S. Messa di chiusura del mese di maggio.
Questa sera ore 21 presso la Grotta di Lourdes.
S. Messa di chiusura del mese di maggio.
Questa sera ore 21 presso la Grotta di Lourdes.
Questa solennità ricorre ogni anno la domenica dopo Pentecoste e propone uno sguardo alla realtà di Dio amore e al mistero della salvezza realizzato dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. «La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati»
In questa domenica contempliamo la Santissima Trinità così come ce l’ha fatta conoscere Gesù.
Egli ci ha rivelato che Dio è amore “non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza” (Prefazio): è Creatore e Padre misericordioso; è Figlio Unigenito, eterna Sapienza incarnata, morto e risorto per noi; è finalmente Spirito Santo che tutto muove, cosmo e storia, verso la piena ricapitolazione finale. Tre Persone che sono un solo Dio perché il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno. Non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica. Lo possiamo in qualche misura intuire osservando sia il macro-universo: la nostra terra, i pianeti, le stelle, le galassie; sia il micro-universo: le cellule, gli atomi, le particelle elementari. In tutto ciò che esiste è in un certo senso impresso il “nome” della Santissima Trinità, perché tutto l’essere, fino alle ultime particelle, è essere in relazione, e così traspare il Dio-relazione, traspare ultimamente l’Amore creatore.
Tutto proviene dall’ amore, tende all’ amore, e si muove spinto dall’ amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà. “O Signore, Signore nostro, / quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!” (Sal 8,2) – esclama il salmista. Parlando del “nome” la Bibbia indica Dio stesso, la sua identità più vera; identità che risplende su tutto il creato, dove ogni essere, per il fatto stesso di esserci e per il “tessuto” di cui è fatto, fa riferimento ad un Principio trascendente, alla Vita eterna ed infinita che si dona, in una parola: all’Amore. “In lui – disse san Paolo nell’ Areòpago di Atene – viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28). Usando un’ analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore».
Questa solennità ricorre ogni anno la domenica dopo Pentecoste e propone uno sguardo alla realtà di Dio amore e al mistero della salvezza realizzato dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. «La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati»
Per capire qualcosa della Trinità, ma senza la possibilità di esaurirne il mistero, si può utilizzare questa analogia. La Sacra Scrittura dice che quando Dio creò l’ uomo, lo creò a sua “immagine” (Genesi 1,27). Dunque, nell’ uomo si trova una lontana ma comunque presente immagine della Santissima Trinità. L’ uomo possiede la mente e la mente genera il pensiero. Il pensiero, contemplato dalla mente, è amato, e così dal pensiero e dalla mente procede l’ amore. Ora mente, pensiero, amore, sono tre cose ben distinte fra loro, ma assolutamente inseparabili l’ una dall’ altra, tanto che si può dire che siano nell’ uomo una cosa sola. Nella Trinità il Padre è mente, che da tutta l’ eternità genera il suo Pensiero perfettissimo (il Logos). Il Pensiero, generato eternamente dal Padre, sussiste, come persona distinta, ed è lo Spirito Santo. Ma come la mente, il pensiero e l’ amore sono nell’ uomo tre cose distinte, ma assolutamente inseparabili, così il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, sebbene sussistano come persone distinte, sono però un Dio solo.
Il matrimonio è ben più di una “convenzione sociale, un rito vuoto o il mero segno esterno di un impegno”. Il matrimonio è una vocazione, un sacramento ovvero è un dono per la santificazione e la salvezza degli sposi. Nel matrimonio si riflette il volto della Trinità, la quale si rivela con tratti familiari.
Nella famiglia umana radunata da Cristo, è restituita l’immagine e somiglianza della Santissima Trinità, mistero da cui scaturisce ogni vero amore. Da Cristo, attraverso la Chiesa, il matrimonio e la famiglia ricevono la grazia dello Spirito Santo, per testimoniare il Vangelo dell’amore di Dio.
Parlare di sacramento non è parlare di una cosa, ma è parlare di Cristo stesso che diventa fonte, custode e fine dell’amore degli sposi. Cristo stesso viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Egli rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri. Il matrimonio cristiano è un segno che non solo indica quanto Cristo ha amato la sua Chiesa nell’alleanza sigillata sulla croce, ma rende presente tale amore nella comunione degli sposi.
Gli sposi indicano lo sposalizio di Cristo con la nostra natura umana. Nella vita nuziale, gli sposi sperimentano e indicano, in una analogia imperfetta ma reale, una pregustazione del banchetto delle nozze dell’Agnello.
