I figli sono un dono e una sorpresa

La Parola di Dio in questa festa della Santa Famiglia attira la nostra attenzione sul dono dei figli, sul fatto che vengono dal Signore e sono un dono di grazia. Il racconto della nascita di Samuele, quando ormai la madre Anna non ci sperava più, mette davanti ai nostri occhi un esempio antico e importante: questa donna ha chiesto con insistenza al Signore di poter avere un figlio ed è stata ascoltata. Attraverso la sua preghiera, la sua supplica, la sua ardente attesa, noi pensiamo a tante famiglie che hanno desiderato i figli e non sono venuti, ma pensiamo anche a tutti i figli che sono venuti, che sono un dono di Dio e che non appartengono ai genitori. Ognuno di noi è figlio: non tutti siamo genitori, ma tutti – indistintamente – siamo figli.
Allora, in qualunque età ci troviamo, questo discorso vale anzitutto per ciascuno di noi: io sono un dono, sono stato un dono per la mia famiglia, quando sono nato e lo sono per tutta la vita. Ognuno di noi non appartiene a quella famiglia, non è una cosa di proprietà, è una persona che arriva come un regalo che cambia la vita. I figli infatti sorprendono, sono novità, cambiamo l’impostazione e talvolta – se non spesso – fanno anche soffrire. Ognuno di noi può ripetere per sé: io sono stato una sorpresa per la mia famiglia e ho portato novità e anche sofferenza. Non ragionate solo nella prospettiva del genitore, ma provate a sentirvi come figli – non ci vuole una grande fatica – perché, anche se siamo avanti negli anni, restiamo figli.
È necessario e bello avere la consapevolezza di essere un dono di Dio, una sorpresa che Dio ha posto nelle nostre famiglie, per crescere nella novità. È un dono di grazia la presenza del figlio che non può essere dominata.
L’atteggiamento corretto dei genitori infatti è quello del dono della vita: il figlio ricevuto in dono viene donato.
Anna, dopo che le è nato il figlio tanto atteso, saggiamente lo chiama “Samuele”, spiegando che il suo nome vuol dire “l’ho richiesto al Signore”, per questo adesso è offerto al Signore: liberamente la madre porta questo bambino nella tenda santa di Silo, perché resti lì, come inserviente del santuario; lo offre al Signore. Il figlio è offerto al Signore, perché viene dal Signore ed è nato per compiere la sua missione. Ognuno di noi allora si domanda come figlio: “Qual è la mia missione? Se io sono stato un dono, che compito ho nella vita, che cosa mi chiede il Signore? Non sono nato per me, come non sono da me! Sono nato perché altri mi hanno messo al mondo e non sono nato per fare i fatti miei; sono nato per essere un dono, per fare della mia vita un dono, per mettermi al servizio del Signore”. Gesù è stato un dono per la sua famiglia ed è stato una sorpresa. La madre dopo quel momento angoscioso di ricerca gli fa una domanda dolce, ma velata di rimprovero: “Perché ci hai fatto questo, figlio? Tuo padre e io angosciati ti cercavamo”. Notate la finezza con cui Maria nomina prima Giuseppe e davanti al ragazzo dodicenne dice: “Tuo padre e io ti cercavamo”. Mette l’io in seconda posizione e sottolinea il dolore anche dell’altro, di Giuseppe. Gesù le risponde in un modo che, umanamente parlando, corrisponde a un pugno nello stomaco al povero San Giuseppe: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Il ragazzo ha già una consapevolezza di sé.
Mentre Maria ha parlato di Giuseppe come di suo padre, Gesù è consapevole che suo Padre è un Altro: perciò è rimasto nel tempio per occuparsi delle cose del Padre suo. È una sorpresa, è una sorpresa anche dolorosa per Maria e Giuseppe, perché questo bambino è diverso da come se lo immaginavano e, nonostante tutta la buona disponibilità con cui lo hanno accolto, quel bambino ha creato delle sorprese nella loro vita, ha fatto delle scelte che li ha fatti soffrire. Anche Maria e Giuseppe hanno dovuto cambiare la loro impostazione. La madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore, le metteva insieme e cercava di capirle; non volevano dominare Gesù, ma si sono lasciati sorprendere dalla sua scelta. Hanno capito che quel bambino non era per loro … ma ogni bambino non è semplicemente per i genitori, per far contenta la propria famiglia. La famiglia di origine è come un arco – ha detto un poeta – e i figli sono le frecce: la famiglia lancia i figli verso il futuro; i figli infatti come frecce si distaccano dall’arco e tendono verso la novità. Proprio la presenza di Dio nelle nostre famiglie diventa un dono e una sorpresa. Impegniamoci in questi giorni natalizi a ripensare alla nostra vicenda famigliare nella luce del Signore: le nostre storie, le nostre gioie e anche le nostre sofferenze, dobbiamo comprenderle nella luce del Signore, nel suo progetto, nella sua storia di salvezza.
La nostra storia ha un senso, le nostre vicende sono legate al progetto di Dio. Impegniamoci a capire che cosa il Signore chiede a noi. Con grande desiderio e disponibilità gli diciamo il nostro desiderio di seguire la sua strada, di essere un dono, di accogliere le sue sorprese, di fare la sua volontà. Anche ognuno di noi è nato per occuparsi delle cose del Padre suo: ognuno di noi ha come fine occuparsi delle cose del Padre celeste e in questo senso la nostra vita diventa dono per il mondo, e diventa una sorpresa di vita per chi ci incontra in tutta la nostra esistenza.