Gioia

Se anche deve misurarsi con i deserti della storia e con le lande desolate della cattiveria e dell’egoismo, la speranza riesce sempre a generare gioia.
La sua gioia, Gesù, non corrisponde allo scatenarsi irrefrenabile degli istinti, né a un’allegria scomposta capace solo di fare chiasso, e neppure ha l’aspetto irreale dei sorrisi forzati che ci raggiungono attraverso gli spot pubblicitari.
La gioia che viene dalla speranza è piuttosto una linfa vitale che percorre ogni gesto e ogni parola e diffonde attorno a sé fiducia e comprensione. È una gioia che reca con sé il profumo delle cose autentiche, profumo buono di pulito, fragranza sincera che raggiunge le profondità dell’anima. È una gioia che perdura anche quando si scontra con il rifiuto e con l’odio perché è assicurata da te e non dal consenso degli uomini.

Stupore

La speranza non può mai essere data per scontata: per questo è sempre accompagnata dallo stupore, dalla meraviglia. In effetti essa ci prende per mano e ci conduce oltre. Ci fa scorgere il mondo nuovo attraverso un evento che ha colto di sorpresa, come la tua risurrezione, Gesù.
Ci fa intravedere la vita attraverso il tunnel oscuro e freddo della morte.
Ci fa cogliere il compimento appena sono spuntati i primi germogli della primavera. Ci fa intuire i primi frutti mentre ancora imperversa l’inverno.
È dolce, Signore Gesù, questo stupore che segna la nostra avventura di fede e dilata il nostro animo facendogli respirare il profumo della grazia.
È dolce, Signore Gesù, questa meraviglia che porta a oltrepassare le frontiere e a lanciarsi in regioni sconosciute in cui l’impossibile diventa finalmente realtà ed è attraverso i poveri e i deboli che tu lo costruisci.

Giovanni Battista: testimone della luce

Giovanni è il “martire” della luce, testimone che l’avvicinarsi di Dio trasfigura, è come una manciata di luce gettata in faccia al mondo, non per abbagliare, ma per risvegliare le forme, i colori e la bellezza delle cose, per allargare l’orizzonte. Testimone che la pietra angolare su cui poggia la storia non è il peccato ma la grazia, non il fango ma un raggio di sole, che non cede mai.
Ad ogni credente è affidata la stessa profezia del Battista: annunciare non il degrado, lo sfascio, il marcio che ci minaccia, ma occhi che vedono Dio camminare in mezzo a noi, sandali da pellegrino e cuore di luce: in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.
Quell’uomo roccioso e selvatico, di poche parole, non vanta nessun merito, è l’esatto contrario di un pallone gonfiato, come capita così di frequente sulle nostre scene. Risponde non per addizione di meriti, titoli, competenze, ma per sottrazione: e ci indica così il cammino verso l’essenziale, fino al dono di se stessi.
Non si è profeti per accumulo, ma per spoliazione. Io sono voce, parlo parole non mie, che vengono da prima di me, che vanno oltre me. Testimone di un altro sole. La mia identità sta dalle parti di Dio, dalle parti delle mie sorgenti. Se Dio non è, io non sono, vivo di ogni parola che esce dalla sua bocca.
La voce rigorosa del profeta ci denuda: Io non sono il mio ruolo o la mia immagine. Non sono ciò che gli altri dicono di me. Ciò che mi fa umano è il divino in me; lo specifico dell’umanità è la divinità.
La vita viene da un Altro, scorre nella persona, come acqua nel letto di un ruscello.
Io non sono quell’acqua, ma senza di essa io non sono più.
«Chi sei tu?». Io cerco l’elemosina di una voce che mi dica chi sono veramente.
Un giorno Gesù darà la risposta, e sarà la più bella: Voi siete luce! Luce del mondo.

