Chiara d’Assisi interpretava il suo rapporto con Gesù attraverso l’immagine dello “specchio” e degli “specchi”. Di primo acchito, l’azione di guardarsi allo specchio parrebbe la meno adeguata per descrivere la santità. La ricerca di un rispecchiamento della propria immagine fa pensare spontaneamente alla vanità, al bisogno di assecondare un impulso narcisistico. Non a caso si parla del “peccato dello specchio”.
Nell’esperienza di Chiara l’azione del rispecchiamento si rovescia. Lo specchio di Chiara è Gesù.
Lei si “specchia” in Gesù.
Come dice san Paolo, noi riflettiamo come in uno specchio la gloria del Signore (cfr. 2 Cor 3,18), la stessa gloria di Dio che rifulge sul volto di Cristo risplende nel cuore dei battezzati (cfr. 2Cor 4,6).
Nelle lettere ad Agnese di Praga, Chiara invita le sorelle a guardare a Gesù come ad uno specchio che, nella sua umanità, riflette la divinità. Scrive: “Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, (Gesù);
e trasformati interamente nell’immagine della divinità di Lui” (FF 2888).
Chiara insegna alle sorelle a portare ogni giorno la loro anima in questo specchio e a scrutare in esso continuamente il loro volto per adornarsi di tutte le virtù di Cristo. Gesù è il volto vero di Dio: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9); Gesù è il volto vero dell’uomo: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5).
Tenere fisso lo sguardo su Gesù (Eb 12,2) significa essere raggiunti dal suo raggio di azione che si imprime nell’uomo interiore ed esteriore di chi lo contempla e ne esce trasformato. Contemplare significa prendere gradualmente la forma di Cristo, sposo dell’anima. Specchiarsi in lui comporta, anzitutto, il movimento passivo dell’adorazione che è come un tempo sospeso in cui ci si lascia amare da Gesù, ci si lascia guardare dai suoi occhi, si zittiscono tutte le voci e le suggestioni esteriori, tutto si riduce nella semplicità di un “faccia a faccia”. Ma l’amore non è mai pura passività e sente il bisogno di esprimersi nel movimento attivo del discepolato e dell’imitazione, come recita il Prefazio della Messa: Tu hai ispirato a santa Chiara di seguire fedelmente, sull’esempio di san Francesco, le orme del tuo Figlio, sposandola a lui misticamente con vincolo di perenne fedeltà e amore”.
Chi tiene fissi gli occhi su Gesù viene trasformato nella sua stessa immagine, diventa il Gesù dello specchio e, una volta divenuto tale, diventa specchio per i fratelli e le sorelle.
Si crea una sorta di gioco degli specchi.
La catena del rispecchiamento si prolunga nella vita di ciascuno di noi: siamo un altro Gesù per gli altri. Prima di inquinare il dono con la domanda su quanto siamo coerenti a questo compito, godiamo intimamente del privilegio di questa vocazione: Gesù ha fatto di tutti noi specchi suoi e del Vangelo, perché molti possano specchiarvisi. Siamo preoccupati di dimostrare le nostre convinzioni e i nostri principi agli altri, ma dovremmo anzitutto diventare consapevoli del potere che ci è dato di mostrare a quanti condividono con noi la vita di tutti i giorni qualche scheggia della gloria di Dio che abita gli spazi umani.
Scegliendo di fissare lo sguardo su Gesù e di nulla anteporre all’amore per lui, i cristiani diventano immagine di una Chiesa sposa di Cristo, bella e senza macchia.
Di Chiara, è scritto nella bolla della sua canonizzazione, che più si nascondeva e rimaneva nell’ombra, più la sua vita era nota a molti, rivelata a quanti si rispecchiavano in lei.
La testimonianza dei santi non rimane nascosta; è discreta, persino invisibile, ma mai irrilevante.
È fonte di attrazione alla verità di Dio e dell’uomo. Il potere spirituale dei santi trasforma la società più di ogni potere mondano. Diventano le presenze più necessarie e i più grandi benefattori.
Vogliamo trasformare il mondo? Permettiamogli di intravedere Cristo attraverso i suoi specchi che siamo noi. Certamente la Chiesa non è uno specchio del tutto pulito e trasparente, troppo spesso rispecchia il mondo e porta le macchie della mondanità. È una chiesa santa e sempre bisognosa di purificazione.