La fede come passione

Non può non interrogarci la disaffezione che esiste verso la fede e, ancor di più, verso la chiesa, che si manifesta nell’indifferenza religiosa, nell’abbandono nella pratica religiosa, nella richiesta quasi puramente “sacrale” dei sacramenti con quasi nessun investimento personale. Non può non interrogarci il diffuso disgusto, se non avversione, del modo di essere chiesa e in particolare verso la liturgia lontana dalla vita. Qual è l’origine di tale atteggiamento? Da questo interrogativo dovrebbe partire la ricerca di noi cristiani, accettando anche di riconoscere i nostri sbagli e la “degenerazione” di certi annunci.
Siamo tutti sollecitati da interiori meccanismi di difesa, a dire che il nostro tempo è tempo non di fede, tempo in cui l’ansia spirituale è soffocata dalla ricerca di soddisfazioni materiali e narcisistiche.
Possiamo essere così sicuri che il nostro tempo segni l’assenza della ricerca di Dio? Non potrebbe l’indifferenza religiosa essere un richiamo a mettere in crisi un modo scorretto di concepire Dio e la fede?
Perché non vedere la necessità di favorire esperienze autentiche di spiritualità, di relazione con Cristo nella comunità cristiana? Non è forse che siamo troppo impegnati in riunioni, in incontri, anche formativi o di proposte e attività umane, senza un reale tempo e spazio per l’Incontro?
Forse il “modo” che ha generato la freddezza nel vivere la fede, è l’aver insistito sulla fede come dovere e legge. Fare le cose per dovere o perché si è obbligati da una legge non è una forma di schiavitù?
Se una persona compie un’azione solo perché deve farla, ma non perché dentro c’è un valore e quindi la sente, la desidera, può ritenersi ancora libera e responsabile? Dio che si è manifestato come padre, madre, sposo, può accettare un rapporto con lui basato sul dovere o sulla legge?
Un altro atteggiamento, generalmente presente, è quello di considerare la fede come un “peso” o come un “giogo”. Il credente avrebbe un insieme di leggi, di ordinamenti da sopportare, per raggiungere la vita eterna. Accettare di essere credente sarebbe, quindi, assumere un “peso” che schiaccia la propria persona e la propria libertà, almeno nel presente. Difatti alcuni intendono il credere come una “rinuncia” alla propria libertà per un’obbedienza alle leggi di Dio. E forse qui sta la radice più profonda dell’antipatia nei riguardi della fede. Perché rinunciare alla propria libertà? Perché essere in balia di leggi e di costrizioni che
deresponsabilizzano e privano del gusto e della gioia di vivere?
In nome dell’umano alcuni rifiutano Dio, in nome della libertà rinunciano alla fede.
Oggi si desidera essere se stessi, esprimere le proprie capacità con fantasia e libertà e quindi non si potrà mai abbracciare, o meglio desiderare, la fede se questa viene presentata e annunciata come “riduzione di libertà” o “soffocamento” di vivere. Nascono così, o devono nascere, alcune domande: il Dio della Bibbia vuole che l’uomo obbedisca a leggi fisse o sia, invece, inventore di un progetto?
Credere significa assoggettarsi a un ordine stabilito o è il ricevere o Spirito per liberarsi e liberare da condizionamenti e camminare verso la pienezza del proprio essere e verso la felicità?
È molto diffuso l’atteggiamento di vivere la fede per dovere.
Questo atteggiamento corrisponde all’intenzione di Dio?
Dio desidera che faccia qualcosa o che partecipi per dovere, oppure che in quello che faccio o partecipo riacquisti il gusto di incontrami con Lui e con i fratelli nella comunità? La fede di Dio è osservare leggi e doveri oppure è cercare con desiderio Dio?