La Via della Strada

Nel libro degli Atti degli Apostoli al capitolo 9 versetto 1 si legge: “Saulo, spirando ancora minacce e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avessero trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via”.
Quelli della Via, quelli della strada, Saulo chiama i cristiani. Quelli cioè che si sono messi sulla Strada di Gesù Cristo.  Capiterà anche a Lui fermarsi sulla Strada e seguire poi quella Via.
Ci sentiamo un po’ tutti in “regola”. Ognuno di noi è uno di “quelli della Via”!
La via qui indica un sogno, un progetto, una dottrina, un insegnamento…una strada da percorrere…una meta da raggiungere…un uomo da seguire, Gesù Cristo la Via!
Oggi l’uomo ha ricominciato ad essere viator… Sta tornando a fare della Via, del muoversi, del camminare, dell’uscire, del viaggiare, dell’andare uno stile di vita. Torna a vivere la strada, la via. E la Via parla, propone, espone, indica, osserva: chi vi transita, chi la guarda, chi si ferma, chi vende e chi si vende… Sulla Via, sulla strada si torna a pensare chi siamo…
Come i due di Emmaus, tristi, confusi, amareggiati, malinconici fino a quando uno sconosciuto, non si affianca e fa di quell’avvicinarsi, di un gesto, di una parola l’incontro fondamentale della vita. Una vita ridonata. Si torna a camminare. L’homo viator di oggi è un assetato di infinito.
Rivive sulla propria pelle l’avventura di S. Agostino, cercatore di Dio, cercatore della Via, cercatore della vita. Scrive Agostino nei “Trattati su Giovanni”: Tu cerchi la via? Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: “Io sono”, disse “la via”! La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita. Prima ti indica la via da prendere, poi il termine dove vuoi arrivare. “Io sono la via, Io sono la verità, Io sono la vita”.

«TuXTutti», fin da bambini!

Il prendersi cura è una caratteristica propria dell’essere umano che occorre coltivare fin da bambino per poter contribuire a rendere migliore il mondo, per realizzare la propria vocazione, qualsiasi essa sia, perché sempre, in ogni situazione di vita, siamo chiamati a prenderci cura di qualcuno e di qualcosa, ad aprirci agli altri, a non escludere nessuno dal nostro sguardo, a non precludere nessuna possibilità di bene nei confronti di chiunque, soprattutto quando ci sono situazioni di disagio come lo sfruttamento, la povertà, la diseguaglianza, la fragilità, la disabilità, ecc. 
Ogni persona, ogni «Tu» che sia anche un discepolo del Signore, non può trascurare queste situazioni, ma è chiamato con tutti gli altri a fare la sua parte, prendendosene cura (trascurare è il contrario di prendersi cura).
Una persona aperta e attenta, carica di passione e piena di amore per il prossimo, non può che accogliere con gioia l’invito a essere «TuXTutti», fin da bambino!

Predicazioni, persecuzioni, preghiera

Mettiamo l’accento su “tre dimensioni” di questa “vita di Paolo in movimento, sempre in cammino”.
San Paolo, una vita sempre in moto per annunciare Cristo
La prima “è la predicazione, l’annunzio”. Paolo, va da una parte all’altra ad annunziare Cristo e quando
non predica in un posto, lavora. Ma quello che fa di più, è la predicazione: quando è chiamato a predicare
e ad annunziare Gesù Cristo, è una passione la sua! Non è seduto davanti alla sua scrivania: no.
Lui sempre, sempre è in moto. Sempre portando avanti l’annuncio di Gesù Cristo. Aveva dentro un fuoco, uno zelo … uno zelo apostolico che lo portava avanti. E non si tirava indietro. Sempre avanti.
E questa è una delle dimensioni, che gli porta difficoltà, davvero.
Con il sostegno dello Spirito Santo è possibile affrontare le persecuzioni La seconda dimensione di questa vita di Paolo, sono le difficoltà, più chiaramente le persecuzioni.
Paolo va a giudizio, perché lo ritengono “un perturbatore”. E lo Spirito ispirò a Paolo un po’ di furbizia e sapeva che non erano ‘uno’, che fra loro c’erano tante lotte interne, e sapeva che i sadducei non credevano nella Risurrezione, che i farisei ci credevano … e lui, un po’ per uscire da quel momento, disse a gran voce: ‘Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei. Sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dai morti’. Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa tra i farisei e i sadducei e l’assemblea, perché i sadducei non credevano … E questi, che sembravano essere ‘uno’, si sono divisi, tutti”.
Costoro erano i custodi della Legge, i custodi della dottrina del Popolo di Dio, i custodi della fede, ma uno credeva una cosa, uno l’altra. Questa gente aveva perso la Legge, aveva perso la dottrina, aveva perso la fede, perché l’avevano trasformata in ideologia, lo stesso la dottrina.
La forza di San Paolo è la preghiera, l’incontro con il Signore San Paolo ha dovuto lottare tanto su questo. La prima dimensione della vita di Paolo è l’annuncio, lo zelo apostolico: portare avanti Gesù Cristo, la seconda è: soffrire le persecuzioni, le lotte.
Infine, la terza dimensione: la preghiera. Paolo aveva questa intimità con il Signore.
Gli veniva accanto tante volte. Una volta lui dice che è portato quasi al settimo cielo, nella preghiera, e non sapeva come dire le cose belle che aveva sentito lì. Ma questo lottatore, questo annunciatore senza fine di orizzonte, sempre di più, aveva quella dimensione mistica dell’incontro con Gesù. La forza di Paolo era questo incontro con il Signore, che faceva nella preghiera, come è stato il primo incontro sul cammino per Damasco, quando andava a perseguitare i cristiani. Paolo è l’uomo che ha incontrato il Signore, e non si dimentica di quello, e si lascia incontrare dal Signore e cerca il Signore per incontrarlo. Uomo di preghiera.
Questi sono i tre atteggiamenti di Paolo che ci insegna questo passo: lo zelo apostolico per annunciare Gesù Cristo, la resistenza – resistere alle persecuzioni – e la preghiera: incontrarsi con il Signore e lasciarsi incontrare dal Signore. E così Paolo andava avanti fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni del Signore. Che il Signore ci dia la grazia, a tutti noi battezzati, la grazia di imparare questi tre atteggiamenti nella nostra vita cristiana: annunziare Gesù Cristo, resistere alle persecuzioni e alle seduzioni che ti portano a staccarti da Gesù Cristo, e la grazia dell’incontro con Gesù Cristo nella preghiera.

