L’impazienza non è evangelica (1)

“Tutto e subito”: questa era la sintesi di una ricerca sui giovani fatta dal Censis qualche decennio fa. È difficile sapere se quella generazione diventata adulta abbia compreso che vivere all’insegna del “tutto e subito” ha significato limitarsi all’immediato e rinchiudersi nel presente. Di certo l’ultima generazione è ancor più sensibile alla gratificazione immediata. La cosiddetta generazione Z, la prima che ha l’accesso a internet fin dall’infanzia, è poco propensa ad avere aspettative che impegnano ed esigono tempo per essere esaudite. Si corre il rischio di lasciare indietro una generazione esausta, spenta e sfiduciata: di fronte al futuro prevalgono l’incertezza, l’ansia, la paura. È quanto emerge dal recente Rapporto realizzato dal Censis per il Consiglio nazionale dei giovani e l’Agenzia nazionale per i giovani dal titolo: Generazione post pandemia: bisogni e aspettative dei giovani italiani nel post Covid. Occorre riflettere su una concreta promessa di futuro per arginare l’onda d’urto della crisi pandemica, economica e delle attuali sfide su un’intera generazione, che oltre ad essere la più povera è anche la più sola.

Via Vai: inizia il Grest 2024 (2)

Si potrebbe parlare di una cristologia in cammino, cioè descrivere Gesù a partire dal suo essere in cammino. Gesù stesso dice di sé che “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Impressiona effettivamente, leggendo i Vangeli, l’itineranza di Gesù durante gli anni della vita pubblica; a differenza del Battista, che esercita la sua missione in un luogo stabile e preciso, il Messia sceglie un’esistenza nomade molto simile a quella dei viandanti. Gesù sceglie di vivere solo provvisoriamente, brevemente, in un posto, spostandosi da un luogo a un altro; camminare è il suo modo di entrare in contatto con la gente. Gesù incontra la gente nei suoi luoghi. Per questo Gesù è continuamente sulla strada e lo si incontra in cammino. Da tale punto di vista, il rifiuto Gesù di una sede stabile può essere definito come un continuo mettere in discussione le relazioni e i fondamenti dell’esistere. Ciò che incide a fondo sulla storia di Gesù è l’incertezza. Per visitare i villaggi, egli esce dalla sua stabile situazione originaria e subisce uno spaesamento. Tutta la vita di Gesù è stata un cammino, certamente negli ultimi anni in particolare, gli ultimi tre anni, quelli della vita pubblica, egli annuncia la Buona Novella, incontra la gente e compie miracoli per strada. Si dice in Matteo che Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle sinagoghe e predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattia e l’infermità nel popolo. Potremmo dire dunque, che l’identità di Gesù è profondamente radicata nel cammino, è fortemente segnata dall’andare sempre oltre. Il cammino non rappresenta perciò per Gesù una scelta funzionale, ma è liberativo di uno stile e di un atteggiamento interiore. L’orizzonte itinerante si trasforma così da cammino spaziale a percorso esistenziale nella vita di Gesù e l’assenza di una dimora stabile esprime l’identità dinamica di Gesù, andare oltre per farsi continuamente prossimo all’altro, vicino ad ogni uomo.
La viandanza allora in Gesù è il segno della prossimità e più ancora incarna il continuo movimento in uscita dell’esistenza di Gesù. Anche nei confronti degli apostoli, Gesù raccomanda fortemente la prospettiva della condizione itinerante, quasi come condizione necessaria all’annuncio: strada facendo, predicate dicendo, il Regno dei cieli è vicino.
Soprattutto, però, nel racconto evangelico di Luca il tema del viaggio riveste un ruolo decisivo all’interno dell’intera narrazione, oltre ai viaggi dell’infanzia e al cammino della vita pubblica, l’evangelista attesta il grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme e si distende in ben 10 capitoli. Questo viaggio svela, secondo l’evangelista Luca, il vero significato della vita pubblica di Gesù. Gesù percorre la via della passione che gli è stata assegnata, la percorre coscientemente.
Gli insegnamenti che dispensa percorrendo questa via. Sono insegnamenti dispensati alla luce della morte e della resurrezione. Molte volte Gesù stesso si definisce come colui che viene, ma solo nel grande, decisivo passaggio della morte egli svela definitivamente la sua identità di pellegrino.
Non solo Gesù, dunque è sempre in cammino secondo i Vangeli, ma è anche un tutt’uno con il suo stesso camminare, a tal punto da affermare solennemente io sono la via, la verità e la vita.
Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Lui. L’accento principale cade su io sono la via.
I termini verità e vita chiariscono il senso in cui Gesù può essere la via. Egli è la via al Padre perché rivela la verità che conduce alla vita. Io sono la via, perché sono la verità e anche la verità.
In sintesi, si può concludere che lo stile di camminare a passo d’uomo è peculiare del Dio dei cristiani, perché la storia di Gesù di Nazareth racconta la scelta dell’assoluto, dell’infinitamente veloce di rivelare se stesso proprio camminando. Non si può quindi non riconoscere che c’è sicuramente qualcosa di miracoloso in questo ritmo del tempo di Gesù e della sua liberazione.
Una rivelazione che si fa quasi tutta per strada, a passo d’uomo, non di corsa, non da fermo.

