Quarto atteggiamento: frutto dello Spirito è BONTA’

Il concetto e il termine “bontà” sono facilmente equivocati, fraintesi, addirittura sviliti e derisi.
Basta pensare al cosiddetto buonismo, che è la caricatura della bontà. Il buonismo è la facilità a prendere tutto per buono, ad accettare quindi tutto, a fare qualunque cosa abbia la parvenza di bene. Bontà non è nemmeno perdonismo, tendenza cioè a lasciar passare il male, a lasciar correre, a mettere il male un po’ in disparte senza preoccuparsi di vincerlo. Spesso forse il termine “bontà” ci illude, la riteniamo un atteggiamento semplice, da bambini, mentre è tutt’altro. La bontà è la manifestazione primaria e più ampia del frutto dello Spirito Santo nella vita dell’uomo; esso nel cuore suscita l’agape, l’amore o cordialità, la simpatia, e nelle mani genera la bontà, la voglia di fare bene. Questa bontà è un riflesso dell’atteggiamento divino: “Nessuno è buono, se non uno solo, Dio”. La bontà è quindi la prerogativa di Colui che gode nel fare per primo il bene, nel suscitare solo e sempre bene attorno a sé. Dopo aver creato ogni cosa, il Signore ha detto: è cosa buona. La nostra bontà non è se non una partecipazione, nello Spirito Santo, della caratteristica divina, e per questo è bella, creativa, affascinante, capace di suscitare una società nuova. È la disposizione a promuovere il bene altrui come proprio; sono buono quando considero che il bene dell’altro è mio e perciò lo voglio volentieri, spontaneamente, con il cuore, senza bisogno di essere soggetto a un imperio, a un comando, a un esame. La bontà è insomma fonte sorgiva di azioni benefiche e salvifiche. Dal momento che la bontà è frutto dello Spirito, non dei nostri sforzi umani, essa procede dalla preghiera. È un dono da invocare, da implorare disponendoci ad accoglierlo con umiltà e riconoscenza. Più prossimamente, l’atmosfera in cui meglio si esprime la bontà è la gioia del cuore. La gioia è come la sorgente dell’acqua della bontà. Il buon umore è molto collegato alla bontà. In un certo senso la bontà richiede buon umore, ma insieme lo diffonde, irradia serenità, sorriso. La bontà è la gioia nel dare, non la fatica. Chi ha la bontà frutto dello Spirito è sempre pronto a mettersi in questione. La bontà evangelica non è altruismo.
L’altruismo porta infatti a preoccuparsi degli altri fino a dimenticare, a trascurare se stessi e il proprio bene, e magari non si arriva ad alcun risultato positivo. La bontà evangelica non trascura mai la dignità di chi si dedica al prossimo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Cioè, come tu rispetti e ami te stesso e difendi la tua dignità, così comprendi, ami, rispetti e difendi la dignità dell’altro. È dunque la ricerca del vero bene per sé e per l’altro; è qualcosa di molto nobile, non di dispersivo. Gesù ci ama senza misura. Perché ci sentiamo amati molto, noi siamo capaci di amare molto. La bontà edifica, costruisce anzitutto me: essa è l’amore con cui Dio mi ama, e poi lo esprimo verso gli altri. Il semplice vocabolo “altruismo” non dice questa ricchezza di bene che viene da Dio in me e si ripercuote su un altro senza diminuire in nulla me stesso, ma arricchendomi. La bontà disegna così una figura di persona completa, che non scivola, non si lascia intrappolare, non cade nel buonismo o nell’altruismo magari pentendosi più tardi di aver compiuto qualcosa di sbagliato per sé e per l’altro.