capito, a dire altre cose. Incomincia a descrivere i sintomi del male del figlio, e poi dal suo cuore viene finalmente fuori ciò che è il nocciolo del problema.
Siamo così giunti al momento in cui dal semplice rapporto con un ragazzo da guarire si è giunti ad un cuore che chiede, che si volge con umiltà al Signore per invocare aiuto. Gesù corregge, amabilmente, le parole troppo timide del padre. In altri termini: stai chiedendo qualcosa che devi cominciare a fare tu stesso.
Allora il padre comprende e grida: “Credo, aiuta la mia poca fede”. Siamo arrivati al centro, al nodo, al punto veramente difficile della situazione. Gesù, trascurando i dati esteriori della realtà, con gradualità e dolcezza, ha trovato il bandolo della matassa; comincia, cioè, a guarire l’incredulità di quest’uomo.
Chiediamo al Signore il coraggio di intraprendere questa nuova strada pastorale, che Lui ha aperto, con maggiore decisione e con iniziative più concrete. Dobbiamo avere il coraggio di mettere in disparte,
momentaneamente, tante altre iniziative e ripartire con più decisione da quest’attività, probabilmente più efficace e di risultati più estesi nel tempo. Pastorale non è sinonimo di “tappabuchi”, ma azione d’ampio Respiro: il respiro dello Spirito, della Fede. Allora daremo a quest’umanità un futuro: quello di Dio.

Pasqua missionaria

Tanti modi per dire Pasqua

Perché Gesù risorto disse: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”. Chi vive con la fede pasquale, non può restare indifferente al mondo, al sociale, alle periferie, alla Chiesa. Siamo una Chiesa missionaria “in uscita” verso il mondo e gli uomini seguendo il comando di Gesù: “Andate in tutto il mondo”. La Chiesa del Signore è tanto più Chiesa quanto più sarà aperta all’evangelizzazione del mondo per una vera Pasqua di risurrezione.

Pasqua di pace

Tanti modi per dire Pasqua

Perché Gesù risorto ha ripetuto: “Pace a voi”.

È possibile portare la pace, offrire la pace; una pace traboccante che nasce sempre dal possesso di Dio e dalla sua grazia e che si manifesta nella tranquillità dell’animo, nell’integrità del corpo, nella felicità piena, nella garanzia del cielo. Pace con Dio, pace con i fratelli, pace con se stessi, pace con il creato perché Cristo è la nostra pace.

Siamo storie

Ogni persona è una storia.
Solo quando non se ne parla più il ricordo di una persona si perde.
Anche la nostra terra, il nostro paese è pieno di storie da salvare. Non si racconta per invadenza, per mancare di rispetto, per giudicare. Si racconta perché la vita degli altri cambia la mia. Nelle vite degli altri si trova sempre qualcosa di straordinario, che ci riguarda, ci appartiene anche se non l’abbiamo vissuto noi e ci arriva dritto al cuore.
Le vite degli altri servono a mettermi davanti esperienze e percorsi lontani da me, a farmi scoprire le infinite risorse che ho e che abbiamo, e la fortuna che ho e che abbiamo.
Mi fanno accorgere che possiamo rinunciare a qualcosa che mi pareva necessario e che mi è indispensabile qualcosa a cui non avevo dato valore.
Mi costringono a cambiare, con gentilezza, senza strappi.
Anche la pandemia, anche i disagi, possono diventare creativi ed essere trasformati in opportunità. Non ci sono vite scialbe o insignificanti e se ci pare così, forse è meglio tirare tutto all’aria come quando si fanno le grandi pulizie. Siamo storie da correggere, da sottolineare, da amare, storie che forse un giorno qualcuno raccoglierà.