Via Vai: inizia il Grest 2024 (1)

Parte il Grest. L’oratorio si anima particolarmente di persone, di ragazzi, adolescenti, in particolar modo per tre settimane, dal primo mattino al tardi pomeriggio. La proposta educativa per questo anno sarà legata alla figura della strada: la metafora del cammino costituisce da sempre uno dei paradigmi più utilizzati per narrare l’esistenza umana. La sua fortuna deriva da una carica evocativa che è immediata ed è molto semplice e intrinseca che si manifesta nella sua capacità di rendere plasticamente la dinamicità della vita. Persino nei nostri modi di dire questo è evidente: al momento della nascita affermiamo che il cammino è appena iniziato, tanto quanto al momento della morte diciamo che la strada è giunta al termine. Tra l’una e l’altra, potremmo dire che nella vita ci si fa strada. Il camminare incarna la nostra educazione, ne sottolinea fatiche e tappe, metodologie e stili e definisce la nostra esperienza esistenziale.
La vita dell’uomo è sempre, in qualche modo, cammino e viaggio attraverso la realtà.
Ricordiamo la grande intuizione di Gabriel Marcel, grande filosofo, che parla di Homo viator, per dire appunto che l’uomo è colui che cammina.
E quindi questo mistero dell’uomo racchiude sempre la tensione verso una meta, un oltre, qualcosa al di fuori di sé che muove la sua intelligenza, i suoi affetti e la sua volontà, rendendolo costantemente proteso ad una pienezza di vita che è sempre un po’ oltre.
Anche Martin Buber, in uno dei suoi scritti più riusciti ed efficaci, richiama la necessità di ogni uomo di andare oltre sé, non nel senso di dimenticare la propria singolarità, ma, al contrario, per raggiungere attivamente la propria unicità. Allora citando Buber, l’universalità di Dio consiste nella molteplicità infinita dei cammini che conducono a lui, ciascuno dei quali è riservato ad un uomo. Se si pensa poi al vivere degli uomini, l’essere umano è caratterizzato dal migrare. Vi è una forma di migrazione, di esodo, soprattutto interiore, che si realizza dall’uscire da sé stessi per incontrare l’altro e la realtà. L’uomo è per sua natura un essere estroverso, eccentrico, proteso verso l’altro, in cammino verso l’oltre e mi pare che questo riprenda bene la logica dell’esodo come paradigma per rileggere l’esistenza umana. L’esodo non solo è uno dei luoghi biblici più interessanti del cammino, pensando all’esperienza del cammino del popolo del deserto, ma è anche una dinamica antropologica molto interessante. La dinamica dell’uscire costituisce tutto l’essere umano.
Provate a pensare un bambino per nascere, esce dal ventre della madre, poi comincia ad uscire da sé stesso quando comincia a vedere, a parlare, a camminare, ad andare verso l’altro.
Poi c’è il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza, quando il rapporto fondamentale del bambino non è più semplicemente con la madre, con i genitori, ma diventa con i pari età e quindi esce dalla famiglia. E poi c’è un uscire da se stessi che è l’innamoramento. E poi c’è il momento dell’uscire di casa, il matrimonio e poi c’è un’uscita da se stessi incredibile che è quando uno ha il primo figlio quando si comprende che la vita non ci appartiene più del tutto e poi c’è l’uscire da questo mondo al Padre. Quindi tutta la vita dell’uomo è un cammino, ma anche nella dinamica dell’esodo. Per dire come brevemente, come davvero, la cifra del cammino dice molto bene l’esistenza umana.
Mi soffermo anche sul fatto che il cammino e il pellegrinaggio possono essere la chiave privilegiata, per comprendere l’identità di Gesù, ovvero dell’uomo-Dio.

