Santo del mese: Beato Carlo Gnocchi

La malattia, l’ultimo dono e la morte

Ai primi di novembre 1955, mentre visitava il Centro Pilota di Roma, don Carlo si sentì male. Sulle prime i medici pensarono che fosse un esaurimento, ma quando fu ricoverato alla clinica Columbus di Milano emerse la verità: aveva un tumore allo stomaco, con metastasi diffuse ai polmoni.
Una domenica di febbraio mandò a chiamare il professor Cesare Galeazzi, direttore dell’ospedale Oftalmico di Milano, per chiedergli quello che definì «un grande favore»: dopo la sua morte, le sue cornee dovevano essere espiantate, per ridare la luce degli occhi a uno dei suoi ragazzi.
Non molti giorni dopo morì, nel pomeriggio del 28 febbraio 1956, a 53 anni.
L’operazione di espianto ebbe successo e destò molto clamore: si era agli albori della cultura dei trapianti d’organi, che in Italia non erano ancora disciplinati per legge. I beneficati furono Silvio Colagrande e Amabile Battistello, l’uno rimasto privo della vista a causa di un incidente, l’altra cieca dalla nascita.

La fama di santità e il processo di beatificazione

I funerali furono celebrati nel Duomo di Milano il 1° marzo 1956 dall’arcivescovo Giovanni Battista
Montini, poi papa Paolo VI e Santo, con un’imponente partecipazione di popolo.
Durante i funerali, un mutilatino, Domenico Antonino, fu portato al microfono e disse: «Prima ti dicevo: ciao don Carlo. Adesso ti dico: ciao, san Carlo». Era solo la prima attestazione pubblica di una buona fama che, col passare degli anni, non venne meno.
Il nulla osta per l’avvio della causa di beatificazione di don Carlo Gnocchi è giunto il 5 gennaio 1987: già il 6 maggio del medesimo anno fu aperta, a Milano, la fase diocesana del processo, conclusa il 23 febbraio 1991 e convalidata il 29 ottobre 1993. La “positio super virtutibus” è stata trasmessa a Roma nel 1997.
Fu ottenuto parere positivo circa l’esercizio delle virtù eroiche sia dai consultori teologi, il 22 ottobre 2002, sia dai cardinali e vescovi membri della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi, il 3 dicembre dello stesso anno. San Giovanni Paolo II autorizzò quindi, il 20 dicembre 2002, la promulgazione del decreto con cui don Carlo Gnocchi era dichiarato Venerabile.

Il miracolo e la beatificazione

Come presunto miracolo per ottenere la beatificazione fu preso in esame il caso di Sperandio Aldeni, artigiano elettricista e alpino bergamasco. Il 17 agosto 1979 era sopravvissuto a una scarica elettrica altrimenti mortale, invocando proprio don Carlo Gnocchi. Il processo sull’asserito miracolo venne quindi aperto il 22 ottobre 2004 e concluso quasi tre mesi dopo, il 19 novembre; fu convalidato il 6 maggio 2005.
La giunta medica della Congregazione per le Cause dei Santi diede parere favorevole circa l’inspiegabilità dell’evento il 5 luglio 2007. L’opinione fu confermata dai consultori teologi il 4 novembre 2008 e dai cardinali e vescovi della Congregazione il 13 gennaio 2009. Infine, il 17 gennaio 2009, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui l’evento prodigioso era da attribuirsi all’intercessione del Venerabile Carlo Gnocchi, aprendo quindi la strada alla sua beatificazione. Il 25 ottobre 2009, nella stessa piazza Duomo che aveva visto i suoi funerali, don Carlo Gnocchi veniva ufficialmente posto alla venerazione dei fedeli. Il rito di beatificazione è stato presieduto da monsignor Angelo Amato come inviato del Santo Padre, all’interno della celebrazione eucaristica presieduta dal cardinal Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano.

