San Pietro: la guida della Chiesa

Rinvigorito nell’animo, Pietro, a seguito dell’ascensione al cielo del Maestro, prende in pugno la situazione e raduna attorno al gruppo apostolico la comunità di discepoli che avevano seguito Gesù durante i tre anni di vita pubblica. Cinquanta giorni dopo la Pasqua si ritrova a Gerusalemme con gli apostoli, le donne e Maria, la madre di Gesù divenuta ora Madre premurosa della prima comunità cristiana. Sono immersi nella preghiera, celebrando il giorno della Pentecoste, quando un forte vento li investe e lingue di fuoco si posano sui capi di ciascuno: è lo Spirito Santo, il Consolatore promesso dal Maestro nel cenacolo.

È proprio questo Consolatore, che infuoca i loro cuori, spinge i dodici apostoli ad uscir fuori e a gridare al mondo intero “Gesù di Nazareth, che voi avete inchiodato e ucciso, Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte”. È proprio Pietro il primo a parlare. Tutto ciò è accompagnato da un prodigio che ha dell’incredibile: il popolo che ascolta il suo discorso è composto da uomini di varie etnie e diverse lingue; tutti però comprendono le parole dell’apostolo. Alcuni ipotizzano che i dodici siano ubriachi ma le loro calunnie non fanno breccia nella mente della gente, che accorre verso Pietro e chiede da lui il Battesimo: quel giorno nacquero alla fede circa tremila persone. Comincia a sorgere una prima comunità di credenti, tanti cuori uniti in un unico, intenso, battito, tanti occhi puntati verso la vita eterna. Da questa comunità fino ad oggi la Chiesa continua ad essere nel mondo l’annuncio del Vangelo e il segno della fede nel Cristo morto e risorto.

Una Messa in più

Dalla prossima domenica, la trasmissione della Messa in streaming sarà sospesa. Siamo arrivati a questa decisione perché, nonostante sia ancora il tempo della prudenza, abbiamo sperimentato una partecipazione alle celebrazioni molto attenta e adatta a garantire sicurezza. Il ringraziamento va a tutti coloro che hanno vinto il timore e hanno iniziato a frequentare di nuovo la nostra chiesa. L’affluenza si sta lentamente alzando e, così, per riuscire a dare a tutti la possibilità di partecipare alla Messa domenicale, dal prossimo 5 luglio, don Giuseppe presiederà una celebrazione aggiuntiva, alle 21 della domenica sera nello spazio del Mortorino. In particolare, proprio il 5 luglio, la Messa sarà dedicata alle famiglie che hanno avuto un lutto dovuto all’epidemia di coronavirus. Sarà una Messa di suffragio per tutti i defunti che non hanno potuto avere un funerale. In questa occasione, naturalmente, la precedenza all’ingresso sarà data a questi nuclei famigliari, invitati personalmente da don Giuseppe. Ricordiamo che restano in vigore tutte le misure di sicurezza già previste, cioè misurazione della temperatura, sanificazione delle mani e distanziamento sociale. 

Santi Pietro e Paolo

Ed è venuto anche per Pietro il momento di sistemare dinanzi all’Interessato quella faccenda, decisamente scabrosa, del rinnegamento. C’era già stato un incontro. Ma Gesù non aveva potuto fermarsi. Soltanto uno sguardo, ed era bastato per far ruscellare le lacrime sul suo volto del colpevole. Adesso, però, c’è una faccia a faccia impegnativo. La questione va  chiarita. Bella roccia, sei stato, Pietro. Hai scricchiolato penosamente dinanzi all’alito di una donnicciola. Dove sono andate a finire le tue promesse di fedeltà incrollabile? E dire che dovevi costituire il fondamento della Chiesa… Incaricato di dare solidità anche ai tuoi fratelli. Ma l’incontro con Cristo risorto al lago è stato esaltante e incoraggiante.