Ben tornato tra noi don Marcelo

Da quest’oggi, martedì 11 giugno, per le tre settimane di Giugno, sarà in mezzo a noi don Marcelo. Un ritorno molto gradito. Darà un validissimo aiuto durante il grest. Presente, in mezzo ai ragazzi, tutti i giorni, dalla mattina al tardi pomeriggio.
Sarà presente anche nelle celebrazioni Eucaristiche.
Se qualcuno volesse approfittarne di questa circostanza, cioè della sua presenza, per invitarlo a casa propria, all’ingresso della Chiesa, sul tavolino potrete trovare un foglio con uno schema che riporta possibili date in cui poterlo accogliere e offrirgli una cena o un pranzo, in ottima compagnia.
Grazie per la vostra disponibilità e sensibilità.

Cuore Immacolato di Maria

Per farci fare la memoria liturgica del Cuore Immacolato di Maria, il Vangelo ci racconta la storia dello smarrimento di Gesù.
Innanzitutto dovremmo subito precisare che Gesù se lo sono perso Maria e Giuseppe, e il Vangelo non censura questo episodio forse perché vuole rassicurare ciascuno di noi sulla possibilità molto concreta di dare per scontato che Gesù sia nella carovana della nostra vita, quando invece non c’è. Ma ciò che conta non è perderlo di vista, ma mettersi a cercarlo quando si è compreso che non è più “in mezzo” al viaggio.
Gesù aveva scelto volutamente di trattenersi a Gerusalemme, e lo aveva fatto non per perdersi ma forse per quella curiosità tutta adolescenziale di provare ad andare al fondo di alcune questioni che gli stavano a cuore. L’effetto è prevedibile: il panico, l’angoscia e l’ansia di Giuseppe e di Maria Quando lo ritrovano a discutere fra i dottori del tempio la scena è così descritta: “Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»”. Non si può chiedere al Cuore di una Madre di non soffrire. Non si può chiedere al Cuore di una Madre di non mettersi sulle tracce del figlio. Non si può chiedere al cuore di una Madre di non sentirsi profondamente legata al destino del figlio. 
Maria è così ed ha un Cuore così, ha un Cuore di Madre. Ma la buona notizia è che questo Suo Cuore di Madre non è solo per Cristo ma per ciascuno di noi perché per vocazione Ella è Madre anche nostra. Noi siamo amati da una Madre che non si arrenderà finché non ci avrà ritrovati, finché non ci avrà riportati al sicuro. Ma siamo anche discepoli di un maestro che ci chiede di non perderlo di vista semplicemente perché dobbiamo andare noi dietro a Lui e non Lui dietro a noi. Gesù lo si perde spesso quando lo si sorpassa, quando si crede di conoscere già la strada che vuole fare. Ma la verità è che non sappiamo molto della strada se non seguendoLo.

Il culto verso il Cuore purissimo di Maria rimase per lunghi secoli nell’ambito della pietà privata fino a quando San Giovanni Eudes, verso la metà del XVII secolo, iniziò a celebrare la festa liturgica del Cuore Immacolato all’interno della sua Congregazione. Di questa devozione egli ci dice: «Nel Cuore santissimo della prediletta Madre di Dio, noi intendiamo e desideriamo soprattutto venerare e onorare la facoltà e capacità naturale e soprannaturale di amare che la Madre dell’amore tutta impegnò nell’amare Dio e il prossimo». L’approvazione dei testi liturgici per la festa del Cuore Immacolato risale al 1668; tuttavia, per oltre due secoli la sua celebrazione rimase limitata ad alcune realtà locali, che la festeggiavano in date diverse le une dalle altre. Si dovette attendere un intervento soprannaturale affinché la devozione al Cuore Immacolato ricevesse il dovuto rilievo. La Madonna, apparendo a Fatima il 13 giugno 1917, aveva infatti detto a Lucia: «Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere e amare. Egli vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato» e nella stessa apparizione aveva mostrato ai tre pastorelli il suo Cuore coronato di spine. Papa Pio XII nel 1942 consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria e nel 1944 estese la festa del Cuore Immacolato a tutta la Chiesa, fissandola per il 22 agosto. Con la riforma del calendario liturgico avvenuta negli anni ‘60, è stato messo in rilievo il legame tra questa ricorrenza e quella del Sacro Cuore, pertanto la data della sua celebrazione è divenuta mobile e oggigiorno cade il sabato dopo il Corpus Domini.

