Uniti possiamo

Riuscirà la nostra comunità parrocchiale a raccogliere in un mese il necessario per il sostentamento di un sacerdote?

Nel mese di novembre la nostra comunità parrocchiale, come altre comunità che sono state scelte, è invitata a contribuire al sostentamento dei parroci attraverso la raccolta di offerte. Possono partecipare tutti. Con la raccolta di circa 1000 euro riusciremo a garantire una mensilità ad un sacerdote dei circa 33.000 impegnati ogni giorno a diffondere i valori del Vangelo in Italia e nei Paesi in via di sviluppo.
Concretamente, nel mese di novembre, sul tavolino dove ci sono i disinfettanti per le mani, all’ingresso della Chiesa, troverai una busta.
La puoi portare a casa compilare il modulo che trovi in essa e inserire la tua offerta libera. Chiudi il tutto e puoi riporlo nell’urna
situata sempre all’ingresso della Chiesa prima delle Messe del sabato pomeriggio e della domenica mattina.
Riceverai direttamente a casa tua la ricevuta per dedurre l’offerta in sede di dichiarazione dei redditi. Grazie per il tuo gesto, è un
segno di vicinanza.

Solennità Dedicazione della nostra Chiesa (2)

Con gioia e letizia celebriamo il giorno natalizio di questa chiesa:
ma il tempio vivo e vero di Dio dobbiamo esserlo noi.
Questo è vero senza dubbio. Tuttavia i cristiani usano celebrare la solennità della chiesa matrice, poiché sanno che è proprio in essa che sono rinati spiritualmente. Dopo il battesimo siamo diventati tempio di Cristo. Cerchiamo di fare con il suo aiuto quanto è in nostro potere, perché questo tempio non abbia a subire alcun danno per le nostre cattive azioni. Cristo si è degnato di fare di noi la sua dimora. Se dunque vogliamo celebrare con gioia il giorno natalizio della nostra chiesa, non dobbiamo distruggere con le nostre opere cattive il tempio vivente di Dio.
Se tu vuoi che la basilica sia piena di luce, ricordati che anche Dio vuole che nella tua anima non vi siano tenebre. Fa’ piuttosto in modo che in essa risplenda la luce delle opere buone, perché sia glorificato colui che sta nei cieli.
(Cesario di Arles)

Il secondo passaggio che dovremmo riuscire a cogliere, è che un’esistenza che costruisce ogni frammento di vita in questa esperienza dovrebbe condurci al rapporto con il Padre; è il vivo rapporto con Padre il quale vuole questo culto in spirito e verità perché il senso della nostra vita è la nostalgia del volto del Padre!
Quando ci ritroviamo in chiesa, abbiamo accesso al volto del Padre, ci ritroviamo attorno a Gesù Cristo, nello Spirito Santo, in una meravigliosa comunione fraterna perché lo sguardo del cuore sia rivolto al Padre. Gesù è venuto in mezzo a noi per parlarci del Padre, Gesù ci comunica la sapienza che è presso il Padre perché la nostra esistenza sia tutta nel Padre.
Ecco perché nella preghiera della Chiesa ci rivolgiamo sempre al Padre, alla fonte della vita, al senso della vita e alla meta della nostra esistenza.
Il cristiano è autentico, quando dice: “Padre!” In quel momento il cristiano è veramente uomo, in quel momento è veramente discepolo del Signore, nel momento in cui dice Padre riempie di eternità la propria storia.

Solennità Dedicazione della nostra Chiesa (1)

Il discepolo è colui nel quale si celebra il culto in spirito e verità.
È il senso della solennità della Dedicazione della nostra Chiesa
che celebriamo Domenica 30 ottobre
.
In questo ricordo dobbiamo tenere sempre presente le parole che Gesù ci ha detto: “Né su
questo monte, né in Gerusalemme adoriamo il Padre”. Il culto a Dio non avviene nel tempo
e nello spazio e allora, davanti a questa forte provocazione di Gesù per il quale il vero culto
è l’uomo che, nella sua identità, dà gloria a Dio, cerchiamo di chiederci: cosa voglia dire
ritrovarci in una chiesa?

