Dopo dieci anni di ministero a Regona, l’obbedienza lo chiama a Vicobellignano, dove rimane per 34 anni.
A Vicobellignano è necessario un parroco preparato e zelante, che possa arginare una situazione pastoralmente difficile. Inoltre la presenza di una comunità protestante rende la situazione ancora più delicata; è segno di una frattura all’interno della comunità cristiana e di una situazione complessa a livello diocesano ed ecclesiale.
Anche qui, don Vincenzo cerca di rispondere attraverso la fedeltà al suo ministero. Dove non arriva l’azione, si affida alla invisibile potenza della preghiera.
Prega a lungo per il suo popolo, offre le sofferenze, i distacchi, le delusioni, ben fermo nella sua idea di sacerdote: Il prete non può sacrificare un’ostia estranea, se non è disposto egli stesso a sacrificarsi con tale vittima. Il suo è un sacrificio totale, ma non accigliato. Con gioia serve il suo Signore nel prossimo. Attivo e creativo nell’obbedienza, consapevole della diffusa ignoranza religiosa, della necessità di contrastare ideologie ingannevoli contrarie alla fede, Don Vincenzo si dedica con assiduità alla predicazione anche al di fuori della propria parrocchia. Viene chiamato in varie località del cremonese e del lodigiano. È convinto che occorre fare al prossimo la carità di conoscere e vivere la propria dignità di figli di Dio. Nell’ordinarietà straordinariamente ed intensamente vissuta del suo ministero pastorale, Don Vincenzo va gradualmente seguendo una intuizione, che lo porterà a gettare le basi dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio.
Fin dagli anni di Regona, Don Vincenzo ha avuto modo di incontrare giovani donne desiderose di donarsi interamente a Dio e di mettersi al suo servizio. Impressionato dalla miseria morale e materiale della gioventù femminile del suo tempo, Don Vincenzo forma piccole comunità di consacrate, per fare fra le giovani “il maggior bene possibile”, e in questo modo collaborare con i parroci nella loro cura pastorale. Due condizioni sono indispensabili: la povertà e lo spirito di adattamento, per poter essere presenti soprattutto dove l’opera delle suore è resa più difficile.
Nascono le Figlie dell’Oratorio. Il loro aspetto non le distacca molto dalle donne del tempo, lo stile è semplice e gioviale; hanno come luogo di preghiera la chiesa parrocchiale e svolgono alcune semplici opere educative per formare le bambine e le ragazze, soprattutto le più bisognose.
Don Vincenzo segue attivamente e con discrezione quella che lui definisce “un’opera di Dio”; sempre rifiuta il titolo di Fondatore, poiché afferma con decisione: “Fondatore è il Signore”.
Pian piano vede svilupparsi, al di là delle aspettative e dei progetti iniziali, il seme dello Spirito che lui ha custodito e che ha permesso germogliasse.
Al momento della morte, avvenuta il 7 novembre 1917, esprime attraverso le sue ultime parole l’affidamento di sé e della sua opera al Signore: “La via è aperta: bisogna andare…”.
Queste parole sono diventate il motto dell’Istituto Figlie dell’Oratorio, che, nel variare delle situazioni e dei tempi, cerca di essere fedelmente creativo alla ispirazione originaria del proprio fondatore. Don Vincenzo Grossi è stato beatificato il 1° novembre 1975 dal Beato Paolo VI.
Il 5 maggio 2015 è stato emesso il decreto per il riconoscimento della guarigione miracolosa di una bimba di pochi mesi, affetta da grave patologia ematica.
Il 18 ottobre dello stesso anno, Papa Francesco ha inserito Vincenzo Grossi nell’albo dei Santi. Nell’omelia della Messa di canonizzazione si è espresso così: “San Vincenzo Grossi fu parroco zelante, sempre attento ai bisogni della sua gente, specialmente alle fragilità dei giovani.
Per tutti spezzò con ardore il pane della Parola e divenne buon samaritano per i più bisognosi”.
La memoria liturgica di San Vincenzo Grossi è il 7 novembre