Sacratissimo Cuore di Gesù

Spiritualmente, la devozione al Cuore di Gesù può essere compresa soprattutto a partire dal concetto dell’amore. Come Gesù in tutta la sua vita realizza l’amore di Dio, suo Padre, così anche gli uomini sono chiamati a inserirsi con tutta la loro vita e azione in questo amore di Dio.
È proprio nella morte in croce che questo amore verso il Padre si rivela nel massimo grado: il cuore trafitto dalla lancia indica la sua sofferenza mortale e lo presenta come uno sconfitto, ma l’ora della croce è tuttavia anche l’ora della sua esaltazione e il momento in cui l’amore del Padre verso il proprio Figlio si rivela in maniera particolare. Perciò, il cuore trafitto può essere considerato un simbolo dell’amore di Dio.
In seguito alla visione di santa Margherita Maria, il Cuore di Gesù viene raffigurato iconograficamente soprattutto come un cuore fiammeggiante, sormontato da una croce, circondato da una corona di spine e soprattutto con la ferita del costato aperta. Così è interpretato soprattutto in base alla mistica della passione, costituendo un aspetto essenziale della devozione al Cuore di Gesù.
In un tempo in cui questa devozione non è più così sentita come nei secoli passati, è opportuno riflettere sull’attualità di questa festa. È chiaro che oggi è necessario trovare un nuovo approccio ad essa. La via mistica che ha caratterizzato questa festa, oggi per molti non è più accessibile.
La festa del Sacro Cuore ci invita a riflettere sull’amore concreto a partire dalla vita di Gesù.
Nella sua vita e nelle sue opere è apparso tra noi l’amore di Dio, Gesù ha incontrato gli uomini nell’amore e si è preso cura di loro. Questo esempio ci stimola a riflettere sul nostro comportamento verso il prossimo. La nostra vita è compenetrata di amore? Siamo capaci di incontrare l’altro con amore oppure i pregiudizi e i risentimenti ce lo impediscono?
Nella festa del Cuore di Gesù dobbiamo portare anche i nostri fallimenti di amore verso Dio, affidare a lui le situazioni in cui il nostro amore è rimasto carente.
Nella festa del Cuore di Gesù Dio ci ha mostrato nel suo Figlio Gesù che noi creature umane non siamo estranee a lui, siamo importanti per lui, gli stiamo a cuore!

La rivoluzione illuminista ci ha tutti convinti che la parte più interessante dell’uomo è il suo cervello, la sua ragione. La verità però è un’altra. Infatti, la parte più decisiva di ogni uomo è il suo cuore, perché in esso anche la ragione trova il suo spazio e non è lasciata sola. La festa del Sacro Cuore ci ricorda che anche Gesù ha un cuore. Anzi, essenzialmente, il suo Cuore è ciò che di più sacro noi continuiamo ad avere di Lui, perché l’Eucaristia altro non è che la versione sacramentale del suo amore, del suo cuore appunto. E questo con buona pace di tutti quelli che pensano che il cuore sia semplicemente una maniera simbolica di parlare di sentimenti ed emozioni. Il cuore è il luogo delle decisioni, non solo il luogo del “sentire”. La prima cosa che troviamo nel cuore di Cristo è la gratitudine, la capacità di bene-dire, di rendere grazie. Troppo spesso invece nei nostri cuori alberga il contrario: risentimento, lamentela, maledizione. Non siamo esercitati a riconoscere e dire il bene della vita, sappiamo solo elencare il male. Ma anche a coloro che vivono schiacciati dal peso della vita, Gesù offre uno spazio nel suo cuore.
L’Eucaristia è la possibilità che Gesù ci dà di portare la vita insieme con Lui.
Solo così essa si alleggerisce e torna ad essere pienamente umana.

