Il Vangelo dell’incontro

Domenica 3 ottobre, nel pomeriggio, dopo la recita comunitaria dei Vespri, abbiamo iniziato il cammino mensile che ci vedrà ascoltatori di alcuni brani del Vangelo di Luca che hanno come punto di riferimento Gesù Cristo sulla via, in cammino, in sintonia con il nostro anno pastorale in cui desideriamo porre attenzione, dentro la Geografia della Salvezza, alla strada.
Attraverso la lettura, in atteggiamento di umile, docile ascolto, è possibile incontrare il Maestro che parla in modo unico e irripetibile. Ed è lui stesso che procura e conduce l’incontro: si avvicina alla nostra persona, chiede di entrare nella nostra esistenza, nel nostro feriale, fa scendere nel cuore le parole che ci leggono, coinvolge tutto il nostro essere e poi agisce dinamicamente, purifica, libera e mette a nuovo. Una sfilata di personaggi veri e reali, presentati dall’evangelista Luca, conferma questa esperienza vitale. Essi hanno incontrato Cristo, si sono lasciati condurre da Lui, ed egli ha fatto scendere nel loro cuore parole nuove, parole che hanno letto nell’intimo e hanno trasformato la loro vita. Il primo episodio che abbiamo preso insieme in esame è stato quello dei Dieci lebbrosi. Il punto culminante del brano è costituito dal ritorno di quell’unico che loda Dio e ringrazia Gesù. Il vero scopo del racconto è proprio qui: proporre il “cammino” che l’uomo deve compiere per arrivare alla scoperta di Gesù e aderire a Lui con la fede. Gesù non deve rimanere un grande taumaturgo e nulla di più; la sua vera identità rimane loro ignota, resta nascosta, sconosciuta. Gesù è la fonte della salvezza totale. Resta ancora molta “strada” da fare per arrivare a scoprire chi realmente sia Gesù e per riconoscerlo come Salvatore.
Si potrebbe partire da Lui, ma poi andare per la propria strada, come i nove lebbrosi.

Movimento e riposo

È vero che la strada è il nostro progetto per questo anno pastorale. Però l’equilibrio è saggezza. Diventa necessario saper equilibrare movimento e riposo.
Le proposte liturgiche, celebrative, catechistiche dobbiamo accoglierle dentro questa prospettiva.
Gesù ha inviato i suoi discepoli “sulla strada” ma li ha anche sollecitati a staccarsi dalla folla, dal loro lavoro e ritirarsi con Lui in un “luogo solitario”.
Insegna loro a fare quello che faceva lui: a equilibrare azione e contemplazione, a passare dal contatto con la gente al dialogo segreto e rigenerante con se stessi e con Dio.
Prospettiva di grande importanza e attualità. Le persone sono quotidianamente sulla strada, ma i ritmi della vita hanno preso una velocità che supera le nostre capacità di adattamento.
“Affrettati lentamente”, dicevano i latini. Oggi si è cancellato l’avverbio, lentamente, e si ubbidisce solo al verbo: affrettati, corri, sbrigati. Il correre è diventato spesso una frenesia e una malattia. Si dice: “Chi si ferma è perduto”, ma perduto è anche chi non si ferma mai.
Succede che invece di integrare le cose dentro di sé, sono le persone a consegnarsi alle cose.
Si diventa come ingranaggi di una macchina che non si ferma mai.
Ricordate la scena di Charlot alle prese con la catena di montaggio in Tempi moderni? La vita, allora, non è più un viaggio, ma un semplice trasferimento. Non si ha tempo di capire e di gioire di ciò che la vita offre giorno per giorno. È come viaggiare su un’autostrada con la sola preoccupazione di superare la distanza nel minor tempo possibile, senza nulla godere del paesaggio che si attraversa. Uno può trovarsi dall’altro capo dell’esistenza, senza neppure accorgersi di avere vissuto.
Questa esigenza di tempi di solitudine e di ascolto si pone in modo speciale per gli annunciatori del Vangelo e gli animatori della comunità parrocchiale che devono tenersi costantemente in contatto con la sorgente della vita e della Parola che devono trasmettere.
Ecco il mio personale invito a non sottovalutare o lasciar cadere in uno stile di indifferenza la proposta di un “Tempo di preghiera davanti a Gesù Eucaristia”.

