Il profeta Geremia, in quanto persona che durante la sua missione è stato anche perseguitato, non accettato, rifiutato dai suoi concittadini, è stato una figura del Messia. Il re Sedecia si rivela una persona mediocre, incerta e instabile, un po’ da una parte e un po’ dall’altra: oscilla fra l’essere contro Geremia e a favore di Geremia, a seconda di chi gli parla dà ragione sia a questo che a quello. Geremia era un uomo delicato,
timido, riservato. In base al suo carattere avrebbe voluto stare tranquillo nel suo ambiente domestico a
scrivere poesie, e invece fu mandato dal Signore in mezzo a una lotta tremenda, ad annunciare la catastrofe, l’imminente fine di Gerusalemme. Quando i politici si illudevano di riuscire a salvare la situazione, anzi di cambiarla in meglio, Geremia deve annunciare a nome di Dio la necessità di sottomettersi, di abbassare la testa, di accettare l’umiliazione, di arrendersi. Perciò lo accusano di disfattismo: “Quest’uomo fa cadere le braccia ai soldati, quest’uomo non cerca il benessere del popolo, quest’uomo vuole il male della nazione”. Non capiscono il senso di quello che sta dicendo, fraintendono il suo messaggio, lo vogliono morto, lo condannano ad essere gettato nella cisterna. Il racconto biblico è essenziale e drammatico: “presero Geremia, lo gettarono nella cisterna, calandolo con corde, e nella cisterna non c’era acqua, ma fango … e Geremia affondò nel fango”. Ci è proposto il quadro di un uomo di Dio che affonda nel fango … proviamo a metterci nei suoi panni, a sentire sulla nostra pelle una situazione del genere.
Dopo avere fatto del nostro meglio, dopo aver annunciato la parola di Dio e servito il Signore, siamo ricambiati con malevolenza, con disprezzo, con calunnie, accuse pesanti … presi e calati in un pozzo per morirvi di fame, affondiamo nel fango. È l’immagine dell’umanità, dei problemi che ciascuno di noi prima o poi nella vita affronta: ci troviamo in questo pozzo ad affondare nel fango. Ecco l’angoscia: essere chiusi allo stretto e non avere via d’uscita. Guardare dal basso quel buco in cima al pozzo da cui filtra la luce e affondare nel fango … è la condizione dolorosa dell’umanità. È la condizione anche di persone buone, di persone che hanno fatto del bene e che si ritrovano ripagate con il male. Da questo pozzo Geremia alza la voce e noi gli abbiamo dato la voce con le parole del Salmo 39: “Signore vieni presto in mio aiuto!
Tirami fuori da questo pozzo, dal fango della palude, metti i miei piedi sulla rocca, rendi sicuri i miei passi”. Come è capitato a Geremia anche noi però possiamo ringraziare il Signore perché qualcuno è intervenuto a tirarci fuori. Nella vicenda del profeta è un etiope, uno straniero – Ebed-Mèlec, il servo del re – che interviene in suo favore.
Uno straniero dalla pelle nera salva il profeta: fa ragionare il re, gli fa capire di aver agito male, parla a favore di Geremia, mentre i suoi concittadini, gli uomini del tempio, i cortigiani – vil razza dannata – hanno fatto gettare Geremia in fondo alla cisterna. Uno straniero intercede per il profeta; e il re, che è una debole banderuola, dà retta all’ultimo che ha parlato e di fronte a questo servitore che intercede per Geremia gli dà l’incarico – ma di nascosto – di andarlo a tirare su il profeta. L’aiuto arriva, anche da dove non se lo aspettava! Il Signore interviene in qualche modo, ha le sue strade per tirarci su dal pozzo dell’angoscia.
Ci sentiamo conosciuti da Dio, capiti e sostenuti. Gli chiediamo aiuto, gli chiediamo il coraggio di essere fedeli, di continuare ad essere cristiani convinti anche in fondo al pozzo, anche nell’angoscia.
Stiamo dalla parte di Gesù, chiediamo il suo aiuto perché vinca la nostra angoscia, non ci lasciano spaventare, non ci lasciamo cambiare nelle nostre scelte fondamentali; aderiamo al Signore Gesù con coraggio, anche se costa, sapendo che il Signore viene in nostro aiuto e ci tira su, non ci abbandona.
Preghiamo per tutte le persone che sono nell’angoscia: facciamoci carico dell’angoscia del mondo, di tante persone che soffrono in fondo a pozzi esistenziali e alziamo la nostra voce a loro favore, in loro difesa, per supplicare un intervento divino che ci salvi e ci liberi. Confidiamo in questa potenza che libera
dall’angoscia e con coraggio corriamo verso la meta.