Giovedì Eucaristico

L’adorazione eucaristica al di fuori della Messa prolunga il memoriale invitandomi a stare presso il Signore presente nel santo Sacramento: «Il Maestro è qui e ti chiama».
Con l’adorazione eucaristica, riconoscono la presenza reale del Signore e mi uniscono al suo atto di offerta al Padre. La mia adorazione partecipa alla sua, in qualche modo, poiché è per lui, con lui ed in lui che domando: Signore da chi andremo? Il Cristo che annuncia alla Samaritana che il Padre cerca adoratori in spirito e verità, non è lui stesso il primo adoratore e il capofila di tutti gli adoratori e le adoratrici? Trattenendomi presso Cristo Signore, godo della sua intima familiarità e dinanzi a lui apro il mio cuore per me stesso e per tutti i miei cari e prego per la pace e la salvezza del mondo. Offrendo tutta la mia vita con Cristo al Padre nello Spirito Santo, attingo da questo mirabile scambio un aumento di fede, di speranza e di carità. È bello intrattenermi con Lui e, chinato sul suo petto come il discepolo prediletto, essere toccato dall’amore infinito del suo cuore. Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro tempo, soprattutto per l’“arte della preghiera”, come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento? Questa «arte della preghiera» che Giovanni Paolo II associa all’adorazione eucaristica conosce un ritorno di fervore nel nostro tempo e un po’ dappertutto nella Chiesa; essa rende più visibile la sua testimonianza dell’amore di Dio e la sua intercessione per i bisogni del mondo.
La pratica dell’adorazione rafforza in effetti, presso i fedeli, il senso sacro della celebrazione eucaristica che, in certi ambienti, ha conosciuto purtroppo un affievolimento. Perché riconoscere esplicitamente la presenza divina nelle sacre specie, al di fuori della Messa, contribuisce a coltivare la partecipazione attiva ed interiore alla celebrazione e ci aiuta a vedervi qualcosa di più che un rito sociale.
Contemplare il Cristo in stato di offerta e di immolazione nel santo sacramento, insegna a donarmi senza limiti, attivamente e passivamente; ad offrirmi fino a donarmi come il pane eucaristico che passa di mano in mano per la santa comunione.
Colui che è adorato e visitato nel tabernacolo non insegna a perseverare nell’amore, nel ritmo della vita quotidiana, accettando ogni avvenimento e circostanza senza nulla escludere, salvo il peccato, e cercando di produrre il maggior frutto possibile? La vera adorazione è il dono di sè nell’amore, è l’«estasi dell’amore» nel tempo presente, per la gloria di Dio e il servizio del prossimo. È così che si prolunga nel cuore della comunità e dei fedeli l’adorazione del Cristo e della Chiesa, attualizzata sacramentalmente nella celebrazione dell’Eucaristia.

Al termine delle Giornate Eucaristiche e del Corpus Domini

A conclusione delle Giornate Eucaristiche rendo grazie al Signore. Innanzitutto per il dono di se stesso nel Pane della vita: è il regalo più bello che Gesù ci ha fatto, è il tesoro così prezioso per cui si è disposti a rinunciare a tutto pur di poter celebrare, mangiare, incontrare, adorare questa presenza reale di Cristo.
Sono state giornate intense, ma grazie di cuore a tutti coloro che hanno partecipato ai vari momenti di preghiera comunitaria. Grazie a chi ha trovato il tempo, la volontà e il desiderio di “Rimanere in Lui” nella preghiera di adorazione personale.
Sapete quanto ci tengo che la nostra comunità parrocchiale sia sempre di più Eucaristica.
Vivere l’Eucaristia significa dire a Gesù: Ti voglio bene. È importante che le persone che amiamo si sentano dire “Ti voglio bene”. Lo possiamo fare anche con il Signore: ogni volta che partecipiamo alla Celebrazione dell’Eucaristia; ogni volta che ci troviamo insieme a pregare; ogni adorazione personale e comunitaria, è dire a Gesù: “Ti voglio bene”. Lo abbiamo fatto in modo intenso in queste giornate Eucaristiche. Continuiamo a farlo personalmente e insieme nella nostra comunità parrocchiale.
Grazie anche a tutti coloro che hanno animato i vari momenti celebrativi: con il canto, con il servizio liturgico. A coloro che hanno preparato in maniera decorosa la nostra Chiesa.
Grazie anche a coloro che hanno preso parte alla Processione Eucaristica e a chi vi ha svolto un ruolo di animazione, di organizzazione e di sicurezza.