Il valore di una persona lo si vede nelle difficoltà. È una cosa che sappiamo bene, specie se abbiamo attraversato dei momenti difficili e ci siamo domandati, alla fine, “come ho fatto a venirne fuori?”. Ci sono in noi forze nascoste che emergono solo nei momenti di maggior pericolo e difficoltà. È vero però anche il contrario: infatti delle volte sono
proprio le situazioni difficili che ci costringono a scoprire le nostre paure e difficoltà e ci aiutano a ridimensionarci nel nostro io e nella nostra superbia. Un dolore, una prova o una pandemia ci ricordano in fondo che siamo umani, fragili e bisognosi gli uni degli altri. La spavalderia di Pietro si ridimensiona immediatamente dopo aver passato la triste vicenda del rinnegamento del Maestro. Giuseppe sembra invece un uomo già nella sua giusta dimensione, e ciò lo si evince da come reagisce di fronte alle avversità. Invece di scoraggiarsi o di lamentarsi, cerca sempre ingegnosamente una soluzione. Così la notte in cui Gesù viene al mondo lo troviamo capace di riadattare un rifugio per animali a luogo per un parto. O davanti alla minaccia di Erode non ha paura di partire immediatamente di notte, affrontando l’incognita. Giuseppe è un uomo forte, concreto e creativo. In lui vediamo esorcizzata la tentazione di lamentarci, scoraggiarci e arrenderci agli “ormai”. In questo senso, possiamo rivolgerci a lui chiedendo di essere liberati da ogni scoraggiamento e di essere illuminati su come diventare creativi in tempi di prova.
Qual è la motivazione di questa celebrazione?
«Il Sommo Pontefice Francesco», si legge nel decreto, «considerando attentamente quanto la promozione di questa devozione possa favorire la crescita del senso materno della Chiesa nei Pastori, nei religiosi e nei fedeli, come anche della genuina pietà mariana, ha stabilito che la memoria della beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, sia iscritta nel Calendario Romano. Questa celebrazione ci aiuterà a ricordare che la vita cristiana, per crescere, deve essere ancorata al mistero della Croce, all’ oblazione di Cristo nel convito eucaristico, alla Vergine offerente, Madre del Redentore e dei redenti».
Si legge nel decreto: «La gioiosa venerazione riservata alla Madre di Dio dalla Chiesa contemporanea, alla luce della riflessione sul mistero di Cristo e sulla sua propria natura, non poteva dimenticare quella figura di Donna la Vergine Maria, che è Madre di Cristo e insieme Madre della Chiesa. Ciò era già in qualche modo presente nel sentire ecclesiale a partire dalle parole premonitrici di sant’ Agostino e di san Leone Magno. Il primo, infatti, dice che Maria è madre delle membra di Cristo, perché ha cooperato con la sua carità alla rinascita dei fedeli nella Chiesa; l’ altro poi, quando dice che la nascita del Capo è anche la nascita del Corpo, indica che Maria è al contempo madre di Cristo, Figlio di Dio, e madre delle membra del suo corpo mistico, cioè della Chiesa. Queste considerazioni derivano dalla divina maternità di Maria e dalla sua intima unione all’ opera del Redentore, culminata nell’ ora della croce. La Madre infatti, che stava presso la croce, accettò il testamento di amore del Figlio suo ed accolse tutti gli uomini, impersonati dal discepolo amato, come figli da rigenerare alla vita divina, divenendo amorosa nutrice della Chiesa che Cristo in croce, emettendo lo Spirito, ha generato. A sua volta, nel discepolo amato, Cristo elesse tutti i discepoli come vicari del suo amore verso la Madre, affidandola loro affinché con affetto filiale la accogliessero. Premurosa guida della Chiesa nascente, Maria iniziò pertanto la propria missione materna già nel cenacolo, pregando con gli Apostoli in attesa della venuta dello Spirito Santo. In questo sentire, nel corso dei secoli, la pietà cristiana ha onorato Maria con i titoli, in qualche modo equivalenti, di Madre dei discepoli, dei fedeli, dei credenti, di tutti coloro che rinascono in Cristo e anche di “Madre della Chiesa”.
Il 3 marzo 2018, con un decreto pubblicato dalla Congregazione del Culto divino, papa Francesco ha iscritto nel Calendario romano la memoria obbligatoria della beata Vergine Maria Madre della Chiesa fissandola al lunedì dopo la domenica di Pentecoste.
Cinquanta giorni dopo la Pasqua, solennità della Pentecoste, celebriamo una festa fondamentale e decisiva della nostra fede cristiana. La Pentecoste è il culmine della Pasqua.
È una festa che, per noi cristiani è tanto importante come la Pasqua stessa e il Natale. Certo, ognuna di queste solennità è inscindibilmente legata all’altra, ma ciascuna ha una sua specificità, che la rende affascinante e preziosa. Ecco, la Pentecoste è la festa dello Spirito, il dono di Dio, che ci costituisce nella Chiesa testimoni della Pasqua di Gesù.
«Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo», dice uno dei passaggi della ‘Sequenza’. Lo Spirito viene descritto da Gesù con questa espressione: «il Paraclito», una parola greca che significa sia ‘consolatore’ sia (avvocato) difensore. Questo significa che lo Spirito ci è ‘dato’ in un tempo difficile, un tempo di prova, un tempo arduo, un tempo che ci mette alla prova. È il nostro tempo.
