Venerdì Santo: Passione del Signore

Oggi è un giorno particolare: in questa giornata si ricorda con profondo dolore la morte di Cristo sulla croce. Contemplando Cristo Crocifisso oggi esprimiamo una sola parola: «Grazie». Mi sembra di percepire questo Venerdì come il giorno in cui Dio sceso in terra ha mostrato a tutti quanto amasse l’uomo, tanto da soffrire e in silenzio morire, come un ladro, un reietto. È un atto d’Amore che mi ha colpito e che forse in quanto umano non capirò mai completamente, ma che sento, in un certo senso, come
contagioso. Un Amore, mi viene da pensare, scandaloso, perché non è accompagnato dalla logica del “Do ut des” (io do affinché tu dia), un Amore infinito e smisurato che ha portato Gesù a spendersi completamente per ognuno di noi, e quindi anche per me. Un Amore che nonostante tutto, nonostante le pene che stavano nel mezzo del percorso, non è diminuito, anzi è stato puro e limpido fino alla fine, tanto da portare Gesù a perdonare dalla croce i suoi persecutori, pregando per loro. Penso al ladrone buono: è accanto a Gesù e lo osserva; lui, che durante la sua vita ha fatto tutto il contrario di ciò che dicevano i Comandamenti, alla fine della sua vita prova dolore, accomunato ad un uomo giusto come Gesù che sta facendo la sua stessa fine.
E nell’osservare tutto questo, il ladro capisce veramente cos’è l’Amore; l’Amore che ha portato Gesù ad accettare quelle pene per noi e che non è cambiato nemmeno dopo tutti gli orrori subiti.
Cristo passando per la croce ha dimostrato come quell’Amore fosse capace di vincere anche la morte, che era forse l’unico limite dell’uomo fino a quel momento.
Inoltre, sapere che Gesù ha sperimentato tutte le prove che l’umanità vive quotidianamente, è un motivo in più per non sentirmi solo e abbandonato a me stesso, in quei momenti in cui mi sento più debole del solito, più vulnerabile perché affronto le mie debolezze.
Se al Giovedì Santo, nel gesto della Lavanda dei piedi, riflettevo su quei miei difetti che Gesù lava, ecco che quello stesso Signore è pronto a prendere sulle spalle quelle fragilità. Proprio per aver affrontato la sua Passione, mi dà la forza di prendere la mia croce ogni giorno, e soprattutto mi accompagna nel cammino. Esattamente come appare nel “Simone di Cirene” di Sieger Koder: l’immagine è singolare perché il peso è equamente diviso dai due, i quali nel contempo si abbracciano, si percepisce una collaborazione fraterna. Credo che sia questo l’esempio a cui devo aspirare, ovvero lasciarmi aiutare da Gesù nel portare, sopportare e infine amare le mie fatiche, non dimenticandomi di abbracciarlo e sentirlo vicino per superare ogni momento difficile, perché so che dopo ogni morte c’è una rinascita, o meglio: una Resurrezione.

Contempliamo il crocifisso

È lo stupore a dominare la celebrazione di oggi, di pari passo con il dolore.
Un’emozione tanto ricercata quanto vilipesa: nulla più stupisce oggi, eppure vogliamo essere stupiti per essere interessati. La mancanza di stupore è mancanza di aspettative, di idee, di progetti disponibili a farsi cambiare in modo inaspettato e repentino. Vogliamo la novità, ma solo nei tempi e nei modi che ci fanno più comodo. Essere stupiti è un po’ come essere traditi: le cose non vanno come previsto e siamo costretti, dolorosamente, a rivedere le nostre speranze. È doloroso, quindi preferiamo non sperare. La croce è come una lama piantata nell’apatia dell’animo umano: una contraddizione incredibile, che ci spoglia delle maschere e delle ipocrisie, anche di quelle più pie e sante, e ci mette di fronte al dolore di fare i conti con la vita.