E la risposta immediata è molto semplice: riscoprire ogni giorno la propria identità di discepoli.
La bellezza di ritrovarci in un luogo di culto non è assommare riti, non è ritrovare criteri morali, non è gratificare una coscienza giuridica, ma ritrovarci nel luogo di culto è ritrovare la gioia di essere uomini che vivono e danno un culto in spirito e verità.
La bellezza di una comunità è condividere il senso della vita che viene dall’alto.
Il Signore sempre si rende presente dove c’è una comunità che respira la sua mentalità.
La bellezza della fede non è fare tante cose, non è di per sé neanche entrare in un tempio, ma la bellezza della fede è imparare quella sapienza che viene dall’alto, quella sapienza che ci viene comunicata continuamente, quella sapienza che è il gusto della vita.
Il luogo è semplicemente un segno, non è un valore. Il valore è essere nel mistero di Cristo che vuole essere presente in una comunità, per regalarci la sua interiorità. Il cristiano è culto in spirito e verità, è una mentalità che viene dal Padre, che nello Spirito Santo ci è regalata e ci fa diventare sempre più il volto di Cristo. E il volto di Cristo è il volto della pienezza della nostra umanità.
Saremmo dei cristiani molto poveri se venissimo in chiesa perché dobbiamo porre i riti della tradizione; noi siamo cristiani perché veniamo in chiesa per essere alunni del Risorto che ci regala la vera sapienza, quella interiorità che ci permette di costruire la nostra esistenza.
Il cristiano è colui che nasce ogni giorno da lassù e quindi, a livello personale, ha il gusto delle realtà divine. Ecco il primo elemento che possiamo percepire nella festa di oggi: diventare il Cristo che in noi è culto in spirito e verità.

Andiamo con gioia alla casa del Signore

“Andiamo con gioia alla casa del Signore” che non è questa chiesa di mattoni ma in quel ” Andiamo alla casa del Signore” orientiamo la nostra vita verso l’eternità beata.
Il fatto di ritrovarci nella nostra Chiesa è gustare la nostalgia dell’incontro glorioso.
Potrebbero abbattere anche questa chiesa e noi non abbiamo nessun problema perché la Chiesa siamo noi che gustiamo la stessa mentalità di Cristo nello Spirito Santo per tendere verso il volto del Padre.
E se riuscissimo a cogliere questo aspetto della festa di oggi, di quella provocazione che Gesù ci dà di essere un culto in spirito e verità, è chiaro che non ci guarderemmo più d’attorno, non guarderemmo a tanti riti…
Il Signore è molto semplice, il Signore guarda solo la nostra persona nella quale Egli con il Padre e lo Spirito Santo abita, anima le emozioni del nostro cuore, ci fa desiderare la sua parola, ma soprattutto ci dà quel gusto alla nostra umanità sacramento della presenza trinitaria.
Noi non amiamo nessun luogo perché noi siamo il luogo in cui il mistero divino si realizza in pienezza e, allora, ci accorgiamo che la vita di tutti i giorni è un meraviglioso culto in spirito e verità.
Gesù ci ha detto: “È venuto il momento ed è questo in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”. L’uomo, che è nato da Dio Padre, gusta il volto del Cristo nella quotidiana docilità allo Spirito e allora ogni frammento della vita, qualunque cosa noi possiamo fare, qualunque aspirazione nasce dal nostro cuore è il culto in spirito e verità! I troppi riti possono far dimenticare il volto di Dio Padre, le troppe prescrizioni ci rendono autoreferenziali e dimentichiamo che il vero culto è la Trinità che opera in noi per cantare eternamente la Trinità. Non c’è momento della nostra vita che non sia un adorare il Padre in spirito e verità e in questo cogliamo lo sviluppo della nostra identità umana.

Giovedì eucaristico

L’Adorazione che cos’è?
L’adorazione eucaristica è ascolto. Fare adorazione non è soltanto parlare a Gesù: la prima cosa da fare è ascoltare, perché Colui che sta dinanzi a noi non è l’oggetto passivo della nostra contemplazione, della nostra adorazione: Gesù è Colui che ci parla e noi dobbiamo stare in ascolto. Nell’adorazione il nostro atteggiamento non deve essere il fare ma l’ascoltare.
Quando si va a fare un’ora di adorazione si sa con quali atteggiamenti si entra ma non si sa con quali atteggiamenti si esce; qualche volta possiamo anche andare per protestare nei confronti di Gesù, poi si ascolta Lui che parla attraverso la nostra coscienza e scombussola i nostri piani.
Noi abbiamo bisogno di conoscere il pensiero di Dio, dobbiamo conoscere il suo pensiero sul significato della vita, sul significato degli anni che ci restano da vivere. Oggi siamo bombardati dallo stile di vita corrente, allergico al pensiero di Dio, e viviamo giorno dopo giorno senza dare senso a quello che facciamo.
Il Valore dell’Adorazione
È qui che si innesta il valore dell’Adorazione eucaristica che non è un monologo che io faccio dinanzi a Dio, ma è un dialogo dove io sono colui che ascolta e il Signore è Colui che parla. Adorare è lasciarci trafiggere il cuore da Gesù, lasciarci giudicare da Lui, lasciarci parlare da Lui; se c’è una domanda da fargli è proprio:” fammi conoscere le vie della vita”.
C’è una tentazione da evitare nel concepire l’ora di adorazione ed è il concepirla come un’ora di evasione dalla realtà, dal mondo, dalle nostre responsabilità. Non è un’ora che nasce dal desiderio di evasione, dal desiderio di liberarsi da tutto ciò che dà fastidio nella vita. Dovrebbe essere invece un bisogno di stare con il Signore, un’ora per pensare e meditare.