Ss. Corpo e Sangue di Cristo

Che cos’è l’eucaristia? Forse a questa domanda risponde la Solennità del Corpus Domini.
L’eucarestia è la presenza reale di Cristo, la sua compagnia.
Nel segno del pane Egli intercetta tutte le fami che ci portiamo nel cuore. Un cristiano non eucaristico, cioè un cristiano staccato dell’eucaristia, è un cristiano che si deve tenere questa fame. Un cristiano che guarda Dio da lontano, cioè non lo fa entrare concretamente dentro la propria vita, praticamente significa: se noi non prendiamo la comunione o non abbiamo un atteggiamento profondo nei confronti dell’eucaristia, possiamo al massimo interpretare la nostra fame ma non saziarla. Dio non è uno che interpreta i nostri bisogni è uno che li sazia. Li sazia un po’ alla volta, li sazia in una maniera molto più misteriosa di quella che noi ci immaginiamo, ma in una maniera molto più profonda.
L’eucaristia è un Dio che prende sul serio la fame nostra, la fame di vita, di amore, di senso.
È un Dio che non soltanto guarda o sta a guardare questa fame ma provvede a questa fame e lo fa innanzitutto inchiodando i discepoli cioè noi cristiani a non scappare davanti alla fame della gente perché è attraverso le nostre mani, attraverso la disponibilità delle nostre mani, che quella fame poi viene saziata. Date voi stessi da mangiare.
Non è Gesù a distribuire quel pane, lascia che siano i discepoli. Lui si limita a prendere quel poco che hanno nelle tasche i discepoli, quei cinque pani e due pesci, e li divide, lo fa bastare per tutti.
Il miracolo dell’eucaristia innanzitutto un Dio che prende sul serio questa fame.
Poi prende la nostra povertà la moltiplica e la fa diventare cibo per una folla affamata.
Un cristiano povero di questo cibo, rende povera non solo la sua esistenza ma l’esistenza di tante persone, di una moltitudine che attende una comunità cristiana eucaristica.
Gesù vuole educare i propri discepoli, vuole dire che davanti ai bisogni della gente non bisogna scappare. La gente non bisogna intrattenerla soltanto in maniera amichevole come se stiamo seduti attorno a un tavolino a prendere un tè.
La gente va presa sul serio proprio per la propria fame che è una fame molto più profonda.
Non è semplicemente la fame di pane: è la fame di senso, di amore e di vita.

Per questo il nostro cristianesimo è un cristianesimo eucaristico cioè un cristianesimo che prende sul serio la fame di senso di verità e di amore.
È un cristianesimo a cui Dio ha risposto e a cui ogni cristiano, formato alla scuola eucaristica e sfamato di questo pane, deve prestare le mani perché questo miracolo della moltiplicazione e del saziare la folla possa ripetersi. C’è bisogno del nostro sì, c’è bisogno che ci siano ancora persone disposte a distribuire questi pani e questi pesci.
Dio è uno che agisce sempre attraverso l’umanità di qualcuno ma se non c’è l’umanità di qualcuno questo grande dono e questa grande grazia rimangono sprecati.
È questa la fame che Gesù prende sul serio.

Torna l’iniziativa: Spezziamo il Pane

Puntuale da 22 anni senza mai una sosta – per la solennità del Corpus Domini che quest’anno si celebra il 2 giugno, in concomitanza alla Festa della Repubblica.
Per le parrocchie è possibile prenotare il pane da distribuire alle comunità durante le messe domenicali preparato nella notte ai forni da giovani e adolescenti della Diocesi. Le donazioni raccolte quest’anno verranno indirizzare a Casa Regina Pacis, inaugurata lo scorso 8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, alla presenza del Vescovo.