“Una gloria più splendente della luce” (4)

In terzo luogo, la trasfigurazione ci rivela non soltanto la gloria della Trinità, non soltanto la gloria di Cristo, una persona in due nature, ma anche la gloria della nostra persona umana. La trasfigurazione è una rivelazione non soltanto di ciò che Dio è, ma parimenti di ciò che noi siamo. Guardando a Cristo trasfigurato sul monte, noi vediamo la natura umana – la nostra persona creata – assunta in Dio, riempita interamente della vita e della gloria increate, permeata dalle energie divine, pur continuando a essere totalmente umana. Noi vediamo la natura umana come era al principio, in paradiso, prima della caduta; vediamo la natura umana come sarà alla fine, nel tempo che verrà dopo la risurrezione finale – e questo ultimo stato della natura umana è incomparabilmente più elevato del primo. In questo senso la trasfigurazione ha un carattere escatologico; è, per utilizzare le parole di san Basilio il Grande, “l’inaugurazione della parousia gloriosa di Cristo”. Oggi, nella divina trasfigurazione, tutta la natura umana risplende in modo divino e grida di gioia.
Ma non è tutto. In quarto luogo – e ciò ha un particolare significato per il mondo contemporaneo –, il Cristo trasfigurato ci rivela la gloria non soltanto della persona umana ma ugualmente dell’intera creazione materiale. “Tu hai santificato con la tua luce tutta la terra”. La trasfigurazione ha una portata cosmica, poiché l’umanità deve essere salvata non dal mondo ma con il mondo.
Il monte Tabor anticipa lo stato finale predetto da san Paolo, quando la creazione nella sua interezza “sarà liberata dalla schiavitù della corruzione”, ed entrerà nella “libertà della gloria dei figli di Dio”.
È l’inaugurazione della “nuova terra”, di cui parla l’Apocalisse.

“Una gloria più splendente della luce” (3)

Oltre a essere trinitaria, la gloria della trasfigurazione è, in secondo luogo, più specificamente una gloria cristologica. La luce increata che risplende dal Signore Gesù lo rivela come “vero Dio da vero Dio… consustanziale al Padre”, secondo le parole del Credo. Ma allo stesso tempo sul Tabor il corpo umano del Signore, sebbene radioso di gloria immateriale, resta ancora pienamente materiale e umano; la sua carne creata è resa traslucida, così che la gloria divina risplende attraverso di essa, ma non è abolita né ingoiata. Come si esprime l’innografia di questa festa, utilizzando il linguaggio della definizione calcedonese e di quello del quinto concilio ecumenico, Cristo è rivelato sulla montagna come “una persona in due nature, completa in entrambe”.
Interpretando le implicazioni cristologiche della trasfigurazione, noi possiamo dire: nulla è tolto e nulla è aggiunto. Nulla è tolto: trasfigurato sul Tabor, Cristo resta pienamente umano.
Allo stesso modo, nulla è aggiunto: la gloria eterna rivelata sul Tabor è qualcosa che il Cristo incarnato possiede da sempre, fin dal suo concepimento nel grembo della santa Vergine.
Questa gloria è con lui lungo tutta la sua vita terrena: perfino durante i momenti della sua più profonda umiliazione, come quello dell’agonia nel giardino del Getsemani o in quello del suo urlo di abbandono sulla croce, resta vero che “in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”.
La differenza sta semplicemente in questo: in altri momenti della sua vita sulla terra la gloria, sebbene realmente presente, è nascosta sotto il velo della carne; sulla cima della montagna, per un breve istante, il velo diviene trasparente e la gloria è resa parzialmente manifesta.
Alla trasfigurazione, comunque, nessun cambiamento avvenne in Cristo stesso; il cambiamento avvenne piuttosto negli apostoli. Secondo san Giovanni Damasceno, “egli fu trasfigurato non assumendo ciò che non era, ma manifestando ai suoi discepoli ciò che egli era, aprendo così i loro occhi”. “Egli non divenne in quel momento più radioso o più esaltato”, dice sant’Andrea di Creta, “lungi da ciò: egli rimase come era prima”. Come afferma Paul Evdokimov, “la storia evangelica non parla della trasfigurazione del Signore, ma di quella degli apostoli”.
La festa della trasfigurazione, così, ci pone di fronte il paradosso salvifico della nostra fede cristiana: Gesù è interamente Dio e allo stesso tempo interamente uomo, essendo tuttavia una sola persona e non due. Ogni anno, il 6 agosto, facciamo bene a riflettere con la massima chiarezza e umiltà su questa doppia pienezza presente nel Salvatore incarnato: la perfezione della sua divinità e l’integrità intatta della sua umanità.