Storie di cuori (2)

Sono comunque tutti “cuori” in cui si racconta la vita, e dove questa pulsa in tutto ciò che la circonda; cuori che permettono di contemplare ciò che vive al centro di una persona, nei quali traspare il mistero di un amore che deborda e permea il tessuto delle relazioni che lo circondano; motori palpitanti di possibilità insperate e capaci di dare slancio e qualità all’esistenza. Il Vangelo stesso è uno splendido scrigno in cui si custodiscono questi “cuori” feriti, spenti o ardenti. Cuori che comunque vibrano e che Dio ama incontrare, interpellare, riattivare, accompagnare per riaprirli alla forza della vita, sostenendoli con la promessa e la stessa passione di Dio per la vita. In Gesù, Dio stesso, si rivela come il “miseri-cordioso”, Colui il cui cuore batte nella vita del misero. Figura di questo incontro appassionante, capace di raccontare il permanere di una disponibilità di Dio alla vita e di riscaldare il cuore, è quello di Gesù con i due discepoli in cammino verso Emmaus (Lc 24,32).
Un incontro che ci presenta il volto di un “cuore spento” nel segno di un allontanamento (vv. 13-14), di un non riconoscimento (vv. 15-16), e di interrogativi che sembrano non avere risposta (vv. 17-19). In essi c’è un “cuore ferito” da un sogno infranto (vv. 19b-24), dalla perdita della memoria di una esperienza che aveva motivato la speranza (vv.25-27), dalla realtà di un vuoto che chiede vicinanza (vv. 28-29).

Storie di cuori (1)

Ci sono stagioni della vita che racchiudono, pur con tutta la loro contraddizione, le domande e le speranze che le persone portano nel loro “cuore”, il luogo più intimo in cui custodire, maturare e orientare le scelte della vita, anche quelle che poi si infrangono sulle rocce della prova o del fallimento.
Storie di cuori È la vita che, talora, si presenta in situazioni di sofferenza e di delusione, capaci di mettere in scacco anche la nostra comprensione di fede.
In questi tempi bui dell’esistenza emergono cuori feriti e scompensati dalla aritmia di condizioni che tolgono armonia alla vita: un affetto interrotto, una libertà negata, un dialogo mancato, un sogno infranto o anche una semplice occasione perduta. Un cuore ferito può diventare chiuso in se stesso, nella convinzione che forse quell’opportunità non tornerà più. Ci sono anche cuori spenti, smorzati dalla paura, o bloccati dal peso del dolore e dalla stanchezza di realtà insopportabili.
Cuori spenti, dove la vita sembra naufragata nella violenza dei giudizi, costretta a pagare il prezzo delle incomprensioni, o deturpata da drammi che, come macigni, si abbattono sui germogli della speranza. Cuori di donne e uomini inerti, perché privati del calore di un affetto o sfregiati dalla violenza dell’ingiustizia e della dignità negata. Ci sono inoltre cuori ardenti, palpitanti di intensa passione, desiderosi di relazioni pregnanti, capaci di sognare e che sanno coltivarsi ostinatamente nella speranza, guardando con fiducia al domani. Cuori all’interno dei quali è difficile trattenere le emozioni, traboccanti di gioia, di gratitudine e di fiducia, carichi del calore di un incontro vissuto con gioia e sempre più desiderosi di più intense e qualificate relazioni.

Il Rosario: stare sempre in preghiera (2)

Ottobre, il mese dedicato al S. Rosario, ci offre l’occasione di poter riscoprire la bellezza e ricchezza di una delle forme di preghiera più belle della tradizione cristiana. Questa ha nei fatti caratterizzato la devozione di una moltitudine di fedeli nel corso del tempo ed è da sempre stata valido strumento di sostegno della fede, nel suo essere mezzo semplice ed accessibile a tutti per mettere in contatto con i principali misteri della nostra salvezza, insieme a Colei che più di tutti li ha vissuti da vicino, la Vergine Maria.

Il Rosario: imparare da Maria come “stare in preghiera”
Il Rosario, proprio perché semplice, è accessibile a chiunque.
Nel soffermarci sugli episodi della vita di Cristo, per capire cosa Egli voglia darci attraverso questi, siamo aiutati dalla sua stessa Madre, che fin dal primo momento, nell’evento dell’Annunciazione, si fece attenta ed obbediente al Verbo, accogliendolo nel suo grembo.
Con l’aiuto di Maria, impariamo anche noi ad essere presenti a Cristo, ad avere «gli stessi sentimenti che furono di Cristo».
Facendo nostro il mistero contemplato, lasciamo che porti frutto nella nostra quotidianità, come avviene nella Vergine Maria, impariamo a conformarci Cristo, perché in ogni momento ci è dato di crescere con lui, e Maria, in «età, sapienza e grazia».
Questo è il bel clima di continua orazione che ci lascia questa stupenda preghiera, che si traduce nel desiderio di Cristo, nella gioia di essere suoi imitatori: «Siete beati se le mettete in pratica». Tale desiderio può sempre trovare appagamento ed essere nuovamente alimentato, proprio perché il Rosario è una preghiera a cui è possibile ricorrere in ogni momento della giornata, nei più diversi contesti ed anche in momenti di attività.
Ricorriamo dunque a Maria, con l’augurio che sempre più persone possano trovare beneficio da questa pia pratica.