Felice chi ha la strada nel cuore

(Salmo 84)

Beato chi trova in Te la sua forza
e decide nel suo cuore il santo viaggio

Vorrei iniziare con una citazione latina che dice: «Vivere non è necessario, ma se vuoi vivere è necessario viaggiare, navigare». (Plutarco) Il viaggio, parola evocativa e di apertura, di slancio e di futuro, si declina perfettamente in questo periodo storico come esperienza e speranza.
Diventa, per la nostra comunità parrocchiale, il filo conduttore per il nostro anno pastorale:
desideriamo partire per costruire dalle macerie provocate dalla Pandemia.
Sono due i viaggi che caratterizzano i racconti all’origine della nostra cultura: il viaggio di Ulisse nella cultura ellenistica e quello di Abramo nella cultura ebraica. Per Ulisse il viaggio vero non è l’andata, ma il ritorno a casa; Abramo, invece, parte per non ritornare. Il simbolo del viaggio di Ulisse potrebbe essere il cerchio che è finito, completo, perfetto, logico; dalla parte di Abramo invece non il cerchio, ma il percorso di una freccia e dalla parte della freccia, che è quasi un simbolo della cultura ebraica, si incontrano molte partenze: quella di Abramo, quella del popolo nell’esodo, fino alla croce con le sue braccia che partono, si allungano e non sai dove arrivano.
Il cerchio e la croce, la logica contro il paradosso. Ulisse e Abramo: sono i due modi di viaggiare. Un viaggio è verso la memoria, all’indietro, un altro è verso il futuro, verso il nuovo che entusiasma ma anche un po’ spaventa per la sua incertezza. Comunque passato e futuro, memoria e speranza da tenere insieme per percorrere bene il viaggio di questo anno pastorale.
Noi tutti siamo discendenti di questi nomadi antichi, una genealogia di pellegrini e viandanti perché il viaggio, ieri come oggi, risponde ad una cosa sostanziale: alla speranza di un mondo migliore. Anche se oggi il viaggio è diventato soprattutto ludico, un vasto fenomeno di persone che si muovono per turismo, resta una delle esperienze chiave della vita individuale e collettiva perché è un’esperienza di speranza. L’esistenza stessa è una realtà in mutazione e quindi un viaggio, la chiesa è una realtà in mutazione e la vita è fedele a se stessa non quando difende ciò che ha raggiunto, ma quando muta. Così la chiesa è fedele quando muta.
Aristotele diceva: “La vita è nel movimento”. Il flusso della vita come le grandi acque, erode le sue stesse sponde, cambia corso, crea isole, si acquieta in qualche ansa e poi riprende il corso: immobile è il cadavere, senza movimento è il non-vivo.
Partiremo sapendo di dover percorre strade mai finora esplorate, vivere di tutte le attese e i sentimenti, di incognite e sorprese; a volte ci smarriremo, altre volte ci ritroveremo, ma non saremo una comunità statica, ferma e accartocciata nelle proprie sicurezze. «Errare», verbo biblico per eccellenza, custodisce dentro di sé al contempo l’errore e il viaggiare: porteremo sempre nel nostro zaino un errore che ci farà errare, ci rimetterà in cammino.