“Una gloria più splendente della luce” (2)

Riguardo a questa luce increata e immateriale che risplende dal Salvatore trasfigurato, si possono affermare almeno quattro cose: Essa ci rivela la gloria della Trinità; Essa ci rivela la gloria di Cristo come Dio incarnato; Essa ci rivela la gloria della persona umana; Essa ci rivela la gloria dell’intero cosmo creato. Innanzi tutto, la luce del Tabor è una luce della santa Trinità, come la chiesa canta ai vespri della festa: Cristo, la luce che risplendette davanti al sole, in questo giorno ha misticamente fatto conoscere sul monte Tabor l’immagine della Trinità. Vista come celebrazione trinitaria, la festa della trasfigurazione è molto simile alla festa che ricorre esattamente otto mesi prima, la teofania o epifania (6 gennaio), la celebrazione del battesimo di Cristo. Entrambe sono feste della luce: infatti la teofania è comunemente chiamata “Le luci”. Ma il parallelo si estende più in là di questo: entrambe sono occasioni in cui è chiaramente manifestata l’azione congiunta delle tre persone della divinità. Al battesimo di Gesù la voce del Padre parla dal cielo, rendendo testimonianza al Figlio, mentre lo Spirito in forma di colomba discende dal Padre e riposa sul Cristo. Esattamente la stessa configurazione triadica è evidente sul monte Tabor: il Padre parla dal cielo, testimoniando del Figlio, mentre lo Spirito è presente in quest’occasione non in forma di colomba bensì come nube luminosa. Leggendo la trasfigurazione in questa prospettiva trinitaria, dunque, noi proclamiamo: Oggi sul Tabor alla manifestazione della tua luce, o Logos, abbiamo visto il Padre come luce e lo Spirito come luce, che guida con la luce l’intera creazione.

“Una gloria più splendente della luce” (1)

Nel racconto evangelico che narra l’episodio della Trasfigurazione è detto che il volto di Cristo risplendette “come il sole”. Qui i padri greci e i libri liturgici ortodossi sono più espliciti ed enfatici. Il volto del Signore, dice san Giovanni Crisostomo, risplendette non soltanto come ma più del sole. La gloria del Tabor, così insegnano i padri con sorprendente unanimità, non è soltanto una luce naturale, bensì soprannaturale; non soltanto una luminosità materiale, creata, bensì lo splendore spirituale e increato della divinità. È una luce divina. Già nel tardo secondo secolo Clemente di Alessandria spiega che gli apostoli non videro la luce grazie alla normale capacità della percezione sensoriale, dal momento che gli occhi fisici non possono vedere la luce della divinità senza essere trasformati dalla grazia divina; la luce è “spirituale” ed è rivelata ai discepoli non nella sua interezza, ma soltanto nella misura in cui essi erano in grado di percepirla.
Si tratta di una luce, dice san Gregorio il Teologo, “troppo forte per gli occhi umani”, una luce, secondo san Massimo il Confessore, che “trascende il funzionamento dei sensi”.
Affermazioni simili ricorrono nei testi liturgici della festa. La luce del Tabor, viene detto, è “immateriale”, “eterna”, “infinita”, “inavvicinabile”, “una gloria più splendente della luce”.
In breve, non è nient’altro che “la gloria della divinità”; “è uno splendore radioso e divino”.
Come afferma san Dionigi l’Areopagita, la luce è “sovraessenziale” o “al di là dell’essere”.
Quando nel quattordicesimo secolo san Gregorio Palamas insisteva dicendo che la luce del Tabor è identica alle energie increate di Dio, non stava facendo nient’altro che riassumere la tradizione patristica esistente, che si estendeva fino a più di mille anni prima di lui.

Una testimonianza

La speranza non cresce se non attraverso testimoni, che parlano in prima persona, che osano uscire dal guscio dell’anonimato per esporsi e azzardare una parola che nasce dalla loro esperienza.
Chi ti ha incontrato, Gesù, è stato generato a una speranza viva e ora non può più tacere, non può tenere per sé ciò che trabocca dal suo cuore. Ecco perché avvertiamo il bisogno di testimoniare, di dire quello che ha trasformato la nostra povera esistenza. Ecco perché la nostra vita con le sue scelte quotidiane, i suoi comportamenti e atteggiamenti diventa un riflesso di quella novità che tu hai fatto sbocciare dentro questa nostra storia. Non permettere, Signore, che la nostra fragilità offuschi la luce che sei venuto a portare. Non permettere che il nostro peccato impedisca agli altri di credere al tuo disegno di amore.