Il Rosario: stare sempre in preghiera (1)

Ottobre, il mese dedicato al S. Rosario, ci offre l’occasione di poter riscoprire la bellezza e ricchezza di una delle forme di preghiera più belle della tradizione cristiana. Questa ha nei fatti caratterizzato la devozione di una moltitudine di fedeli nel corso del tempo ed è da sempre stata valido strumento di sostegno della fede, nel suo essere mezzo semplice ed accessibile a tutti per mettere in contatto con i principali misteri della nostra salvezza, insieme a Colei che più di tutti li ha vissuti da vicino, la Vergine Maria.
Il comando della preghiera
L’urgenza di affermare l’importanza del Rosario è tanto più necessaria oggi, in un tempo in cui sembra che la maggior parte degli uomini abbia smarrito il significato autentico della preghiera. Non possiamo dimenticare che essa è indispensabile al progresso nella vita spirituale, dunque a tutti noi che siamo chiamati alla santità.
Se infatti l’orazione, come ricorda san Giovanni Damasceno, è «elevazione della mente in Dio», essa vuole essere modo di entrare in comunione, in intimità con Colui a cui siamo ordinati come compimento della nostra felicità. Non dovrebbe sembrarci strano il comando del Signore di «stare sempre in preghiera, senza stancarsi. Certo, ciò può apparire difficile, soprattutto per coloro che, non essendo consacrati, sono impegnati nella vita attiva, nel lavoro, nella famiglia, nelle cose del mondo. Difficile, forse, ma non impossibile. Ed il Rosario è in questo una provvidenziale soluzione.

Santo del mese: Beato Carlo Gnocchi

Cappellano degli alpini
Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò ufficialmente nel secondo conflitto mondiale. Don Carlo si arruolò volontariamente come cappellano militare del Battaglione degli Alpini «Val Tagliamento», che partecipò alla campagna di Grecia. Dopo il congedo, riprese il suo impegno al Gonzaga, ma sentiva di dover andare dove ci fosse più bisogno di lui: scrisse quindi più volte al cardinale Schuster perché acconsentisse alla sua partenza per il fronte russo. Infine, nel mese di luglio 1942, poté partire per la campagna di Russia, come cappellano degli Alpini della Divisione Tridentina.
La prima idea di “un’opera di carità
La disastrosa ritirata del gennaio 1943, che vide la morte di numerosi soldati, lo colpì profondamente, spingendolo a riflettere sul significato e sul valore della sofferenza degli innocenti.
Maturò il lui il desiderio di provvedere all’assistenza degli orfani dei suoi alpini: così, tornato in patria, cominciò a cercarli personalmente.
Decorato con medaglia d’argento al valor militare, negli anni 1944-45 partecipò alla Resistenza. Incarcerato a San Vittore, fu liberato dieci giorni dopo per l’intervento del cardinale Schuster.
Nel 1945 lasciò l’incarico di direttore spirituale all’Istituto Gonzaga, prendendo quello di assistente ecclesiastico degli studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, restandovi tre anni.
Mentre l’arcivescovo pensava di destinarlo a una parrocchia, don Carlo andava concretizzando quello che, dal fronte russo, aveva scritto al cugino Mario Biassoni: «Sogno dopo la guerra di potermi dedicare per sempre ad un’opera di Carità, quale che sia, o meglio quale Dio me la vorrà indicare. Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i Suoi poveri.
Ecco la mia “carriera”».
Nascita della Fondazione Pro Juventute
Nell’aprile 1945 don Carlo venne nominato direttore dell’Istituto Grandi Invalidi di Arosio (in provincia di Como). L’8 dicembre dello stesso anno aveva appena terminato la celebrazione della Messa, quando il portinaio gli annunciò che gli era stato portato un bambino, Bruno Castoldi, il cui padre era morto in Russia. A lui si aggiunsero, nel corso della giornata, altri ventisette orfani. L’arrivo di un bambino di otto anni, Paolo Balducci, che aveva invece perso una gamba per lo scoppio di una bomba, lo orientò definitivamente verso l’accoglienza di quei piccoli sofferenti.
Per coordinare meglio l’attività dell’istituto di Arosio verso i cosiddetti mutilatini, don Carlo istituì la «Federazione Pro Infanzia Mutilata», che il 26 marzo 1949 fu ufficialmente riconosciuta con Decreto del Presidente della Repubblica. Nel 1951 l’istituzione cambiò denominazione in «Fondazione Pro Juventute» e, due anni dopo, riconosciuta come Ente Morale.
Don Carlo si fece propagandista itinerante in Italia e all’estero per le sue istituzioni, che ormai si erano ramificate, aumentando con ritmo veloce, in Lombardia e in altre regioni italiane.
Fu anche scrittore fecondo di spiritualità, educazione, pedagogia.

