Tu x Tutti

Dieci volte al giorno ci salutiamo e ci chiediamo: come stai? Poche, però, sono quelle occasioni in cui questa domanda dà spazio a una vera condivisione. Ci siamo abituati a dire che stiamo bene e siamo in salute quando tutto, dentro di noi, tace: quando i nostri organi stanno in silenzio, lo stomaco non è inacidito, il polmone non è intasato, la testa non rimbomba o il piede non è gonfio. Eppure, «il silenzio della vita degli organi» è uno standard di salute troppo modesto! È un ottimo risultato per il medico, che si può ritenere soddisfatto quando i sintomi dello star-male sono scomparsi, ma stare bene è un’altra cosa: è passeggiare, abbracciarsi, piangere o gridare, è sentirsi pieni di energia o semplicemente diventare un tutt’uno con la natura. Prendersi cura della propria salute e della propria vita significa, infatti, investire sul positivo dell’esistenza, perché il nostro esserci nel mondo divenga un’esperienza carica di senso e densa di energia. Non basta, però, che la cura sia un atto limitato alla scelta del singolo: sono troppe le povertà esistenziali nel nostro territorio, troppe le fatiche a prendersi cura di sé e non sempre i nostri piccoli possono permettersi di avere attorno a sé un contesto sufficientemente sereno e funzionale alla crescita. Per questo, è necessario che la comunità si impegni a costruire una dimensione forica (nel senso del foro romano, di un luogo che raccoglie e ospita la vita e i commerci) nello spazio collettivo. L’espressione è molto utilizzata dalla sociologia e dalla psicoanalisi francesi e indica il gesto di caricare di valore simbolico ed esistenziale le cose materiali che ci circondano: perché la piazza non sia solo un pavimento in porfido o l’ufficio anagrafe uno sportello anonimo. In altre parole, la collettività è chiamata a creare le condizioni di giustizia affinché le persone che vi abitano possano prendersi cura di sé.
Se le persone imparano a prendersi cura di sé, infatti, è la società che si arricchisce, ed è per questo che la misura dello stato di salute di una collettività non si basa solo sul potenziamento del tenore economico, ma anche sul rafforzamento della capabilità di ogni individuo. Anche questo termine è tecnico, inventato dal premio Nobel per l’economia A. Sen, e indica la capacità di convertire le risorse personali di ogni individuo in libertà reali e positive, perché non basta che un bambino sopravviva alla crescita e si accontenti del contratto a tempo indeterminato! Occorre piuttosto che la società gli permetta di far uscire tutte le risorse di cui è portatore, perché possa realizzare la vita che più gli corrisponde. Questa è giustizia. Apprestarsi a vivere un’estate all’insegna del servizio è un proposito che mette subito la comunità cristiana in sintonia con queste riflessioni e con un bisogno sempre più diffuso sul nostro territorio, anche se non sempre il più ascoltato. La tecnocrazia che regola i nostri rapporti sociali non è interessata a far germogliare la vita buona o la cura di sé, perché si struttura a partire da altri valori, come la performance o l’utilità economica. Scommettere sulle risorse individuali e personalizzare lo stile educativo perché germogli nella vita di un ragazzo la sua più autentica vocazione è un’opera che si oppone alla standardizzazione dei bisogni a cui la logica tecnocratica è interessata. Per questa ragione, investire su un mese all’insegna della cura e del farsi carico della vita di altri è decisamente un atto rivoluzionario, capace di mettersi a servizio dei bisogni del mondo, ma anche di qualificare il discepolato cristiano. Investire sulla cura e sul servizio è anche un proposito in controtendenza, ed è importante esserne consapevoli: un tempo diventare adulti significava assumere una responsabilità nel mondo, all’interno della comunità; oggi non è più così. Non ci sono più riti di iniziazione che vanno in questa direzione e spesso l’età adulta corrisponde solamente con la possibilità di accedere a tutti e soli i diritti che spettano al cittadino. La società occidentale è a forma di single, perché l’individuo è il target della mens legislativa (manca per esempio un corpus di leggi adeguato per la famiglia, perché la famiglia non riveste più una dimensione pubblica/istituzionale). La questione è molto seria, perché cade su un punto cruciale del modo di intendere la vita: qual è il rapporto tra individuo e società? Si può pensare che un individuo acceda alla pienezza di vita senza che questo coinvolga il destino della sua comunità? In un’epoca in cui l’individuo basta a se stesso, la solidarietà e il servizio potrebbero facilmente trasformarsi in dis-valori, o comunque in hobbies facoltativi e non determinanti per la vita di un adulto. Come si può tornare a dire il valore prezioso e inestimabile di una vita spesa nel servizio? Come si può tornare a mostrare che un’educazione che non insegna il servizio è fallimentare? Su questo aspetto la comunità cristiana è chiamata a ribadire, anche attraverso la propria opera, che il compimento dell’esistenza non può darsi al di fuori dello sforzo di costruzione di una società giusta. Non si arriva al traguardo da soli!