L’ultimo monte: di Galilea

Matteo apre la sua Passione con il Monte degli Ulivi e chiude il suo Vangelo con un misterioso Monte di Galilea dove Gesù fissa un ultimo appuntamento ai suoi discepoli.
Questa scelta si comprende bene nell’intero racconto della Passione di Matteo, dove l’evangelista ha la costante preoccupazione di spingere avanti lo sguardo del lettore: Gesù indirizza i suoi discepoli, per un incontro già anticipato fin dalla notte dell’ultima cena.
È verso questo monte, da cui partirà l’annuncio del Vangelo per il mondo intero, che Matteo spinge il nostro sguardo. Nel suo Vangelo la croce sarà una porta aperta verso la risurrezione e verso la missione che Gesù affida ad ogni credente. Matteo conclude il suo Vangelo con un racconto molto solenne, sull’ultimo monte del cammino evangelico, il monte fissato da Gesù per l’inizio di una nuova e perenne comunione con Dio.
In quest’ultimo monte l’umanità incontra Dio in Gesù ed è un incontro che non ammetterà più separazioni. Questo monte dice che tutto il Vangelo di Matteo ha avuto come obiettivo di indicare la via della comunione perenne con Dio, una comunione che si realizza soltanto attraverso una comunione con Gesù risuscitato nella forza dello Spirito Santo.
Mai come in questo caso il monte ha un valore simbolico nel Vangelo di Matteo.
La Galilea simboleggia chiaramente l’apertura al mondo pagano (Is 4, 12-16).
Il monte è il luogo dell’incontro e della comunione con Dio. In questo ultimo monte, Matteo riassume tutti i monti del suo Vangelo. Ogni esperienza di incontro con Dio non è stata altro che una preparazione di questa esperienza definitiva: incontrare Dio in Cristo risorto e presente nella sua Chiesa, in mezzo all’assemblea dei suoi fratelli.
È dall’incontro con il risorto che traiamo la forza di vincere la tentazione, perché è lui che ha vinto definitivamente il male. È dall’incontro con il risorto che le Beatitudini diventano una realtà e non una utopia, perché la vittoria che Gesù annuncia per i poveri si è realmente compiuta. La preghiera trova nel risorto la via privilegiata per entrare in comunione con il Padre, la Chiesa si sente chiamare Comunità di fratelli.
Il pane, comunicazione di vita e di vita eterna, trae la sua forza dall’incontro con il risorto.
È con il suo corpo risorto che noi facciamo “comunione”.
Questo incontro che era stato prefigurato nella trasfigurazione ed ora la nostra speranza di vita eterna ha in Cristo risorto la concretezza di una prova. “La vita eterna esiste e noi l’abbiamo veduta e l’annunciamo” diranno i discepoli. È questo Signore risorto, che giudica non solo la città di Gerusalemme dal monte degli ulivi, ma giudica il mondo intero e porta alla chiara divisione fra chi lo accoglie e diventa parte dei fratelli e chi lo rifiuta e cerca di ucciderlo anche nella fede e non solo nella carne. Ma il Risorto non può essere ucciso, perché ha definitivamente vinto la morte. L’annuncio del giudizio è dunque annuncio di speranza e di salvezza. I discepoli si prostrano dinanzi a Gesù esprimendo finalmente la loro fede, anche se pur in questo gesto ci sono alcuni che dubitano. Matteo sottolinea per l’ultima volta che la fede è il luogo dell’impegno ed insieme del dubbio. La fede non cancella la fatica del credere, l’impegno costante di uscire dal dubbio verso la luce della risurrezione. Ma questo dubbio non spaventa Gesù che continua a confidare in questi uomini, che restano poveri e dubbiosi anche se illuminati dalla risurrezione e dalla potenza dello Spirito del Risorto. Gesù continua nonostante questa debolezza a confidare a noi e a loro l’immensa missione della evangelizzazione del mondo. È infatti nel corso del cammino di annuncio che essi giungeranno giorno per giorno a vincere la sfida della fede. Non è con una fede adulta che si annuncia il Vangelo, ma è con una fede in crescita che si annuncia e l’annuncio fa crescere la fede.
Gesù ha avuto da Dio ogni potere, la sua vittoria non è simbolica, è reale, la salvezza è certa ed i cristiani debbono andare ad annunciare il vangelo con l’ottimismo di chi sa che Gesù ha vinto il mondo. È in base a questa vittoria che veniamo inviati, non a vincere noi, ma a contemplare la grandezza di Dio che appare nei cuori, vincendo il male. Qui comincia la salvezza, con questa carica piena di speranza che siamo chiamati a portare. Ciò che l’angelo aveva promesso nell’annuncio a Giuseppe all’inizio del Vangelo ora si compie: Gesù è il Dio con noi . Gesù è Dio con noi, in lui la comunione con Dio diventa una realtà.

Monte Golgota – Monte del Calvario

Questo monte, è un punto di passaggio obbligato per noi cristiani: si tratta infatti del Golgota, del Calvario Il monte è inglobato ormai all’interno della basilica del Santo Sepolcro -: si tratta di uno sperone roccioso di sei o sette metri, chiamato Golgota, in aramaico “cranio”, probabilmente per la sua forma tondeggiante, o forse perché lì vicino c’erano le sepolture dei condannati a morte.