Cuori ardenti, piedi in cammino (2)

Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno Papa Francesco ha scelto un tema che prende spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus, nel Vangelo di Luca (24,13-35): «Cuori ardenti, piedi in cammino». Attraverso l’esperienza di questi due discepoli che, nell’incontro con Cristo risorto, si trasformano in attivi missionari, Papa Francesco richiama prima di tutto il valore della Parola di Dio per la vita dei battezzati: «La conoscenza della Scrittura è importante per la vita del cristiano, e ancora di più per l’annuncio di Cristo e del suo Vangelo» «Gesù infatti è la Parola vivente, che sola può far ardere, illuminare e trasformare il cuore». In un secondo passaggio del suo messaggio il papa ci sottolinea l’importanza dell’Eucarestia: «Occorre ricordare che un semplice spezzare il pane materiale con gli affamati nel nome di Cristo è già un atto cristiano missionario. Tanto più lo spezzare il Pane eucaristico che è Cristo stesso è l’azione missionaria per eccellenza, perché l’Eucaristia è fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa». Infine il Papa ci ricorda l’importanza del mantenere viva la missione con l’impegno di ciascuno e con la preghiera per le vocazioni missionarie: «L’immagine dei “piedi in cammino” ci ricorda ancora una volta la perenne validità della missio ad gentes, la missione data alla Chiesa dal Signore risorto di evangelizzare ogni persona e ogni popolo sino ai confini della terra».
Già il profeta Isaia, molti secoli prima di Cristo, così proclamava: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» e oggi Papa Francesco, profeta del nostro tempo, così scrive nel suo messaggio per la Giornata missionaria mondiale: “L’andare in fretta, per condividere con gli altri la gioia dell’incontro con il Signore, manifesta che «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento.
Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia». Non si può incontrare davvero Gesù risorto senza essere infiammati dal desiderio di dirlo a tutti. Perciò, la prima e principale risorsa della missione sono coloro che hanno riconosciuto Cristo risorto, nelle Scritture e nell’Eucaristia, e che portano nel cuore il suo fuoco e nello sguardo la sua luce. Costoro possono testimoniare la vita che non muore mai, anche nelle situazioni più difficili e nei momenti più bui.”

Cuori ardenti, piedi in cammino (1)

Iniziamo il mese di Ottobre e ancora una volta vogliamo viverlo tenendo presente la sua dimensione missionaria per continuare a sensibilizzare la nostra comunità cristiana a partecipare e farsi carico della missione universale della Chiesa. Come educare la nostra comunità a questa apertura missionaria universale?
Creando tra tutti noi uno spirito di fraternità universale nella preghiera e nella solidarietà.
Il mese missionario trova il suo apice nella celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale che ricorre nella penultima domenica del mese, ossia il 22 ottobre prossimo. In quella giornata la nostra comunità cristiana si unisce spiritualmente a tutti i missionari inviati nel mondo ad annunciare il Vangelo fino agli estremi confini e, attraverso la raccolta di offerte a favore delle Pontificie Opere Missionarie, durante le Messe Festive e la Bancarella delle Torte, contribuisce al sostegno di tutti i missionari sparsi nel mondo e di tutte le comunità più povere di mezzi, quelle che vivono in situazioni di assoluta minoranza e quelle che soffrono controversie e persecuzioni.

