Parte il Grest. L’oratorio si anima particolarmente di persone, di ragazzi, adolescenti, in particolar modo per tre settimane, dal primo mattino al tardi pomeriggio. La proposta educativa per questo anno sarà legata alla figura della strada: la metafora del cammino costituisce da sempre uno dei paradigmi più utilizzati per narrare l’esistenza umana. La sua fortuna deriva da una carica evocativa che è immediata ed è molto semplice e intrinseca che si manifesta nella sua capacità di rendere plasticamente la dinamicità della vita. Persino nei nostri modi di dire questo è evidente: al momento della nascita affermiamo che il cammino è appena iniziato, tanto quanto al momento della morte diciamo che la strada è giunta al termine. Tra l’una e l’altra, potremmo dire che nella vita ci si fa strada. Il camminare incarna la nostra educazione, ne sottolinea fatiche e tappe, metodologie e stili e definisce la nostra esperienza esistenziale.
La vita dell’uomo è sempre, in qualche modo, cammino e viaggio attraverso la realtà.
Ricordiamo la grande intuizione di Gabriel Marcel, grande filosofo, che parla di Homo viator, per dire appunto che l’uomo è colui che cammina.
E quindi questo mistero dell’uomo racchiude sempre la tensione verso una meta, un oltre, qualcosa al di fuori di sé che muove la sua intelligenza, i suoi affetti e la sua volontà, rendendolo costantemente proteso ad una pienezza di vita che è sempre un po’ oltre.
Anche Martin Buber, in uno dei suoi scritti più riusciti ed efficaci, richiama la necessità di ogni uomo di andare oltre sé, non nel senso di dimenticare la propria singolarità, ma, al contrario, per raggiungere attivamente la propria unicità. Allora citando Buber, l’universalità di Dio consiste nella molteplicità infinita dei cammini che conducono a lui, ciascuno dei quali è riservato ad un uomo. Se si pensa poi al vivere degli uomini, l’essere umano è caratterizzato dal migrare. Vi è una forma di migrazione, di esodo, soprattutto interiore, che si realizza dall’uscire da sé stessi per incontrare l’altro e la realtà. L’uomo è per sua natura un essere estroverso, eccentrico, proteso verso l’altro, in cammino verso l’oltre e mi pare che questo riprenda bene la logica dell’esodo come paradigma per rileggere l’esistenza umana. L’esodo non solo è uno dei luoghi biblici più interessanti del cammino, pensando all’esperienza del cammino del popolo del deserto, ma è anche una dinamica antropologica molto interessante. La dinamica dell’uscire costituisce tutto l’essere umano.
Provate a pensare un bambino per nascere, esce dal ventre della madre, poi comincia ad uscire da sé stesso quando comincia a vedere, a parlare, a camminare, ad andare verso l’altro.
Poi c’è il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza, quando il rapporto fondamentale del bambino non è più semplicemente con la madre, con i genitori, ma diventa con i pari età e quindi esce dalla famiglia. E poi c’è un uscire da se stessi che è l’innamoramento. E poi c’è il momento dell’uscire di casa, il matrimonio e poi c’è un’uscita da se stessi incredibile che è quando uno ha il primo figlio quando si comprende che la vita non ci appartiene più del tutto e poi c’è l’uscire da questo mondo al Padre. Quindi tutta la vita dell’uomo è un cammino, ma anche nella dinamica dell’esodo. Per dire come brevemente, come davvero, la cifra del cammino dice molto bene l’esistenza umana.
Mi soffermo anche sul fatto che il cammino e il pellegrinaggio possono essere la chiave privilegiata, per comprendere l’identità di Gesù, ovvero dell’uomo-Dio.