Non sono venuto, dice Gesù, per giudicarti. Non mi ricordo più della tua viltà. Sono io che torno verso di te per primo, dopo quello che hai combinato. E ritorno verso di te unicamente per domandarti se mi ami ancora, se il tuo rimorso, che è senz’altro grande, non ha distrutto in te l’amicizia che ci univa. Se il sentimento di colpevolezza che provi nei miei riguardi non ha per caso inaridito in te la sorgente dell’amore. Non ti dico neppure che ti perdono, come a coloro che mi hanno inchiodato sulla croce; quelli non mi amavano;  meglio, non avevano capito che li amavo. Ma a te chi mi amavi, che condividevi la mia esistenza quotidiana, ti domando soltanto se mi ami ancora, se queste drammatiche giornate pasquali non hanno ucciso in te l’amore. Ti domando esclusivamente questo. Perché è questo l’essenziale. È l’unico necessario per la tua felicità e la tua gioia”.

Ecco evidenziato, in questo episodio, la differenza tra rimprovero e perdono. Il rimprovero rende presente una mancanza. Il perdono la allontana, fino a farla sparire, crea una situazione nuova. Col rimprovero si rinfaccia una colpa che appartiene al passato, la si rende ancora attuale. Col perdono Cristo ci rinfaccia  –  ossia ci mette di fronte  –  l’avvenire, le nostre possibilità (e non le nostre manchevolezze). Il rimprovero finisce per far ripiegare un individuo su se stesso, sul suo peccato. Col perdono, Cristo ci fa uscire dal peccato. Il rimprovero spesso è sterile. Il perdono, che è offerta di amore, è sempre creativo. Col rimprovero si dimostra di conoscere una persona e le sue colpe. Cristo, invece, col perdono, più che conoscerci, dimostra di inventarci. Inventarci “diversi”. Il rimprovero ci costringe a guardare indietro. Il perdono ci obbliga a guardare avanti. Cristo chiude il passato. Ce lo porta via, definitivamente.

Non esiste più. Non è che lo tenga nascosto, magari per rinfacciarcelo al momento giusto. Cristo ci consegna il futuro. Con molta acutezza è stato osservato che la penitenza che Gesù ha affibbiato a Pietro è stato l’incarico affidatogli. Quasi gli dicesse: “Và, d’ora in poi farai il Papa!”. Anche a noi il Signore impone questo genere di penitenza impegnativa. “Adesso và … Ti affido l’avvenire”. Il perdono, più che saldare un conto col passato, ne apre uno col futuro. Ma l’episodio precisa anche il senso con cui bisogna intendere l’espressione: “su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. La pietra non è quella di Pietro. La pietra della sua presunzione, della sua sicurezza è stata frantumata dall’esperienza del rinnegamento. E poi è stata sciolta, definitivamente, dalle lacrime del pentimento. Ora Pietro, e noi con lui, è in grado di capire che la pietra, la roccia è unicamente Cristo. Soltanto Lui offre tutte le garanzie di tenuta. La fedeltà è la sua. Ed è una fedeltà che non viene mai meno, nonostante i tradimenti e le debolezze degli uomini.

D’altra parte, anche l’esperienza dell’altro apostolo di cui celebriamo la festa, dimostra la medesima realtà. Paolo stesso non esita a riconoscere: “Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi …”. (Gal 1,13). Deve riconoscere di essere stato “un bestemmiatore, un persecutore e un violento” (1Tm 1,13). Ma ci tiene a sottolineare: “Per grazia di Dio sono quello che sono” (1Cor 15,10). Dunque, la Chiesa si fonda sulla misericordia di Dio, non sulla forza degli uomini. La Chiesa è la comunità dei peccatori perdonati, “graziati”, non dei perfetti. Dobbiamo renderci conto, senza farne un dramma, che la Chiesa rivela, ma anche nasconde Dio.

Lo manifesta, ma  –  in certi momenti  –  lo oscura.  Lo presenta, ma talvolta ce lo allontana. Già. La Chiesa è santa, ma fatta di peccatori. La Chiesa ci consegna Dio, certamente. Ma ce lo offre come avvolto nella ganga della propria miseria, nell’intrico delle proprie contraddizioni. In Dio non c’è né ombra, né ruga, né macchia. La Chiesa, invece, è fatta di uomini, e quindi fatta di miserie, debolezze, colpe, disordini assortiti. I deliranti di una purezza idealistica della Chiesa sono “nemici del Regno”. È necessario imparare ad amare e accettare con gioia la Chiesa così com’è.  Perché anch’io sono Chiesa. E anch’io ho bisogno di essere accettato dalla Chiesa col mio peso di miserie e le mie ombre. Sono sicuro che non mi vergognerò mai della Chiesa. Anzi, le sarò sempre riconoscente. Perfino per le sue ombre. Perché mettono in risalto la luce che è di un Altro.