Vogliamo sottolineare come in Occidente tutti, anche coloro che non hanno nessuna fede in Cristo, sanno che cos’è il Calvario (traduzione latina della parola aramaica Golgota), tanto che l’espressione “un calvario di sofferenze” è diventata un modo di dire comune. Se analizziamo questo luogo, soprattutto attraverso la teologia dei Vangeli e in particolare del quarto Vangelo, ci accorgiamo che esso è, sì, il monte della morte ma anche, a ben vedere, il monte della vita; è il monte dell’umanità, della tragedia di un Dio che assume la finitudine fino al punto da bere il calice della sofferenza, della solitudine, della tristezza, del silenzio di Dio (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”); ma è insieme anche il luogo nel quale Giovanni già ci mostra la gloria dell’elevazione, della resurrezione. Il Calvario è già anche il monte dell’ascensione, è già il monte degli Ulivi, è il monte anche della glorificazione, dell’esaltazione, della speranza.

Il Calvario è dunque insieme monte del dolore e del sangue e monte della gloria e dell’infinito.

Il primo monte della passione…

Si tratta di un’altura che sta di fronte a Gerusalemme, quasi in contrasto con il Monte del Tempio su cui è costruita la città. Quasi a sottolineare lo scontro tra Gesù ed i suoi nemici: lo scontro tra verità e falsità, fra bene e male, fra luce e tenebre.

Il monte degli Ulivi, da cui Gesù ha pronunciato il suo discorso sul giudizio universale, compare una terza ed ultima volta nel suo Vangelo introducendo la passione, che è vista per l’ultima volta come lo svolgersi di un unitario progetto di Dio. Un progetto che va fino alla risurrezione ed alla missione della Chiesa. Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Allora Gesù disse loro: “voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge, ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea”. (Mt 26,30-32) In questo modo Matteo mette in chiaro quanto aveva già lungamente detto con gli annunci della passione: la croce non è un incidente di percorso, è invece la meta del cammino di Gesù narrato nel Vangelo. La croce è parte integrante del Vangelo, del messaggio di salvezza che Gesù è venuto a portare. Per questo il racconto della passione viene legato organicamente alla narrazione precedente, soprattutto attraverso questa prima parte di racconto, che è assieme già Passione ed ancora introduzione alla Passione vera e propria.
In questa terza parte dedicata da Matteo al Monte degli Ulivi, abbiamo due fatti cruciali che introducono globalmente la passione: l’ultima cena e la preghiera nell’orto del Getsemani.
Sono gli ultimi due aiuti che Matteo ci offre per comprendere e vivere la croce e la risurrezione. È in questa luce di speranza ed insieme di oscuri presagi di morte che Gesù si avvia verso il Monte degli Ulivi, verso l’Orto del Getsemani per prepararsi all’ultimo confronto con i suoi nemici. Sarà una notte di prova e di scandalo, ma anche una notte che prepara all’alba della
risurrezione. Una notte da affrontare con uno spirito di preghiera, come il cristiano dovrebbe sempre affrontare la croce. Sono le ultime parole rivolte da Gesù ai discepoli, una raccomandazione che Matteo rivolge ad ognuno di noi: Vegliate e pregate per non cadere in tentazione.
Lo spirito è pronto ma la carne è debole. (Mt 26, 41)

Il monte degli Ulivi

Si tratta di un’altura che sta di fronte a Gerusalemme, quasi in contrasto con il Monte del Tempio su cui è costruita la città. Quasi a sottolineare lo scontro tra Gesù ed i suoi nemici: lo scontro tra verità e falsità, fra bene e male, fra luce e tenebre.

È infatti dal Monte degli Ulivi (Mt 21,1) che comincia l’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme e l’annuncio. “Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (Mt 21,9 e 23,39). Apre e chiude il confronto tra Gesù e i suoi avversari.
Nuovamente il Monte degli Ulivi (Mt 24,3) offre la cornice per il lungo discorso di Gesù sulla venuta del Regno di Dio e sul giudizio finale. È infine il Monte degli Ulivi (Mt 26,30) il luogo dove la Passione avrà inizio, dove le funeste previsioni di tradimento e di morte fatte da Gesù cominceranno a compiersi.
Lì Gesù verrà consegnato nelle mani degli uomini e comincerà quella salita verso il monte del Tempio ed il calvario che segneranno le tappe basilari, ma non definitive, della sua Passione, perché il terzo giorno risusciterà.
La riflessione su questo Vangelo che ruota intorno al Monte degli Ulivi ci introduce quindi alla comprensione del senso della Passione, e ci invita a guardarla non come un semplice fatto del passato, ma come il centro della storia.
Nella passione il futuro del mondo è stato segnato per sempre.