È il tempo difficile della Chiesa. È il tempo difficile della testimonianza. Che cosa significa ‘Paraclito’ lo dice molto bene la Sequenza: «nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto». Fatica, calura opprimente, pianto … sono pane quotidiano della nostra vita. Lo Spirito non ci toglie queste ‘prove’, ma ci dà il vigore di resistere e di affrontarle, attraversandole: è riposo quando siamo affaticati, quando non vediamo il frutto delle nostre opere, dei nostri sforzi; quando ci pare di essere inconcludenti e inefficaci. Lo Spirito è riparo nella calura: ci offre un’ombra di ristoro, per recuperare le forze; ci offre un po’ di sollievo quando viene meno il vigore del cammino. Lo Spirito, ancora, ci offre conforto quando siamo toccati e ‘commossi’ da un dolore che ci fa piangere, ci sovrasta, ci stende a terra, e sembra non esserci nessuna altra consolazione se non il pianto.
Lo Spirito può essere ‘Paraclito’, però, solo perché è lo «Spirito della Verità». Gesù dice che, senza lo Spirito, noi non abbiamo la forza di portare il peso delle sue parole. Le ascoltiamo, ma non diventano nostre, perché ci sembrano pesanti, difficili, se non impossibili. Lo «Spirito di Verità» non dice cose diverse e nuove, rispetto a Gesù. Egli, dice Gesù: «prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Le parole di Gesù, che sono la Parola del Padre, sono le parole dello Spirito. Egli ci permette di accoglierle, di farle nostre, di comprenderle sempre di più, di gustarne i colori e le sfumature, di comprenderne la bellezza. Perché lo Spirito è Luce: «manda a noi … un raggio della tua luce», dice la Sequenza. E ancora: «O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli». Lo Spirito è luce che ci invade, nel profondo, perché possiamo amare e gustare la Verità di Gesù.
Lo Spirito è uno solo e produce un solo ‘frutto’ e questo frutto è l’«amore», l’ascolto, l’ospitalità reciproca. Paolo dice che questo unico frutto, che è l’amore, si moltiplica in mille opere, in mille ricchezze: nei frutti dell’unica lingua. Paolo descrive in modo poetico e insuperabile la ricchezza e la molteplicità dell’unico amore: «gioia, pace, magnanimità», e cioè pazienza, «benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé». Sono tutte virtù silenziose, non particolarmente appariscenti, direi umili, quasi nascoste, ma proprio per questo ben visibili.
In questo stile di vita riconosciamo «il frutto» dello Spirito, l’opera di Dio nella Chiesa.
Sono tre i momenti nei quali, in modo tutto particolare, lo Spirito Santo scende con la sua potenza divina d’amore sulla Madonna e compie in Lei le sue meraviglie: l’Immacolata Concezione, l’Annunciazione e la Pentecoste.
Lo Spirito Santo agisce in Maria fin dal primo istante della sua concezione nel seno materno: la libertà dal peccato originale, la redime in modo sublime in vista dei meriti del mistero pasquale di Gesù e la colma della sovrabbondanza dei suoi doni. La Madonna diviene “degna dimora dello Spirito Santo” che regna in Lei nella maniera più perfetta e la rende “Immacolata”: non solo assenza di peccato, ma pienezza di grazia. «La Madonna è plasmata e formata come nuova creatura» dallo Spirito Santo. Quando l’Angelo Gabriele le appare la saluta senz’altro: «Ave, o Maria, piena di grazia». La Potenza dello Spirito Santo rende la Madonna capace di un abbandono totale alla parola di Dio ed Ella pronuncia il suo “Eccomi”, il suo “Fiat”. La Chiesa ha raccolto questo momento essenziale della nostra salvezza e nel simbolo della fede ci fa pregare: «Per opera dello Spirito Santo, [Gesù] si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo» (Credo). Nel giorno della Pentecoste troviamo Maria con gli Apostoli nel cenacolo, implorante con le sue
preghiere il dono dello Spirito Santo. Anche Maria riceve la sovrabbondanza dello Spirito Santo e diviene un miracolo di grazia e di amore: la sua santità tocca le soglie dell’infinito.
Tutta la vita della Madonna, come la vita terrena di Gesù, è posta sotto il segno dello Spirito Santo.
È lo Spirito che infiamma il cuore di Maria e lo fa traboccare nel canto del Magnificat. È ancora lo Spirito Santo che spinge Maria a sollecitare amabilmente dal Figlio suo il primo miracolo alle nozze di Cana. Fu certamente lo Spirito Santo che sostenne Maria ai piedi della Croce e che dilatò il suo cuore per accogliere tutti noi come figli nella persona dell’apostolo Giovanni. Fu infine «lo Spirito Santo che, divampando con supremo ardore nell’animo di Maria pellegrina sulla terra, la rese bramosissima di riunirsi al Figlio glorioso e la dispose a conseguire degnamente, a coronamento dei suoi privilegi, quello dell’Assunzione in anima e corpo al cielo».