Comunità Sanfioranese – Luglio 2020

E’ arrivato il nuovo numero di Comunità Sanfioranese!
All’interno di questo numero:

  • L’editoriale di don Giuseppe: “La Comunione ha dimensione verticale e orizzontale”
  • La quarantena di un 103enne
  • Il ricordo di Maria Prina
  • …e tanto altro ancora!

Gli abbonati riceveranno la propria copia nelle loro abitazioni.
I non abbonati possono acquistarlo in edicola.

S. Messa ore 10.30 in streaming

XIII domenica del Tempo Ordinario

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Il cuore pieno di Dio

Amo questa Chiesa che mette al suo vertice un peccatore perdonato: in essa c’è spazio per tutti, perché nessuno è tagliato fuori per sempre. Solo adesso, solo quando Pietro ha capito chi è il suo Salvatore, può ascoltare e comprendere quanto Gesù aveva detto agli altri all’inizio del Vangelo, e che Giovanni invece pone alla fine: Gesù gli chiede di seguirlo. Finché la mia fede non entra in contatto con la mia vita, con le mie scelte, e le rivoluziona tutte, finché non capisco che da solo non ce la faccio, non potrò mai seguire davvero Cristo.

Cristo vuole sradicarmi dalle mie certezze, vuole svuotarmi, come le giare di Cana, perché solo così potrà riempirmi con la sua Grazia. Finché penso di essere pieno, resto pieno di acqua, il vino nuovo e buono arriva solo in proporzione al mio coraggio di lasciarmi svuotare e riempire da Dio.

La fede e la colpa

Qualche tempo dopo la Pasqua, dopo aver trovato la tomba vuota, i discepoli tornano sul lago di Tiberiade, là dove tutto è iniziato. Una notte provano a pescare, ma le loro mani non hanno più dimestichezza con i movimenti, e gli sforzi durati tutta una notte sono inutili. Solo Gesù apparso nel frattempo sulla riva, indirizza i discepoli ad una pesca.

Giunti a terra, dopo la colazione ristoratrice, Gesù e Pietro possono parlare a quattr’occhi. Dopo mangiato si parla meglio: si è più sereni, si è disponibili alla confidenza. Gesù non ha più parlato con Pietro dalla notte del Giovedì Santo, quando cioè Pietro lo rinnegò tre volte davanti ad una serva. Gesù, discreto ed attento, non parla di quella sera, gli chiede solo se lo ama. È una domanda apparentemente semplice, ma che lascia la bocca amara quando viene ripetuta per tre volte. Quando compiamo un’azione cattiva contro qualcuno, ci aspettiamo rancore, vendetta, astio; solo se va bene indifferenza. Gesù invece va controcorrente: chiedendogli se lo ama, spinge Pietro a sbilanciarsi, lo porta un passo alla volta a dire le parole pesantissime: “Tu sai tutto, tu sai che ti amo”. In quel “Tu sai tutto” c’è in sintesi estrema la storia della sua fragilità, c’è l’ammissione della propria vicenda di uomo peccatore che non si nasconde come Adamo dietro ad un cespuglio, ma si mette così com’è davanti a Dio. Pietro non cerca scuse, non accusa la serva di quella sera, non chiama in causa gli altri discepoli, che se possibile sono ancora più fragili di lui. Ammette di essere solo sé stesso: ama come può, ama come riesce, con tutti i suoi limiti. Davanti alla richiesta di amore, la colpa viene per così dire neutralizzata, superata: non è ignorata, ma viene assorbita in un progetto di amore più grande che investe Pietro e lo rende proprio perché peccatore  segno visibile della Signoria di Dio. Se Pietro fosse stato perfetto e inossidabile e inattaccabile e immacolato, non avrebbe potuto né comprendere né guidare chi invece è imperfetto, arrugginito e sporco. La Chiesa non è l’elenco dei perfetti, ma è la fraternità dei peccatori perdonati e quindi capaci di speranza, non in sé stessi ma in Dio, l’unico Salvatore. Pietro invece, condotto per mano da Cristo che lo ha chiamato solo per educarlo con pazienza infinita un giorno alla volta,  comprende che la sua perfezione si chiama Cristo. Solo mettendosi davanti a Lui così com’è, senza cercare un’impossibile auto-salvezza o auto-perfezione, consente a Cristo di salvarlo dai suoi peccati.

