3 Avvento: Gaudete

La gioia cristiana assume tratti del tutto singolari e unici, “riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. La gioia è la risposta al dono di Dio, è la meraviglia per tutto quello che il Signore compie nella nostra esistenza. “La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia”. La gioia è il segno certo della Sua grazia e della Sua vita in noi, non può essere confusa con l’euforia ma “è il respiro, il modo di esprimersi del cristiano”.
Si tratta di fare memoria dell’opera del Signore Gesù Cristo, di accogliere il dono della Sua consolazione e di aprire il cuore alla speranza. La gioia cristiana fiorisce nel cuore di chi si mette in ascolto del Vangelo, genera quella pace che ci permette di non perdere la fiducia davanti alle inquietudini della vita e ha la forza di cambiare la vita. Il contenuto del Vangelo, la buona/bella notizia, è che Cristo Gesù ha condiviso la fragilità della natura umana, capovolgendo la situazione esistenziale segnata dal peccato e riconciliandoci col Padre. La gioia si allarga quando il credente riconosce di essere amato da Dio e di entrare a far parte di una famiglia, la Chiesa. La gioia dell’incontro con Gesù libera dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore e dall’isolamento. Cosa ci manca per essere veramente felici?

È Giovanni il protagonista della Liturgia della Parola di questa domenica. Egli si affretta a chiarire, usando un linguaggio piuttosto forte, che colui che sarebbe giunto dopo di lui, il Cristo, era uno con cui c’è poco da scherzare… se slegare il laccio dei sandali era uno dei gesti più umili che gli schiavi compivano verso i padroni, Giovanni non è degno neppure di compiere questo gesto nei suoi confronti; non battezzerà semplicemente nell’acqua, ma nel fuoco dello Spirito Santo; e il pensiero non va al fuoco che riscalda, ma al fuoco che elimina ciò che resta dopo lo sfalcio… C’è una domanda che si ripete: “Che cosa dobbiamo fare?”. Formulata per avere indicazioni, per sciogliere dubbi, per provocare. È la domanda della folla, dei pubblicani, dei soldati. A tutti Giovanni fa una proposta: forse non è quello che faranno. Ma Giovanni richiama ad una conversione radicale, che non riguarda la pratica religiosa, già normata dalla Legge, dal Tempio, dalla Sinagoga, dalle istituzioni. “Fare qualcosa”: ovvero partire dalle cose concrete della vita, dal vissuto quotidiano: se la conversione resta un discorso suggestivo pieno di buone intenzioni non serve a niente, non cambia il cuore, non trasforma la vita.
La condivisione. “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Un gesto non dettato dalla religione, ma dalla prossimità al destino di ogni uomo: mettere in comune quel che si ha con chi ci sta simpatico è naturale, condividere con chi ha bisogno chiede un passo avanti sulla via di una solidarietà umana essenziale, che non guarda al merito ma assicura la giustizia.
L’onestà. “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Significa riconoscere che in realtà nulla abbiamo portato con noi venendo al mondo e nulla porteremo via alla fine della vita, se non l’amore. Significa riconoscere che Dio è con noi e di ciascuno di noi si prende cura. L’onestà non è considerata la virtù di chi è semplicemente guidato dal senso del dovere ma il segno visibile di una fraternità praticata in ciò che è essenziale e non nel superfluo.
La pace. “Non maltrattate e non estorcete”. Per diventare discepoli del Re che viene bisogna attingere ad una sana determinazione, guidata dal senso del rispetto di ogni persona, soprattutto di chi è più debole e indifeso. La chiamiamo difesa dei diritti: il Vangelo la traduce con le parole di Giovanni rivolte a chi detiene il potere sui propri simili, che non può risolversi in prevaricazione e sfruttamento.