Con cuore di padre

Breve riflessione nell’anno di San Giuseppe

I Vangeli sono scarni di informazioni che possono aiutarci a inquadrare in maniera precisa la vicenda della vita di Giuseppe. Ma l’assenza di informazioni non è scarso interesse per lui bensì la messa a fuoco di ciò che conta. Ognuno di noi viene al mondo con uno scopo, con una vocazione. Scoprire questo scopo e questa vocazione è ciò che trasforma la nostra vita da sopravvivenza a vita piena. Al contrario, proprio l’assenza di uno scopo o di una consapevolezza della propria vocazione ci colma la vita di molte cose che servono a riempire il vuoto che proviamo e che, in fondo, non ci fa essere felici. I Vangeli ci raccontano di Giuseppe a partire dalla sua vocazione. Tutto il resto è taciuto perché ciò che conta ci viene raccontato.
La vocazione di Giuseppe è amare Maria e fare da padre a Gesù. Nel rimanere aggrappato a questo essenziale egli può vivere e affrontare tutto. Quando, invece, non hai chiaro questo essenziale, allora la vita è sempre un intralcio anche quando gira per il verso giusto. Il segreto di Giuseppe è tutto nelle fedeltà alla sua vocazione. A chi altro allora possiamo rivolgerci per chiedergli luce sul discernimento della nostra?

A due a due per essere un cuore solo

Voglio stare solo! È il desiderio di qualcuno. A volte gridato con forza. Altre volte sussurrato in silenzio.
Voglio stare da solo è il desiderio dettato dalla stanchezza di dover stare di fronte a un altro viso, a un’altra storia fatta di bellezza e di buio, di voli e di schianti. Meglio solo, così non devo dar conto a nessuno.
Meglio solo, così poso fare quello che voglio. Spesso queste grandi “trovate” sembrano dare ragione.
I primi giorni ci si sente liberi, anche più splendenti del solito, si pensa di fare più cose possibili e di essere molto produttivi, sembra che nessuno possa fermarci perché siamo “sparati” a folle corsa sui nostri obiettivi.
Ecco, sembra! Altro che meglio “soli”. Forse davvero siamo salvi perché qualcuno non ci ha mai lasciato, e se anche abbiamo sempre desiderato non avere nessuno accanto, sognato di partire senza compagnia, qualcuno non ci ha mai creduto, ci ha seguiti e si è messo persino sulle nostre tracce. E da quel momento abbiamo capito che si può partire e sognare anche “a due a due”. Come tutti i mandati del Vangelo.
Sembra che la loro prima vocazione sia stare insieme, scegliersi e abituare il passo a quello dell’altro.
Non grandi annunci prima ma amicizia, non proclami di salvezza per gli altri ma sopportazione di chi mi respira accanto. Mandàti “a due a due” non per dare o dire più cose ma per farne, forse di meno, sentendo il gusto della novità dell’amore e che siamo mandati “a due a due” non per occupare più spazi ma per far intendere che si può essere anche un “cuore solo”.
Mandàti “a due a due” e senza nient’altro. Mandati in cammino, solo col fiato e il cuore dell’amico vicino; con la presenza e il calore di chi insieme con te cammina con un po’ di paura. Senza altri aiuti, se non la voce di chi ci è accanto. Diventiamo umani insieme a qualcun altro accanto a noi.
Mandàti “a due a due” come invito alla società di oggi. Non è solo questione religiosa, è questione sociale.
A due a due per far vedere al mondo che è possibile un cammino insieme, che i nostri passi possono servire da “mappa terrestre” per il cammino altrui. È il tempo dell’aver cura di noi, del noi, del “due a due”.
Di aver cura e non di lasciarlo andare così come altro invito gettato come ago nel pagliaio della nostra vita e che poi nessuno ha voglia di cercare. Per questo bisogna prenderci, adesso, cura del noi.
In cui tenere insieme tutto della nostra vita e della vita degli altri. Questa è la sfida della santità.
Non in cielo ma nelle strade impolverate e incasinate della nostra umana vita.