Ottobre: mese del Rosario

Ottobre è comunemente chiamato il Mese del Rosario perché il giorno 7 viene celebrata la memoria della Beata Maria Vergine del Rosario.  
Il rosario resta oggi, come ieri, come sempre e fin dalle sue origini, la preghiera mariana della fede, con una sua caratteristica sintesi della fede, incentrata nel mistero della salvezza.
La caratteristica del Rosario non sta tanto nell’essere una preghiera a Maria costituita in quel determinato modo quanto nell’essere una preghiera con Maria. Se la grande dignità della preghiera liturgica sta nella sua unione con Cristo e la Chiesa, l’umile dignità del Rosario sta nella sua unione con Maria.
La preghiera dell’Ave Maria non è altro che la ripetizione dell’evento fondamentale del mistero cristiano: Dio diventa uomo nel grembo della vergine, perché l’uomo diventi il figlio di Dio.
Il mistero dell’amore di Dio si svela al mondo in quell’evento che viene mirabilmente compendiato nella preghiera dell’ Ave Maria.
Maria, che è anche la chiave di accesso al mistero di Dio, nella preghiera del Rosario apre le porte della contemplazione a chiunque voglia entrare per fare esperienza di Dio.
Perché, come accade in Galilea la Vergine aveva chiesto il miracolo e Gesù lo aveva fatto, così ancor oggi questa attenta Madre si prende cura di noi se la invitiamo a partecipare alle vicende della nostra vita. Lei intercederà affinché Gesù, come a Cana, non “sostituisca” la nostra vita -come tante volte noi vorremmo per sfuggire dalla nostra realtà – ma la trasforma per poterci realizzare in pienezza.
Il rosario della vergine è un efficace strumento di preghiera di contemplazione che ci potrà aiutare a riscoprire questa presenza di Dio nel nostro quotidiano e rivivere la vita del Cristo sull’esempio di Maria che conservava viva nel suo cuore la memoria delle cose di Dio.
È nota l’affermazione del cardinal Newman: “il rosario è il credo che diventa preghiera”.
È un’intuizione, che sa cogliere il senso più autentico, più originale e originario di questa devozione.

Santo del mese: Beato Carlo Gnocchi

In questo anno pastorale sulla santità ogni mese metteremo in evidenza una figura di santo, a noi particolarmente vicino (del nostro territorio).
Conosceremo meglio la sua vita e alcuni suoi pensieri.
L’infanzia
Carlo Gnocchi nacque a San Colombano al Lambro, in provincia di Milano ma molto vicino a Lodi, il 25 ottobre 1902. Il padre, Enrico, era un marmista, mentre la madre, Clementina Pasta, lavorava come sarta e si occupava della casa. Fu battezzato cinque giorni dopo la nascita coi nomi di Carlo Fortunato Domenico nella chiesa parrocchiale del suo paese.
Alla morte del padre, ammalato di silicosi per via del suo lavoro, Carlo si trasferì con la famiglia a Milano, dove ricevette il sacramento della Cresima presso la parrocchia di Sant’Eufemia il 19 maggio 1910.
Nell’anno scolastico 1914-1915 fu allievo dei Salesiani.
La vocazione al sacerdozio e la formazione
Avvertita la vocazione al sacerdozio, nel 1915, anno in cui perse il fratello Andrea (un altro fratello, Mario, era invece morto nel 1909) entrò nel Seminario della diocesi di Milano, nella sede di Seveso.
Tre anni dopo passò alla sede di Monza per frequentare il liceo, ma per ottenere il diploma di maturità
dovette sostenere l’esame nel liceo statale Berchet di Milano.
Nel 1921, quindi, passò al Seminario maggiore nella sede di corso Venezia a Milano.
Venne ordinato sacerdote il 6 giugno 1925 dall’arcivescovo di Milano, il cardinal Eugenio Tosi.
Celebrò la Prima Messa lo stesso giorno a Montesiro di Besana Brianza, il paese dove trascorreva le vacanze ospite di una zia e dove la madre si era trasferita quando lui era entrato in Seminario.
I primi incarichi
Il primo incarico di don Carlo fu quello di vicario parrocchiale incaricato dell’oratorio (o coadiutore) della parrocchia di Santa Maria Assunta a Cernusco sul Naviglio, ma già l’anno successivo ebbe una nuova destinazione: San Pietro in Sala, a Milano. Nel 1928 don Carlo fu nominato dal cardinal Tosi cappellano dell’Opera Nazionale Balilla. Il successore, il cardinal Alfredo Ildefonso Schuster (Beato dal 1994), gli diede cinque anni dopo l’incarico di assistente spirituale del GUF (Gruppo Universitari Fascisti) di Milano.
Fu sempre il cardinal Schuster a chiamarlo ad assumere il ruolo di direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga di Milano, diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane. Lì ebbe l’opportunità di conoscere meglio l’uomo inquadrato nella società, i giovani, ma anche le loro famiglie e l’ambiente, affinando così la sua passione
e la sua sensibilità come educatore.