La geografia dei vizi: l’avarizia

Col denaro il cristiano va guardingo, come su un campo minato.

Egli sa che l’avidità della ricchezza è idolatria. “Un uomo è ricco in proporzione alle cose delle quali riesce a fare a meno”: questo motto dello scrittore statunitense Henry David Thoreau potrebbe essere una bandiera per la vita quotidiana del cristiano comune.

Un altro autore americano, lo storico Gary Cross, ci ha spiegato ultimamente che “fare a meno” di una certa quantità di beni superflui è l’unica via  –  sociale e personale  –  per sottrarci al “ciclo consumistico perpetuo”, che ci induce a un superlavoro, il quale produce un superguadagno e un superconsumo che si inseguono e non si fermano e ci costringono a cedere “tutto il nostro tempo” in cambio di denaro che non abbiamo più la libertà di goderci. Secondo Cross non c’è altro metodo, per spezzare quella spirale, che “puntare sul tempo e non sul denaro”, scegliendo di “andare verso un’esistenza più frugale ma più libera”.

L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti” (1Tim. 6,10).

Lo sfrenato desiderio del guadagno produce oggi una pazzia diffusa: il doppio lavoro, la doppia casa, la doppia pensione non fanno dormire, non fanno amare, non permettono d’avere figli, infelicitano la vita. La moltiplicazione dei beni non porta a godere i giorni nella serenità, ma ad affrettarli nell’inseguimento di un miraggio che tende a farsi totale e tirannico. “Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dá a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi”. (Lc 6,27-35)

È curioso come il precetto evangelico del prestito a rischio, o in perdita, non sia entrato affatto nella coscienza cristiana comune! Eppure nelle parole di Gesù esso è intrecciato al comandamento dell’altra guancia e dell’amore dei nemici, che sono ancora più esigenti e che invece sono entrati nel linguaggio di ogni giorno. Anche l’arte del regalo va coltivata. La dispendiosità cui si è arrivati è nemica di ogni sobrietà, addirittura del buon gusto. Ciò cui dobbiamo porre attenzione è il valore simbolico del dono, la sua reale destinazione d’uso, la parola d’amore che dice o non dice. Gli antichi dicevano che l’avarizia è una madre prolifica e le attribuiscono delle figlie.

a] La durezza di cuore. Il danaro è troppo prezioso per essere dilapidato tra mendicanti e questuanti o per essere sciupato per seguire sentimenti di pietà. Ognuno per sé e Dio per tutti.

b] L’eccessiva inquietudine nel procurarselo e nel custodirlo. L’avaro non dorme, non riposa, non si prende uno svago, teme sempre che sopravvenga qualcosa che gli impedisce di giungere a possedere il bene agognato. L’inquietudine per il denaro toglie la pace.

c] La violenza nel procurarselo e nel difenderlo. Il danaro è un padrone esigente: chiede tutto, anche la vita. Per amore del denaro non si fugge di fronte a qualunque crimine. Si diventa anche omicidi, parricidi, fratricidi.

 d] La menzogna e lo spergiuro. Si può tradire la verità e la parola data. Tanto queste sono parole, e le parole volano, mentre le ricchezze restano.

e] La frode e il tradimento. Non c’è dignità, amicizia che tenga. Non è bello ricorrere all’inganno e tradire l’amico: ma le ricchezze ricompensano ampiamente anche questi sforzi e queste sofferenze.

L’avarizia si esprime in due modi:

I. Come peccato contro il prossimo: amore di possesso. Desiderio di accumulare e possedere ricchezze. Colui che vive per accumulare e conservare denaro, senza mai goderselo, o meglio facendo del possesso il suo godimento. In questo caso l’avaro pecca direttamente contro il prossimo. Se un uomo ne possiede in eccedenza, gli altri ne verranno a  mancare. Il cristiano dice sì al risparmio che garantisca una vita sobria, senza la necessità  di moltiplicare gli impegni di lavoro; ma dice no all’accumulazione del denaro per l’arricchimento. La forma più sofisticata e recente dell’avarizia è quella del risparmiatore creativo, che acquista i fondi di investimento e studia contratti personalizzati con le banche e compra e vende azioni secondo il mercato. Egli non vive il suo tempo nella gratitudine per la vita e i beni ricevuti, ma nell’ansia di moltiplicarli. Non conosce il  tempo lento dell’amore. Specula l’andamento della borsa e non scruta i segni dei tempi. “Chi ama il denaro, mai di denaro è sazio e chi ama la ricchezza non ne ha che basti: anche questa è un’illusione” (Qoelet 5,9).

