“Una gloria più splendente della luce” (3)

Oltre a essere trinitaria, la gloria della trasfigurazione è, in secondo luogo, più specificamente una gloria cristologica. La luce increata che risplende dal Signore Gesù lo rivela come “vero Dio da vero Dio… consustanziale al Padre”, secondo le parole del Credo. Ma allo stesso tempo sul Tabor il corpo umano del Signore, sebbene radioso di gloria immateriale, resta ancora pienamente materiale e umano; la sua carne creata è resa traslucida, così che la gloria divina risplende attraverso di essa, ma non è abolita né ingoiata. Come si esprime l’innografia di questa festa, utilizzando il linguaggio della definizione calcedonese e di quello del quinto concilio ecumenico, Cristo è rivelato sulla montagna come “una persona in due nature, completa in entrambe”.
Interpretando le implicazioni cristologiche della trasfigurazione, noi possiamo dire: nulla è tolto e nulla è aggiunto. Nulla è tolto: trasfigurato sul Tabor, Cristo resta pienamente umano.
Allo stesso modo, nulla è aggiunto: la gloria eterna rivelata sul Tabor è qualcosa che il Cristo incarnato possiede da sempre, fin dal suo concepimento nel grembo della santa Vergine.
Questa gloria è con lui lungo tutta la sua vita terrena: perfino durante i momenti della sua più profonda umiliazione, come quello dell’agonia nel giardino del Getsemani o in quello del suo urlo di abbandono sulla croce, resta vero che “in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”.
La differenza sta semplicemente in questo: in altri momenti della sua vita sulla terra la gloria, sebbene realmente presente, è nascosta sotto il velo della carne; sulla cima della montagna, per un breve istante, il velo diviene trasparente e la gloria è resa parzialmente manifesta.
Alla trasfigurazione, comunque, nessun cambiamento avvenne in Cristo stesso; il cambiamento avvenne piuttosto negli apostoli. Secondo san Giovanni Damasceno, “egli fu trasfigurato non assumendo ciò che non era, ma manifestando ai suoi discepoli ciò che egli era, aprendo così i loro occhi”. “Egli non divenne in quel momento più radioso o più esaltato”, dice sant’Andrea di Creta, “lungi da ciò: egli rimase come era prima”. Come afferma Paul Evdokimov, “la storia evangelica non parla della trasfigurazione del Signore, ma di quella degli apostoli”.
La festa della trasfigurazione, così, ci pone di fronte il paradosso salvifico della nostra fede cristiana: Gesù è interamente Dio e allo stesso tempo interamente uomo, essendo tuttavia una sola persona e non due. Ogni anno, il 6 agosto, facciamo bene a riflettere con la massima chiarezza e umiltà su questa doppia pienezza presente nel Salvatore incarnato: la perfezione della sua divinità e l’integrità intatta della sua umanità.