Un annuncio

C’è un annuncio che ci ha raggiunti: è da lì che tutto ha avuto origine. C’è una buona novella che ci è stata portata e che ha destato in noi la speranza. Non potremo mai dirti, Gesù, tutta la nostra gratitudine perché sei tu che hai dato un volto e un corpo alla speranza. Ci hai strappato alle illusioni e ai sogni irrealizzabili e ti sei fatto uomo proprio per far nascere l’amore anche nelle lande desolate in cui ha imperversato l’odio; per riportare vitalità nella nostra esistenza, arsa come un deserto infuocato; per curare e guarire tutte le piaghe che ci portiamo dentro e fanno sanguinare il nostro cuore; per riportare la pace attraverso la misericordia e il perdono. Sei tu la nostra speranza, Gesù, e chi ci ha parlato di te ha spalancato davanti a noi orizzonti nuovi, ci ha offerto la possibilità di credere a un disegno di salvezza e di Fraternità.

Perdono di Assisi: un dono chiesto al Signore per ogni uomo

“Ti prego che tutti coloro che, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, ottengano ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”. Fu una richiesta quasi audace quella fatta da San Francesco direttamente al Signore che gli era apparso in una notte del 1216 mentre era immerso nella preghiera nella Porziuncola. Si trovò, raccontano le fonti, improvvisamente circondato da un fascio di luce. Il Signore glielo concesse e Francesco, si recò subito da Papa Onorio III per ottenere l’indulgenza e il 2 agosto 1216, dinanzi una grande folla, alla presenza dei vescovi dell’Umbria promulgò il Grande Perdono. Francesco, in quella giornata di agosto, alle genti riparate all’ombra delle querce disse: “Fratelli, io vi voglio mandare tutti in Paradiso e vi annuncio una grazia che ho ottenuto dalla bocca del Sommo Pontefice”.

L’indulgenza del Perdono
Quel lontano giorno d’estate segna così la nascita del tesoro della Porziuncola: l’Indulgenza del Perdono che può essere chiesta per sé o per i propri defunti. Per ottenerla è necessaria la confessione, la partecipazione alla Messa e l’Eucaristia, il rinnovo durante la visita della propria professione di fede recitando il Credo e il Padre Nostro, infine la preghiera secondo le intenzioni del Papa e per il Pontefice. Dalle 12 del primo agosto, fino alle 24 del 2 agosto, l’indulgenza plenaria concessa alla Porziuncola quotidianamente si estende a tutte le chiese parrocchiali sparse nel mondo e anche a tutte le chiese francescane.

Madonna degli Angeli

Il 2 agosto si ricorda Santa Maria degli angeli e del perdono, Madonna alla quale è dedicata una Basilica in Assisi, e dove Ella apparve a San Francesco, il quale svolse parte della sua opera nella cosiddetta Porziuncola, una chiesetta ottenuta in dono dai monaci Benedettini del monte Subasio nella quale fondò l’Ordine dei Frati Minori, da lui stesso rimodernata e sistemata e presso cui si ritirava in preghiera e meditazione. Proprio qui si narra che un giorno di luglio del 1216 San Francesco si trovasse a pregare quando gli apparve in tutto il suo fulgore la Madonna seduta alla destra di Gesù Cristo e circondata da angeli la quale gli chiese in che modo poter esaudire il suo desiderio di mandare tutti in paradiso.
San Francesco rispose prontamente: “Signore, benché io sia misero e peccatore, ti prego che a tutti quanti, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, conceda ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”. Quale altruistica richiesta! Che tutti quelli che nel corso degli anni si fossero recati a pregare nella Porziuncola, avessero ottenuto la completa remissione delle loro colpe, quello che viene conosciuto come il Perdono di Assisi. Gli fu infatti risposto di recarsi dal Papa in carica, ovvero il Pontefice Onorio III il quale dopo averlo ascoltato e concessa l’indulgenza gli chiese se volesse un documento, ma il frate rispose sicuro: “Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni”.