Oggi la liturgia ci invita a contemplare il Cristo in croce, a stare in silenzio davanti a lui, lasciandoci accompagnare dal racconto della Passione secondo Giovanni. Lì troviamo una domanda, che del resto percorre tutto il vangelo: chi è Gesù? È proprio la croce, paradossalmente, a svelarlo, perché quella è «l’ora» in cui tutto viene manifestato. Viene manifestato Gesù. La sua divinità appare proprio nella debolezza, nella fragilità, là dove mai e poi mai avremmo creduto di trovare Dio. Facciamo fatica a riconoscerlo nel volto sfigurato del Cristo. Abituati a considerare Dio come colui che sfugge alle insidie e riporta sempre la vittoria, ci troviamo in difficoltà davanti alla condanna e alle umiliazioni a cui viene sottoposto Gesù, alla sconfitta che subisce sotto gli occhi di tutti. È la sua morte, per amore, che risulta fondamentale per cogliere la sua identità. Il Messia disarmato e flagellato, condannato e messo a morte, emana una forza interiore a cui non si può resistere. È la forza dell’amore, che non si dà per vinto, neanche di fronte al rifiuto, all’ingratitudine, alla cattiveria. Ed è insieme la forza della verità, che trionfa sulle oscure forze del male. Viene manifestato anche il volto di Dio, il Padre. Non è affatto il Dio che esige il sacrificio, ma il Dio che offre il proprio Figlio. E «soffre» accanto a lui sulla croce. Non è il Dio che piega gli altri al suo volere, ma colui che propone un progetto di amore attraverso la croce del Figlio. Non è il Dio che resta lontano dalle vicende umane, ma il Dio che pianta la sua tenda nella nostra storia e corre tutti i rischi che questo comporta. Viene manifestata anche la nostra identità. Ai piedi della croce ci scopriamo destinatari di questo amore tanto smisurato da essere sconvolgente. Ai piedi della croce riceviamo il dono che Cristo ci fa della sua vita. Ci lasciamo dunque bagnare dall’acqua e dal sangue che escono dal suo costato aperto, ci lasciamo rigenerare dal battesimo e dall’eucaristia, dalla grazia “a caro prezzo”, dal sacrificio che cambia la storia. È proprio dalla croce, strumento di condanna e di morte, che ci giunge la vita. Quel legno, irrorato dal sudore dell’agonia, dal sangue che esce da un corpo martoriato, diventa l’albero della vita a cui tutti ci rivolgiamo per ricevere misericordia e salvezza. Da quel legno, issato sulla collina del Calvario, scende a noi la grazia di Dio, come un dono immeritato, il dono di una vita, spezzata per amore.

Venerdì Santo

Il Venerdì è il giorno del silenzio, della morte in croce del Salvatore del mondo. Una celebrazione austera, dominata dal racconto della Passione secondo il Vangelo di Giovanni. La grande preghiera universale per la Chiesa, per i cristiani, per il mondo, per chi non crede in Dio, per gli oppressi e gli ammalati e per la pace. Poi un crocifisso da adorare, perché “nostra gloria è la croce di Cristo, il Signore è la nostra salvezza, la vita, la risurrezione”.
Dal Venerdì di Passione al Sabato Santo, tutto tace, tutto è buio. La Chiesa non celebra nemmeno la Messa. È il tempo del sepolcro, del silenzio, dell’uomo che fa spazio al mistero.

Appuntamenti del venerdì Santo

Ore 15.00: VIA CRUCIS
(tempo permettendo al Mortorino, altrimenti in Chiesa)

Ore 21.00: CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE
(tempo permettendo al Mortorino, altrimenti in Chiesa)

COLLETTA PER LA TERRA SANTA
Quanto ciascuno offrirà al termine della Via Crucis e durante la Celebrazione della Passione, sarà consegnato alla Curia Diocesana secondo questa intenzione

Celebrazione della Passione del Signore

La liturgia del venerdì Santo comincia con un tempo di preghiera silenziosa. Dopo la liturgia della Parola con la proclamazione della Passione secondo Giovanni, la celebrazione si svolge in tre momenti: una solenne preghiera universale; la venerazione della Croce; la comunione al pane eucaristico consacrato il giorno prima.
Celebriamo in una Chiesa spoglia, priva di ornamenti, per contemplare Colui che si è lasciato togliere tutto per diventare il servo dell’umanità ed offrirsi interamente. Entriamo in questa liturgia abitati dall’attesa di chi sa che la misericordia di Dio non è finita.