Perché la domenica andiamo all’eucaristia?

Spesse volte ci poniamo la domanda: perché la domenica andiamo all’eucaristia? La risposta è molto semplice: per imparare quella sapienza divina che dà a ciascuno di noi il gusto della nostra umanità.
Se non entriamo in questo orizzonte, forse non abbiamo mai conosciuto Gesù Cristo e, allora, in questa eucaristia in cui il Signore si rende presente, Egli vuole educarci al vero culto in spirito e verità: fare come lui ha fatto sulla croce “Tutto è compiuto!”. Questo atteggiamento non è altro che , regalare la nostra esistenza frammento per frammento nelle mani amorose del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Allora la nostra storia diventa il culto in spirito e verità. Ogni volta che vediamo questa chiesa non guardiamo le mura, ma guardiamo la nostra persona che entrando nei divini misteri impara ad essere se stessa.
Questa sia la bellezza dell’eucaristia che celebriamo. Il Risorto che è presente nella comunità cristiana ci raduna nell’eucaristia e  sta creando in noi un mondo nuovo. E’ quel fascino che è dentro di noi e che ci deve continuamente guidare in modo che abbiamo quella sapienza che viene dall’alto, ci dà la solidità della roccia che è Cristo, per aspirare a quell’incontro divino finale in cui ogni nostro desiderio sarà veramente e pienamente realizzato.

Giornata Missionaria Mondiale

“La missione dei cristiani è donare aria pura, di alta quota, a chi vive immerso nell’inquinamento del mondo portare in terra quella pace che ci riempie di gioia ogni volta che incontriamo Gesù sul monte, nella preghiera; mostrare con la vita e persino a parole che Dio ama tutti e non si stanca mai di nessuno.”

“Di me sarete testimoni” (At 1,8) Vite che parlano
La Giornata Missionaria Mondiale 2022 trova il suo principale riferimento tematico nel messaggio di Papa Francesco che porta il titolo «Di me sarete testimoni».
Il Papa ci dice: «Come Cristo è il primo inviato, cioè missionario del Padre e, in quanto tale, è il suo “testimone fedele”, così ogni cristiano è chiamato a essere missionario e testimone di Cristo.
E la Chiesa, comunità dei discepoli di Cristo, non ha altra missione se non quella di evangelizzare il mondo, rendendo testimonianza a Cristo. L’identità della Chiesa è evangelizzare».
L’ottobre missionario di quest’anno si inserisce nel contesto di importanti eventi di cui non possiamo non tenere conto.
Prima di tutto ricordiamo che in quest’anno ricorrono importanti anniversari per la vita e missione della Chiesa: la fondazione, 400 anni fa, della Congregazione de Propaganda Fide – oggi denominata “per l’Evangelizzazione dei Popoli” – e, 200 anni fa, dell’Opera della Propagazione della Fede, per iniziativa di una giovane laica francese, Pauline Jaricot, della quale abbiamo celebrato la beatificazione il 22 maggio scorso. Questa preziosa Opera, che in breve si è sparsa in tutta la Francia ed in altri paesi europei, insieme all’Opera della Santa Infanzia e all’Opera di San Pietro Apostolo, 100 anni fa sono state riconosciute come Opere “Pontificie”, cioè importanti per la vita di tutta la Chiesa e di tutte le Chiese, in particolare per quelle più giovani e più fragili. In questo ottobre missionario facciamo nostro l’augurio del Papa: «Auspico che le Chiese locali possano trovare in queste Opere un solido strumento per alimentare lo spirito missionario nel Popolo di Dio».
Non possiamo dimenticare il “cammino sinodale della Chiesa italiana” che, nell’anno pastorale 2022-2023 prevede un approfondimento della fase di “ascolto” iniziata nel precedente anno pastorale: la vita di ogni uomo e donna è preziosa e ha qualcosa di significativo da offrire.
In particolare un invito a “mettersi in ascolto” delle vite di tanti missionari e del loro “camminare insieme” con le Chiese che sono chiamati a servire: sono vite che hanno tante cose da dirci, sia come testimonianze personali di fede e di servizio all’evangelizzazione, sia come esperienze di Chiese particolari che si impegnano a vivere la sinodalità. Le loro esperienze di evangelizzazione sono importanti anche per le nostre comunità: sono «Vite che parlano»; che parlano di Cristo risorto e vivo, speranza per tutti gli uomini del mondo. Sull’esempio dei missionari vogliamo anche noi imparare a far sì che le nostre vite “parlino” e siano, pur nella semplicità, una testimonianza del Signore Gesù e del suo amore.
L’ascolto delle vite dei missionari risvegli in ciascuno il desiderio e la disponibilità di partecipare alla missione universale della Chiesa. Rinnoviamo a tutti l’invito di Papa Francesco nel suo messaggio: «ai discepoli è chiesto di vivere la loro vita personale in chiave di missione: sono inviati da Gesù al mondo non solo per fare la missione, ma anche e soprattutto per vivere la missione a loro affidata; non solo per dare testimonianza, ma anche e soprattutto per essere testimoni di Cristo»