Gesù, maestro nella tentazione

1 Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?

Salmo 121

Matteo ci invita a fissare gli occhi su Gesù, a vedere come ha conquistato la vetta del monte delle tentazioni.

Come in ogni ascensione in montagna il segreto è guardare attentamente, come la guida scelga gli appigli e come eviti crepacci e vie senza uscita. Solo così si impara a raggiungere le vette.
E noi guardiamo al nostro Maestro, che ci indica come andare avanti verso la via della salvezza. Questi 40 giorni hanno un chiaro valore simbolico, evocano il soggiorno di Mosè sul monte Sinai (Es 24,18) il primo grande monte dell’incontro con Dio, ma anche i 40 anni del confronto faccia a faccia tra Dio e il suo popolo durante l’Esodo. In ambedue i casi si tratta di periodi di crescita e di maturazione. Quaranta giorni sono quindi il tempo della comunione con Dio, un tempo bello, ma esigente perché è sempre tempo di crescita, di stimolo a camminare. La presenza di Dio nella nostra vita è pacificante e inquietante insieme. La tentazione giunge alla conclusione di questo tempo di crescita e di maturazione, è quasi un esame, una prova che Gesù brillantemente supera per farsi nostro maestro con l’esempio. Per questo anch’essa può avere un significato e una logica: la vittoria sulla tentazione è la vera prova dell’amore. La tentazione della fame ci ricorda quella del popolo durante l’Esodo (Es 16, 2-3) ma ci ricorda anche e soprattutto la prima tentazione, quella
di Adamo ed Eva (Gn 3). Non è senza significato che, scorrendo tutta la Bibbia, dopo quel primo faccia a faccia tra il Tentatore e l’umanità, non c’è un altro testo come quello fino a questo scontro tra Gesù e Satana. Gesù rivive la storia fin dall’inizio; ed anche noi in definitiva riviviamo la storia di fedeltà ed infedeltà, debolezza, peccato ed amore che hanno contraddistinto il cammino dell’umanità e del popolo eletto. La tentazione è non fidarsi di Dio che indica un’altra direzione da percorrere, una via un pò più lunga ed esigente, che non nega il bisogno fisico ed immediato, ma ricorda che ci sono valori più urgenti ed importanti da difendere. Ogni tentazione in definitiva, non è altro che questa: l’idea folle e tremendamente affascinante di prendere il posto di Dio, di avere ogni potere, ogni ricchezza, ogni possibilità. È la tentazione di “essere liberi” perché non c’è “nessuno” più in alto di te ed il mondo è ai tuoi piedi. Puoi andare dove vuoi perché “nessuno” ti chiede di andare da nessuna parte… C’è un unico prezzo da pagare per questa supposta meravigliosa libertà: rinunciare a Dio, cacciare Dio dalla propria vita. È il fascino perverso dell’ateismo. Non solo e non sempre dell’ateismo pratico di tanti che non lo negano a parole, ma lo escludono di atto dalla loro vita. E’ l’ateismo più pericoloso, quello strisciante di chi si è allontanato da Dio, ma non vuole misurare la distanza per non essere costretto a riconoscere la sua situazione. Solo Dio è Dio! Dall’alto della montagna della tentazione, ormai chiaramente superata, Gesù appare come l’uomo veramente libero, libero anche da se stesso, pienamente padrone dei suoi desideri, “vertice” della creazione, fattosi “piccolo” per noi.

Il Monte delle Tentazioni

1 Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?

Salmo 121

Matteo ci propone di guardare a Gesù, che inizia il suo cammino di annuncio del vangelo cominciando a salire la prima montagna: il monte delle tentazioni.