Sant’Agostino, vescovo e dottore della Chiesa

Un Dottore della Chiesa, un Vescovo, un filosofo, ma prima di tutto un uomo, con le sue fragilità, le sue contraddizioni e la sua continua ricerca di un senso profondo del vivere.
E’ sempre straordinariamente attuale la figura di Sant’Agostino (di cui la liturgia fa memoria il 28 agosto), un faro spirituale che ha orientato la vita di migliaia di credenti (e non solo) di tutte le epoche e le latitudini. Poche altre personalità dell’universo cristiano hanno lasciato nei secoli un’eredità paragonabile alla sua.
«Ci hai creati per Te, Signore, e inquieto è il nostro cuore finché non trova riposo in Te». Questa celebre frase, contenuta nelle Confessioni, può in un certo senso esemplificare tutta la vita di questo santo, animata da un incessante anelito alla verità.
E ancora oggi Le Confessioni sono una bussola per tanti uomini e donne in ricerca.
«Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e tanto nuova, tardi ti ho amato – si legge tra le pagine del libro – Sì, perché tu eri dentro di me ed io fuori: lì ti cercavo.
Deforme, mi gettavo sulle belle sembianze delle tue creature. Eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te.
Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, respirai ed ora anelo verso di te; ti gustai ed ora ho fame e sete di te; mi toccasti, e arsi dal desiderio della tua pace».

Santa Monica e sant’Agostino

Domenica 27 agosto ricorre la memoria di santa Monica, madre di sant’Agostino, vescovo. In special modo ricordiamo le cure che la santa madre profuse per la buona educazione dei figli. Fu certamente un’azione educativa straordinariamente grande. È vero che Agostino, attirato più dagli amici che lo invitavano al male che dalle raccomandazioni materne, deviò, ponendo così a durissima prova la virtù della sua povera mamma. Ella infatti vedendo il figlio adescato dall’errore e dal vizio, non faceva che elevare al cielo fervorose preghiere, unite a calde lacrime, per impetrarne la conversione. Ma le sue abbondanti lacrime e fervorose preghiere ottennero la conversione del figlio. S. Ambrogio la incoraggiava dicendole: «Non puó andar perduto un figlio di tante lacrime». Ella riuscì con la grazia di Dio a trarre alla fede cattolica Agostino alla fine del 386. L’anno seguente, ricevette il Battesimo per mano di Ambrogio nella Pasqua del 387 e cominciò una vita santa e feconda di apostolato. A Santa Monica affidiamo tutti i genitori, perché continuino, con determinazione e perseveranza, a vigilare sull’educazione cristiana dei figli e a prodigare ad essi le loro maggiori cure.

Inno alla fragilità: il Dio dei vivi

Si narra che, alla fine della vita, san Girolamo – il Padre della Chiesa che tradusse per primo la Bibbia in latino – pregò con queste parole: “O Dio, io ti ho offerto la traduzione della Bibbia e non ti basta; ti ho dato la mia vita missionaria e non ti basta; ti ho offerto la mia vita di prete e non ti basta; ti ho dato la mia preghiera e non ti basta; cos’altro vuoi da me?”
E Dio rispose: “Dammi il tuo peccato, perché io ti possa perdonare”.

La poetessa francese Marie Noel (1883-1967), nel suo diario segreto, ha scritto questo dialogo con Dio recuperando l’antico passo citato sopra: “Sono qui, mio Dio. Mi cercavi? Cosa volevi da me? Non ho niente da darti. Dal nostro ultimo incontro, non ho messo niente da parte per te. Niente … nemmeno una buona azione. Ero troppo stanca. Niente, nemmeno una buona parola. Ero troppo triste. Niente, se non il disgusto di vivere, la noia, la sterilità”.
“Dammeli”.
“La fretta, ogni giorno, di vede finire la giornata, senza servire a niente, il desiderio di riposo
lontano dal dovere e dalle opere, il distacco da bene da fare, il disgusto di Te, o mio Dio!”.
“Dammeli”.
“Il torpore dell’anima, i rimorso della mia fiacchezza e la fiacchezza più forte dei rimorsi …”.
“Dammeli”.
“Turbamenti, spaventi, dubbi …”.
“Dammeli”.
“Signore, ma allora Tu, come uno straccivendolo, raccogli i rifiuti, le immondizie. Che ne vuoi fare, Signore?”.
“Il regno dei cieli”.

Questa visione ci preserva dal continui tentativo – dovuto alla terribile idea di perfezione che ci portiamo dentro – di fuggire dalle situazioni in cui siamo pensando sempre a “mondi altri”.
La Bibbia, all’opposto, narrandoci storie “sacre” c’insegna a stare nel negativo, a perseverare anche quando la strada sembra interrotta, perché proprio lì si rivelerà l’impossibile.
Questa è fede.
La Scrittura ci suggerisce di vivere fino in fondo la nostra situazione, quello che siamo, anche se pensiamo che non vada bene, perché è solo così che potremo sperimentare il compimento apportato da Dio.
Quante volte ci diciamo: “Io così non vado bene, non sono adatto, sono sbagliato”.
Ma noi siamo così e in questo momento non potremmo essere altro.

