Recuperare la vita interiore

Da una riflessione di don Tonino Bello

Desidero rielaborare un po’ meglio il concetto di cammino insieme con Cristo. Che cosa significa camminare con Gesù Cristo. Ecco, voglio ribadire l’importanza della vita interiore, della preghiera, della grazia, del distacco dal peccato, perché sennò la nostra vita missionaria rischia di rimanere agli ormeggi.
Oggi dobbiamo assolutamente ristabilire il primato della spiritualità. E solo la riscoperta del profondo, con un deciso recupero della vita interiore e dei valori che l’accompagnano, darà alle nostre chiese i tratti delle icone, finestre dell’eterno aperte sulla storia. Diamo uno sguardo, un po’, anche alle nostre chiese, alle nostre comunità, così, per un’analisi critica, anche per una revisione di vita salutare. Ecco, spesse volte nelle nostre liturgie si ha la percezione nettissima che l’unico a mancare sia proprio Gesù Cristo.
C’è tanto rubricismo, ritualismo a volte a non finire, moralismo spesso insopportabile … fede, non di rado, zero o poca, incontro con Lui, opaco; abbandono all’onda della sua grazia, quasi inesistente.
Lo si nota dall’aria svagata, nel piglio distratto, nel fare annoiato di tanta gente che partecipa, ad esempio, alla messa domenicale per obbligo, non per amore. Lo si vede nei comportamenti dissipati, festaioli, distraenti di molti che invadono le chiese per le prime comunioni, le cresime, i matrimoni.
Ecco, non voglio dare giudizi sommari, ma qualche volta assistiamo veramente a frammenti di piazza, appendici di fiera, contegno da ricevimenti mondani. I momenti sacramentali più intimi sono sotto il lampeggiare indiscreto e violento delle macchine da presa; il silenzio cede spesso il posto allo spettacolo e l’immersione in Dio cede il posto all’inautenticità delle parate, il raccoglimento e la contemplazione al trucco scenografico. Se è vero che non può nascere una liturgia d’oro da una chiesa di latta, a preoccuparci non deve essere tanto il disappunto dell’oro che manca nelle liturgie, quanto il dover constatare che la Sposa non ama: non c’è abbandono nei suoi gesti, non c’è estasi, non c’è innamoramento, non c’è invenzione, non c’è sufficiente deserto per poter affermare che il Signore ha attirato lì la sua Sposa, come ai tempi della suo giovinezza, per poter parlarle al cuore. Ecco, spesso tutto finisce al rito, anche nelle nostre celebrazioni della messa domenicale: dopo il canto si depongono le chitarre e si va via, si scappa. Si ha l’impressione che l’assemblea domenicale gratifichi più per l’incontro con gli uomini che per l’incontro con Dio.
Capite, allora, che cosa significa camminare con Cristo! Se non lo si porta negli occhi, nelle parole, nei gesti, nei pensieri, è difficile chiamarsi a essere Chiesa missionaria. Io qui non voglio fare l’apologia dei mille ingredienti devozionali che nel passato hanno inflazionato e continuano a inflazionare anche la nostra spiritualità. Tutt’altro. Voglio soltanto dire che la meditazione, il deserto, il silenzio, l’esame di coscienza, la lettura spirituale, la revisione personale di vita, il colloquio con Lui, lo sforzo ascetico, l’impegno di ricentrare attorno a Cristo, morto e risorto, la propria vita sono gli affluenti senza i quali perfino il fiume largo, grande della liturgia rischia di rimanere in secca e forse anche con la complicità di molti maestri in Israele.