Vite che parlano (2)

Piace rileggere, come percorso accessibile, il cammino stesso di una donna biblica, Rut, quale figura di uno stile in cui far ritornare la vita ad essere parola che comunica. Una provocazione per ciascuno di noi, e più ampiamente per le nostre comunità ecclesiali. Ciò che effettivamente permette a Rut di consegnare parole di vita anche nella sofferenza è la speranza. Una speranza questa, che si consolida in lei in ogni momento in cui accetta di vivere con gratuità la storia che le è data, fino a sperimentarla come la struttura della sua esistenza. Questi alcuni elementi che delineano il percorso da lei vissuto: Innanzitutto, è un vissuto che parla di coraggio a condividere un futuro.
Rut, scegliendo di condividere il futuro di Noemi, non solo fa sua la vita fallita della suocera, ma scommette sullo stesso Dio di Noemi che finora si era rivelato fonte di disgrazia e di dolore («il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio». La condivisione del futuro diventa una parola che riconcilia alla vita. Ma ancora di più, nell’assumere quel futuro, Rut si abilita a riconoscere Dio e a proclamarne il nome. Rut sperimenta che il servizio offerto a Noemi nel desiderio di non rendere più amaro il suo futuro, è diventato una opportunità di crescita per se stessa, una parola di futuro su se stessa. Il servizio offerto diventa una opportunità straordinaria di vita, uno spazio in cui sperimentare come veramente la vita che
si fa dono produce frutto. Ancora, è un vissuto che parla collocandosi nella domanda del bisogno.
Proprio perché Rut va a spigolare, cioè si mette nel luogo degli ultimi, degli emarginati, dei più poveri, ha la possibilità di incontrare Booz, il quale poi la riscatta. Anche l’ultimo posto può essere motivo di incontri straordinari e che possono cambiare radicalmente la vita. Anche nella domanda del bisogno che affiora in tante situazioni della vita, insieme al valore di ciò che ci viene donato, c’è realmente la possibilità di riconoscere l’altro come un riflesso della fedeltà stessa di Dio, della speranza che egli ci consegna.
La vicenda di Rut, testimonia ulteriormente come la parola costruisce la storia.
La storia di Rut, entra nella grande genealogia, e diventa Parola di salvezza. In questa genealogia in cui Rut entra a far parte, grazie al marito Booz e al figlio Obed (Mt 1,5: «Booz generò Obed da Rut»), la sua storia dichiara che la parola ha la sfumatura e la comprensione della parola dell’altro.
Sarà così anche quando, nella scena conclusiva del racconto biblico, Rut, al di là di ogni pretesa di possedere il figlio, lo lascia sul grembo di Noemi, quasi a suggerire che il dono della propria vita, e il frutto che da essa scaturisce, si può contemplare solo quando viene posto nel grembo della storia dell’altro, solamente cioè quando ci si dispone ad offrire anche all’altro il motivo di accedere alla speranza.
Quella di Rut non è una maternità chiusa in se stessa, ma si realizza in una fecondità più ampia, capace di abbracciare le storie ferite e di collocare in esse le ragioni della speranza vissuta in prima persona.
La sua vera grandezza, forse, non sta nell’aver fatto cose spettacolari, ma nel coraggio semplice, apparentemente banale, di aver abitato la propria storia, spesso sofferta, senza mai aver rinunciato a scegliere e a progettarsi nella modalità del dono. Mediante Rut, Dio entra di nuovo nella storia. E fa sentire che questa storia non è una storia abbandonata, ma è una storia che porta già in sé i segni della riuscita e del compimento. Rut lascia il figlio sul grembo di Noemi perché gli faccia da nutrice. Anche a Noemi, in forza di quel figlio riconosciuto come dono, il futuro non è sottratto. Così, i gesti della condivisione e della solidarietà, sono capaci di offrire un futuro anche per coloro ai quali questo futuro sembra essere stato sottratto. Infine, perché in questo si racchiude tutto il percorso che Rut lascia intravedere, la sua parola ha la misura della Parola di Dio. È Lui il grande regista di tutta la scena, è Lui che muove Rut sul cammino di Noemi, è di Lui che si cantano le benedizioni, è per Lui che nel dono di un figlio la storia assume un nuovo orizzonte. E non è una parola dai contorni vaghi, ma ha il nome del «Signore, Dio d’Israele». Così, infatti, Booz, rivolgendosi a Rut e in un gesto di riconoscenza per ciò che ha fatto nei confronti di Noemi, afferma: «Il Signore ti ripaghi questa tua buona azione e sia davvero piena per te la ricompensa da parte del Signore, Dio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti».