Finché pensiamo che domani andrà meglio perché ci impegneremo un po’ di più, la grazia non ci potrà raggiungere, perché fuggiamo dal momento presente rifugiandoci nei buoni propositi, nell’impegno.
Abbiamo bisogno di chiedere la grazia della conversione. E convertirsi non vuol dire smettere di peccare, ma sperimentare l’amore di Dio nel nostro peccato.

Inno alla fragilità: il Dio sorprendente

La Parola di Dio è l’antidoto al veleno pericolosissimo che ci portiamo dentro e che lentamente ci uccide: l’idea di perfezione. La Parola di Dio parte sempre da situazioni imperfette, così che la Bibbia sembra un inno alla fragilità e alla debolezza.
Nel cristianesimo la questione fondamentale non è il tentativo di preservarsi dal male per raggiungere Dio, ma è fare esperienza dell’amore di Dio che ci accompagna nella nostra storia personale segnata dal male.
La salvezza non sarà giungere a non peccare più, o scoprirsi un giorno senza limiti, senza fragilità, non più feriti, ma sarà rimanere con la bocca aperta come i bambini – questo si chiama stupore – dinanzi a un Dio che ci ama e ci ha raggiunto nella nostra fragilità.
La religione è intenta a voler raggiungere Dio con una vita irreprensibile, la fede è accorgersi di un Dio che opera e si rivela nella nostra storia ferita.

L’insperato diventa realtà

Quel giorno nessuno si aspettava di trovare la tua tomba vuota e di ricevere un annuncio troppo bello per sembrare vero. Quel giorno sembrava destinato alla tristezza e al lutto, al pianto e alla disperazione e invece si è aperto, in modo imprevisto alla speranza. Sì, perché l’insperato, l’inimmaginabile è diventato realtà. Il potere della morte si è finalmente incrinato ed essa non ha potuto trattenere tra le sue mani te, che sei il Signore della vita.
La pietra destinata a chiudere la porta del sepolcro è rotolata via e con essa le assurde pretese di chi riteneva di essere riuscito a fermarti per sempre.
Quel giorno, Gesù, con la tua risurrezione il Padre ha dimostrato a tutti che tu avevi realizzato il suo disegno e che la croce era solo un passaggio doloroso, anche se inevitabile.

I gesti della speranza

Sono tanti, Gesù, i segni della speranza, ma hanno tutti qualcosa in comune che li rende riconoscibili a prima vista: fanno bene al cuore, portano consolazione e gioia, riescono a far fiorire un chiarore di luce anche nel profondo di un buio angosciante. Sono gesti di tenerezza che portano il profumo e il calore dell’amicizia. Sono gesti di condivisione, che mettono in comune doni preziosi come il pane e il tempo. Sono gesti di compassione che offrono un sostegno e spazzano via la tristezza di sentirsi tremendamente soli. Sono gesti di perdono che cancellano la vergogna di chi si trova ad aver sbagliato e aprono il sentiero di nuove possibilità. Sono gesti di amore, che non misurano fatiche e dolori perché mossi solo dall’intento di donare gioia e pace.

Cose grandi

Come un lievito che riesce a sollevare una grande massa di pasta, così il tuo Spirito, Gesù, agendo nel profondo della storia, ha provocato cambiamenti del tutto imprevisti e insperati. Se ci fermiamo a considerare il percorso delle nostre comunità lungo due millenni come non riconoscere le cose grandi che egli ha suscitato, accompagnato e sostenuto? Miracoli di santità che sfidano il tempo attraverso i volti multicolori di cristiani di ogni razza, di cultura e appartenenza sociale. Prodigi di solidarietà che si fatica a narrare tanto hanno dell’eccezionale, dell’impensabile, dello straordinario, e che sono stati realizzati da creature fragili ed inermi, che non potevano contare su grandi capitali. Testimonianze di coraggio, di un’audacia a tutta prova, in ogni tempo e in ogni situazione, talora rischiando e perdendo la propria vita.