II. Come peccato contro se stessi: amore di desiderio. C’è un’altra forma di avarizia, con un altro disordine morale, ed è l’avarizia che si esprime nella cupidigia interiore, che si può avere verso le ricchezze in quanto le ricchezze sono oggetto di amore, di desiderio o di piacere disordinato. In questo senso l’avaro pecca contro se stesso: si chiude nel cerchio ristretto dei beni materiali, con la conseguenza di rendersi sensibile e indisponibile per i beni spirituali. Lo dice Gesù nella parabola del Seminatore: “La preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto” (Mt 13,22).

Papa Francesco: un anno dedicato all’enciclica “Laudato sì”

Una mappa per una prima lettura dell’Enciclica

Papa Francesco si rivolge certo ai fedeli cattolici, riprendendo le parole di san Giovanni Paolo II: «i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede», ma si propone «specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune»: il dialogo percorre tutto il testo, e nel cap. 5 diventa lo strumento per affrontare e risolvere i problemi. Fin dall’inizio Papa Francesco ricorda che anche «altre Chiese e Comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato una profonda preoccupazione e una preziosa riflessione» sul tema dell’ecologia. Anzi, ne assume esplicitamente il contributo, a partire da quello del «caro Patriarca Ecumenico Bartolomeo», ampiamente citato ai nn. 8-9. A più riprese, poi, il Pontefice ringrazia i protagonisti di questo impegno – tanto singoli quanto associazioni o istituzioni -, riconoscendo che «la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali [ha] arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni» e invita tutti a riconoscere «la ricchezza che le religioni possono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano» .

L’itinerario dell’Enciclica è tracciato nel n. 15 e si snoda in sei capitoli. Si passa da un ascolto della situazione a partire dalle migliori acquisizioni scientifiche oggi disponibili (cap. 1), al confronto con la Bibbia e la tradizione giudeo-cristiana (cap. 2), individuando la radice dei problemi (cap. 3) nella tecnocrazia e in un eccessivo ripiegamento autoreferenziale dell’essere umano. La proposta dell’Enciclica (cap. 4) è quella di una «ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali» (137), inscindibilmente legate con la questione ambientale. In questa prospettiva, Papa Francesco propone (cap. 5) di avviare a ogni livello della vita sociale, economica e politica un dialogo onesto, che strutturi processi decisionali trasparenti, e ricorda (cap. 6) che nessun progetto può essere efficace se non è animato da una coscienza formata e responsabile, suggerendo spunti per crescere in questa direzione a livello educativo, spirituale, ecclesiale, politico e teologico.

Il testo termina con due preghiere, una offerta alla condivisione con tutti coloro che credono in «un Dio creatore onnipotente» (246), e l’altra proposta a coloro che professano la fede in Gesù Cristo, ritmata dal ritornello «Laudato si’», con cui l’Enciclica si apre e si chiude. Il testo è attraversato da alcuni assi tematici, affrontati da una varietà di prospettive diverse, che gli conferiscono una forte unitarietà: «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita».

Preghiera per la nostra terra

Dio onnipotente, che sei presente in tutto l’universo e nella più piccola delle tue creature, Tu che circondi con la tua tenerezza tutto quanto esiste, riversa in noi la forza del tuo amore affinché ci prendiamo cura della vita e della bellezza. Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e sorelle nuocere a nessuno. O Dio senza dei poveri, aiutaci a riscattare gli abbandonati e i dimenticati di questa terra che tanto valgono ai tuoi occhi. Risana la nostra vita, affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo, affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione. Tocca i cuori di quanti cercano solo vantaggi a spese dei poveri e della terra. Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa, a contemplare con stupore, a riconoscere che siamo profondamente uniti con tutte le creature nel nostro cammino verso la tua luce infinita. Grazie perché sei con noi tutti i giorni. Sostienici, per favore, nella nostra lotta per la giustizia, l’amore e la pace.