Il pastore bello-buono

La quarta domenica di Pasqua viene detta “del buon pastore”, perché nel ciclo liturgico triennale si legge ogni anno un brano del capitolo 10 di Giovanni, imperniato su questa importante immagine e ambientato durante la festa della Dedicazione del Tempio.
L’immagine del buon pastore, tenera e drammatica, è in assoluto la più antica dell’arte paleocristiana.
Dopo il superamento del tabù ebraico contro le immagini, sulle pareti delle catacombe romane – prima di Priscilla e poi di san Callisto – comparve la rappresentazione di un Cristo giovane dai delicati tratti apollinei, con la pecorella smarrita sulle spalle.
Il brano odierno inizia con l’affermazione di Gesù: «Io sono il buon pastore». La traduzione letterale è il “bel” pastore, cioè il pastore ideale: colui che realizza pienamente la missione del pastore. Dunque si tratta del “vero”, “autentico” pastore. Sempre nel Vangelo di Giovanni, durante la scena delle nozze di Cana, il maestro di tavola commenterà con piacere la somministrazione alla fine del pasto del vino «bello».
«Io sono il pastore buono»: è il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso.
Eppure questa immagine non ha nulla di debole o remissivo: è il pastore forte che si erge contro i lupi e ha il coraggio di non fuggire. Il pastore bello non è il campione o l’eroe, ma il servitore fedele. La bellezza coincide con lo spirito di servizio e di gratuità, nella ricerca coraggiosa di ciò che lo Spirito desidera.
L’esperienza cristiana è incontro con Gesù, fiducia in Lui: sequela e unione. Chi è il cristiano? Che cos’è il cristianesimo? Che significa vivere da cristiani? Ecco un bel grappolo di domande tanto semplici quanto essenziali, che questa domenica del buon pastore ci aiuta a riprendere.

La santificazione è un cammino comunitario da fare a due a due

La tematica proposta dall’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni si ispira ad una espressione di papa Francesco, contenuta nella Esortazione Apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo. Al capitolo su alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale si dice che: “La santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due”. L’anno passato si è voluto fissare l’attenzione sul fatto che la vocazione nasce dall’incontro con Gesù. Quest’anno si tratta di mostrare che la vocazione non è mai soltanto “mia” ma è sempre anche la “nostra”: la santità, la vita è sempre spesa insieme a qualcuno. E questo è un elemento essenziale di ogni vocazione nella Chiesa. Ciò è evidente nella vocazione matrimoniale che non esiste senza la coppia, senza che i due futuri coniugi abbiano acconsentito e riconosciuto un’opera comune, l’uno per l’altra e insieme per gli altri. Il medesimo orizzonte è in ogni vocazione ecclesiale che traccia un’appartenenza più o meno marcata sia con chi condivide la medesima “forma di vita” sia con le altre vocazioni all’interno della Chiesa.
Far coincidere il compimento della persona con la realizzazione della comunità. La vocazione è la mia parte, quello che posso fare e che posso fare io soltanto, sempre insieme agli altri, un sogno del noi.

Pasqua di gioia

Tanti modi per dire Pasqua

Perché “ i discepoli gioirono al vedere il Signore”. I cristiani non sono il popolo di un morto, ma popolo del Risorto.
La gioia pasquale dà il vero significato e senso a tutta la vita umana. La speranza e la gioia sono le caratteristiche della vita spirituale dell’uomo. Nonostante le croci e le sofferenze della vita, la fine sarà sempre e inevitabilmente la gioia vittoriosa della Pasqua di risurrezione.

Pasqua della vita

Tanti modi per dire Pasqua

Poiché Cristo “è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. La vita del credente non è la solitudine angosciante, ma un’esperienza condivisa con il Risorto. Ora sappiamo che veniamo da Dio, che siamo fatti a sua immagine e che la nostra vocazione è quella di riprodurre le caratteristiche di Cristo.
Non possiamo cercare tra i morti Colui che è vivo.