Tu x Tutti

Dieci volte al giorno ci salutiamo e ci chiediamo: come stai? Poche, però, sono quelle occasioni in cui questa domanda dà spazio a una vera condivisione. Ci siamo abituati a dire che stiamo bene e siamo in salute quando tutto, dentro di noi, tace: quando i nostri organi stanno in silenzio, lo stomaco non è inacidito, il polmone non è intasato, la testa non rimbomba o il piede non è gonfio. Eppure, «il silenzio della vita degli organi» è uno standard di salute troppo modesto! È un ottimo risultato per il medico, che si può ritenere soddisfatto quando i sintomi dello star-male sono scomparsi, ma stare bene è un’altra cosa: è passeggiare, abbracciarsi, piangere o gridare, è sentirsi pieni di energia o semplicemente diventare un tutt’uno con la natura. Prendersi cura della propria salute e della propria vita significa, infatti, investire sul positivo dell’esistenza, perché il nostro esserci nel mondo divenga un’esperienza carica di senso e densa di energia. Non basta, però, che la cura sia un atto limitato alla scelta del singolo: sono troppe le povertà esistenziali nel nostro territorio, troppe le fatiche a prendersi cura di sé e non sempre i nostri piccoli possono permettersi di avere attorno a sé un contesto sufficientemente sereno e funzionale alla crescita. Per questo, è necessario che la comunità si impegni a costruire una dimensione forica (nel senso del foro romano, di un luogo che raccoglie e ospita la vita e i commerci) nello spazio collettivo. L’espressione è molto utilizzata dalla sociologia e dalla psicoanalisi francesi e indica il gesto di caricare di valore simbolico ed esistenziale le cose materiali che ci circondano: perché la piazza non sia solo un pavimento in porfido o l’ufficio anagrafe uno sportello anonimo. In altre parole, la collettività è chiamata a creare le condizioni di giustizia affinché le persone che vi abitano possano prendersi cura di sé.
Se le persone imparano a prendersi cura di sé, infatti, è la società che si arricchisce, ed è per questo che la misura dello stato di salute di una collettività non si basa solo sul potenziamento del tenore economico, ma anche sul rafforzamento della capabilità di ogni individuo. Anche questo termine è tecnico, inventato dal premio Nobel per l’economia A. Sen, e indica la capacità di convertire le risorse personali di ogni individuo in libertà reali e positive, perché non basta che un bambino sopravviva alla crescita e si accontenti del contratto a tempo indeterminato! Occorre piuttosto che la società gli permetta di far uscire tutte le risorse di cui è portatore, perché possa realizzare la vita che più gli corrisponde. Questa è giustizia. Apprestarsi a vivere un’estate all’insegna del servizio è un proposito che mette subito la comunità cristiana in sintonia con queste riflessioni e con un bisogno sempre più diffuso sul nostro territorio, anche se non sempre il più ascoltato. La tecnocrazia che regola i nostri rapporti sociali non è interessata a far germogliare la vita buona o la cura di sé, perché si struttura a partire da altri valori, come la performance o l’utilità economica. Scommettere sulle risorse individuali e personalizzare lo stile educativo perché germogli nella vita di un ragazzo la sua più autentica vocazione è un’opera che si oppone alla standardizzazione dei bisogni a cui la logica tecnocratica è interessata. Per questa ragione, investire su un mese all’insegna della cura e del farsi carico della vita di altri è decisamente un atto rivoluzionario, capace di mettersi a servizio dei bisogni del mondo, ma anche di qualificare il discepolato cristiano. Investire sulla cura e sul servizio è anche un proposito in controtendenza, ed è importante esserne consapevoli: un tempo diventare adulti significava assumere una responsabilità nel mondo, all’interno della comunità; oggi non è più così. Non ci sono più riti di iniziazione che vanno in questa direzione e spesso l’età adulta corrisponde solamente con la possibilità di accedere a tutti e soli i diritti che spettano al cittadino. La società occidentale è a forma di single, perché l’individuo è il target della mens legislativa (manca per esempio un corpus di leggi adeguato per la famiglia, perché la famiglia non riveste più una dimensione pubblica/istituzionale). La questione è molto seria, perché cade su un punto cruciale del modo di intendere la vita: qual è il rapporto tra individuo e società? Si può pensare che un individuo acceda alla pienezza di vita senza che questo coinvolga il destino della sua comunità? In un’epoca in cui l’individuo basta a se stesso, la solidarietà e il servizio potrebbero facilmente trasformarsi in dis-valori, o comunque in hobbies facoltativi e non determinanti per la vita di un adulto. Come si può tornare a dire il valore prezioso e inestimabile di una vita spesa nel servizio? Come si può tornare a mostrare che un’educazione che non insegna il servizio è fallimentare? Su questo aspetto la comunità cristiana è chiamata a ribadire, anche attraverso la propria opera, che il compimento dell’esistenza non può darsi al di fuori dello sforzo di costruzione di una società giusta. Non si arriva al traguardo da soli!