C’era una volta il pudore (2)

Nonostante il nostro tempo sia il tempo dell’ostentazione anche del corpo e della nudità, il pudore non è totalmente sparito. Dire il contrario sarebbe un’affermazione troppo forte e decisamente pessimista. La cultura contemporanea non è un mostro che sta tentando di distruggere tutti i valori elaborati dalla società nei secoli passati. Forse li sta solo trasformando. Basti pensare all’attenzione alla privacy, al bisogno di proteggere la propria intimità, alla necessità di non essere trattati come un oggetto nelle relazioni sentimentali.
Verrebbe da chiedersi in che modo il pudore sia riuscito a resistere.
Siamo dinanzi a una virtù costitutiva dell’umano, una virtù, dunque, che addirittura definisce il nostro essere uomini e donne. Difficile, quindi, molto difficile da eliminare.
Il pudore sarebbe una necessità vitale prima ancora che un dovere morale, in quanto, collocandosi sempre alla frontiera fra sé e l’altro, fra l’individuale e il collettivo dimostra attenzione verso se stessi e verso l’altro, assicurando il rispetto di ciascuno.

Nell’Antico Testamento, il pudore (che emerge come sentimento a partire dalla caduta dei progenitori narrata in Genesi 3) non è solo una protezione della sfera sessuale dal disordine introdotto dal peccato, ma è anche una forma di delimitazione e rispetto dell’intimità e della riservatezza della persona (Genesi 9,22-23): Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e andò a dirlo, fuori, ai suoi fratelli. Ma Sem e Iafet presero il suo mantello, se lo misero insieme sulle spalle e, camminando all’indietro, coprirono la nudità del loro padre).
Nel Nuovo Testamento, poi, ogniqualvolta si parla di impudicizia, non lo si fa per disprezzare la corporeità o la sessualità, ma per impedire che queste vengano ridotte a mero oggetto di possesso, in balìa delle passioni. In tal senso, allora, già il dato biblico ci presenta il pudore come garante della nostra libertà, spinta interiore a non dominare e a non lasciarsi dominare.
Come si fa a restituire al pudore il compito che gli è proprio?
Ricominciando dall’educazione, ovviamente. Un’educazione, però, che coinvolga trasversalmente tutte le generazioni, pur avendo un occhio di riguardo per quelle più giovani.
È necessario, infatti, rieducare e rieducarsi alla comprensione di un semplice principio: mettere in piazza i propri sentimenti più preziosi, le proprie sofferenze, i propri successi o fallimenti, la propria nudità, fisica o psicologica che sia, ci rende inutilmente fragili ed esposti al potere degli altri su di noi, anche di chi non dovrebbe averne.
Cerchiamo di presentare il pudore non come l’ennesima violazione della libertà, ma come quel sentimento o virtù che promuove e rispetta la libertà, che sa fermarsi sulla soglia delle esistenze altrui, per promuoverne la dignità.