Vite che parlano (1)

In questa sintetica espressione è contenuta tutta la storia di Rut e della sua famiglia, così come quella di tante persone che nella Sacra Scrittura hanno trovato ospitalità: l’aver assunto la logica dell’amore, averla tradotta in uno stile di prossimità e averla riaperta attraverso la speranza a un futuro, è ciò che permette di riconoscere la loro vicenda come una pagina stupenda del Testo Sacro. Sono vissuti che hanno la sembianza di frammenti, ma non per questo meno eloquenti di quella Parola che Dio consegna alla storia attraverso i vissuti delle tante persone che con la loro tenacia, si fanno carico di custodire la vita e di trasformare le situazioni di limite, di fragilità e di sofferenza in un possibile futuro abilitato dalla speranza che la fede sostiene e orienta. “Vite che parlano”, perché testimoni di come la vita, se confessata nella sua dimensione di dono, è sempre capace di configurarsi nella sua riuscita, in forza di quella gratuità che il dono porta con sé. Solo nel grembo di questa umanità che ci è “nutrice”, possiamo dirci partecipi della grande storia della salvezza all’interno della quale c’è spazio per comprendere le tante parole “di vita”, perché parole “della vita”. Di tutto questo,
il vissuto di tante donne e tanti uomini che hanno abbracciato la vita anche nei frangenti più difficili, è un documento incomparabile, una parola di Vangelo veramente udibile e al quale tornare ad apprendere.

Giovedì eucaristico

«L’adorazione eucaristica: arcaismo, attualità, opportunità?» chiedeva provocatoriamente in un colloquio J. Perrier. Possiamo senza dubbio rispondere mettendo in rilievo l’attualità e l’opportunità di un gesto, antico sì, ma assai valido e pertinente all’oggi. Quanto mai attuali ci sembrano infatti le parole di Giovanni Paolo II: «L’animazione e l’approfondimento del culto eucaristico sono prova di quell’autentico rinnovamento che il Concilio si è posto come fine, e ne sono il punto centrale. La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare a incontrarlo nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione».

Il Maestro è qui e ti chiama

È un’esperienza di Chiesa. È un’esperienza forte di comunità cristiana. È un’opportunità straordinaria. Non riguarda solo qualcuno. Non tocca solo quelli più sensibili. A tutti i battezzati è offerta questa possibilità di stare con Gesù, di guardarlo e di incontrare il suo sguardo, di ascoltarlo e di parlargli, di amarlo e di lasciarsi amare. Con l’adorazione dell’Eucaristia tutta la comunità e tutte le famiglie ne ricevono benedizioni. Chi adora intercede presso il Signore a favore anche di chi è lontano da Lui, di chi ha il cuore chiuso, di chi è in difficoltà, di chi soffre e piange, di chi è stanco e deluso, di chi spera in un domani migliore.