Gesù cammina nella zona montuosa del deserto di Giuda. Aridità, desolazione e soprattutto solitudine. Una solitudine però più apparente che reale: Gesù è condotto dallo Spirito, che dopo essere sceso su di Lui nel battesimo non lo abbandonerà più. Nel territorio della tentazione non siamo soli. Il battesimo non è stato per noi una semplice dichiarazione di principio, o un foglio in più da allegare alla documentazione personale. Il battesimo è una presa di possesso, un’adozione da parte di Dio che nello Spirito Santo ci conduce e ci accompagna sempre.
È per questo che l’incontro con il male può chiamarsi tentazione e prova e non semplicemente e immediatamente disastro e sconfitta. È un confronto annunciato, uno scontro a cui non potremo sottrarci, perché il male c’è ed ha un suo perverso fascino attrattivo.
Il primo nome con cui Matteo definisce personalmente il Male è altamente significativo: Diavolo.
È una parola greca che significa colui che divide o che cerca di dividere.
Ecco l’opera della tentazione: cercare di dividerci da Dio, allontanarci dalla comunione con Lui.
Il primo grande annuncio di questo cammino è che la tentazione esiste: il pericolo di separarci da Dio andando verso la tristezza, il fallimento, la morte, è una tragica realtà. Il rischio c’è, ed è
grave! La tentazione è la spinta a dividerci da Dio per cercare altrove una risposta che appare più facile, più immediata, più attraente … ma sarà la risposta vera? … ci darà la gioia?

Il Monte della scelta

1 Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?

Salmo 121

Continua la scalata della nostra comunità parrocchiale, in questo anno pastorale, sui Monti di Dio. Dopo essere saliti su quelli dell’Antico Testamento, il primo mese di questo nuovo anno iniziamo con quelli del Nuovo Testamento. Saranno i monti di Gesù che affronteremo fino al termine di questo anno pastorale.

Iniziamo con il  Monte della Scelta.

Mare, deserto e monte sono luoghi dell’attività di Gesù che ricordano l’esodo. La sinagoga e la casa ricordano la terra promessa. Gesù è salito per primo sul monte e da lì chiama. È la seconda chiamata, dopo quella del lago mentre i primi apostoli erano intenti a riassettare le reti dopo la pesca. “E fece dodici per essere con lui e per inviarli”. I Dodici sono la “piccola barca” dove il Signore è toccato e non schiacciato; sono la sua vera famiglia, che siede in cerchio attorno a Lui per ascoltare la parola e ricevere la rivelazione del mistero del Regno. Essi sono fatti espressamente per “essere con Lui”, il Figlio. Questa è la realizzazione dell’uomo che con Lui è se stesso. Solo così è vinta quella solitudine abissale che gli è costitutiva: fatto per Dio, solo con Lui colma il suo bisogno essenziale di relazione e di compagnia. Da qui scaturisce la missione. Infatti chi è unito a Lui impara a conoscere il cuore del Padre, e si offre con gioia ad andare presso chi ancora non  lo conosce, perché la sua casa sia piena e non lo è fino a che manca un suo fratello. Questa seconda chiamata è più profonda e spiega perché lo si segue. Ora la sequela diviene unione e intimità con Lui, dove si raggiunge la propria identità di figli. Il discepolo la conosce, e non può non portarla a tutti i fratelli. Questa seconda chiamata ci fa vedere l’essenza della Chiesa. Fatta per essere con Gesù ed essere inviata ai fratelli, ha Lui come unico centro, ed è un cerchio che si estende a tutti. Senza una di queste due dimensioni, delle quali una è particolare e personale, l’altra universale e comunitaria, decade dalla sua natura Gli apostoli l’avevano capito  molto bene. Fin dall’inizio, per tener sempre a disposizione questa piccola barca, dove Lui sta con i suoi e si muove verso gli altri, illuminati dallo Spirito, scelsero di tenersi sempre a disposizione della preghiera (= essere con Lui) e del servizio della Parola ( = essere inviati).

Gesù è l’Emmanuele, il Dio che è venuto per essere con noi, perché noi possiamo essere con Lui. Con Lui irradiazione della gloria di Dio e impronta della sua sostanza, l’uomo torna a riflettere l’immagine e la somiglianza della propria realtà, dalla quale si era allontanato per il peccato. Lui è il centro di gravità del nostro cuore, il polo di ogni nostro desiderio, il luogo naturale della nostra vita. Il discepolo fa parte di una comunità, incentrata non su se stessa, bensì su Gesù, che la apre sempre verso tutti È una persona libera, membro di un popolo in cui ciascuno è riscattato dalla morte, perché è con Colui che è. La prima chiamata fu a seguirlo, lasciando le reti; la seconda pone un salto di qualità: stare con Lui in intimità e amicizia. L’opera del Padre è attirarci al Figlio, per metterci con Lui, in sua compagnia, e inviarci così ai fratelli, perché tutti lo conoscano e lo amino. La lista dei Dodici si chiude con colui che lo tradì. Quest’unione è sempre insidiata dal divisore, che vede in ciò la sua sconfitta.