Gesù viene per renderci Santi

Quest’anno il cammino di Avvento non può non tenere presente il tema dell’Anno Pastorale che è un invito alla Santità. Un’esortazione rivolta a tutti perché si possa scoprire che essere santi significa semplicemente essere pienamente felici, e per essere felici la strada è indicata ed è Gesù. Ovviamente è necessario non pensare la santità in modo astratto o concreto. Sono testimoni i Santi della possibilità di vivere gli insegnamenti di Gesù.
La santità della porta accanto “Apro gli occhi per scoprire l’amore che mi circonda ogni giorno” Mi piace vedere la Santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “La classe media della santità”.
Dall’esortazione apostolica “Gaudete ed exultate” di papa Francesco

Un racconto per riflettere

LA MALATTIA PIÙ GRAVE: L’INDIFFERENZA
Un giorno, ad un luminare della medicina venne chiesto quale fosse la più grave malattia del secolo. I presenti si aspettavano che dicesse il cancro o l’infarto.
Grande fu lo stupore generale quando lo scienziato rispose: “L’indifferenza!”.
Tutti allora si guardarono negli occhi e ognuno si accorse di essere gravemente ammalato.
Infine gli domandarono quale ne fosse la cura.
E lo scienziato disse: “Accorgersene!”

Concerto di Natale

DOMENICA 10 DICEMBRE, ALLE 18, IN SCENA UN CAPOLAVORO DELLA MUSICA SACRA: LA GROSSE MESSE K 427 DI MOZART

CORO E ORCHESTRA DEL COLLEGIUM VOCALE DI CREMA

Nel 1783, Wolfgang Amadeus Mozart viveva a Vienna da tempo dopo essere stato al servizio dell’Arcivescovo di Salisburgo Colloredo. Decise, seppur senza avere ricevuto alcuna commissione, di comporre una Messa, probabilmente come ringraziamento per la guarigione della moglie Constanze. Nacque così un capolavoro unico della musica sacra: la Grosse Messe k 427, rappresentata per la prima volta nella Peterskirche dei benedettini a Salisburgo il 25 agosto del 1783. Una composizione per soli, coro e orchestra, che restò però incompiuta. Mozart non aveva fretta di concluderla e così rimase per sempre sospesa.
Domenica 10 dicembre, alle 18, nella Chiesa Parrocchiale di San Fiorano, il Coro e Orchestra del Collegium Vocale di Crema interpreteranno proprio la Grande Messa. Un’opera imperdibile caratterizzata da una impareggiabile maestosità sonora. Le parti del solista furono pensate da Mozart proprio per la moglie Constanze, una valida cantante dell’epoca. Nell’opera sono evidenti il ringraziamento per la guarigione della moglie, il dolore per la recente perdita di un figlio e la fede in Dio, salvifica e trionfatrice sulla morte. Giampiero Innocente, direttore del Collegium Vocale, ha definito i due Hosanna che chiudono la composizione come ‘quanto di più solenne e ardito si potrebbe scrivere’. La Grosse Messe è composta da Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Benedictus.
Vi aspettiamo numerosi per un appuntamento unico.

Gesù Cristo Re dell’universo

Ultima tappa
Celebriamo l’ultima domenica dell’Anno liturgico, chiamata solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, re dell’universo. L’anno liturgico rappresenta la nostra vita in miniatura: questa esperienza ci ricorda, e ancor prima ci educa, al fatto che siamo in cammino verso l’incontro con Gesù, Sposo, quando Egli verrà quale Re e Signore della vita e della storia.
Ma c’è anche una venuta intermedia, quella che stiamo vivendo noi oggi, in cui Gesù si presenta a noi nella Grazia dei suoi Sacramenti e nel volto di ogni “piccolo” del vangelo.
E lungo questo cammino, la liturgia si offre a noi quale scuola di vita per educarci a riconoscere il Signore presente nella vita quotidiana e prepararci per l’ultima sua venuta.

Tutto si gioca sull’amore
La Parola di Dio che ascolteremo in questa Solennità ci avvisa che l’esame ultimo verte sull’amore, sulla concretezza della vita, a partire dai suoi gesti più semplici, ordinari. Non gesti eroici, quindi, non gesti estranei alla vita di tutti i giorni e neppure gesti eclatanti. Ma la cosa bella che emerge dal Vangelo, è che Gesù non solo è il Dio con noi fino alla fine del mondo, ma arriva ad essere il Dio in noi, a cominciare dai più piccoli: arriva a identificarsi in quanti sono nel bisogno, con ogni piccolo del vangelo, con ogni perseguitato. Ogni gesto d’amore, quindi, è un gesto fatto “con Gesù”, perché in sua compagnia; “come Gesù”, perché lo si è imparato dal vangelo; ma pure “a Gesù”, perché ogni volta che si è fatto un gesto d’amore lo si è fatto “a Lui”.

L’Amore nel quotidiano
Una cosa sorprende: nei “sei” gesti ricordati da Gesù, che saranno proclamati nel Vangelo di questa domenica, non c’è nessun gesto religioso o sacro, come lo intendiamo noi.
Paiono tutti gesti “laici”, fatti per strada, in casa, dove capita, dove c’è bisogno, ma in realtà “non c’è più nulla di pro-fanum, che stia davanti o fuori del tempio, perché tutta la realtà è il grande tempio di Dio: nulla è profano e tutto è “sacro”, perché tutto è in funzione di Gesù” (L. Giussani).
Questo è il culto bello reso a Dio. In fondo, se il culto dell’altare non è preceduto e accompagnato dal culto dell’amore verso il prossimo vale ben poco.

Giornata per il Seminario

La domenica che conclude l’anno liturgico, solennità di “Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo”, vede due motivi di preghiera: la Giornata del Seminario Diocesano e la Giornata Mondiale della Gioventù. Pregare per il nostro Seminario significa presentare a Dio i giovani della diocesi che sono in cammino di formazione verso il presbiterato e anche ricordare i giovani che stanno vivendo il percorso di discernimento vocazionale.

Santo del mese: Santa Francesca Cabrini

LA CASA DELLA PROVVIDENZA: Il vescovo Domenico Maria Gelmini consigliò alla Tondini di dare un’impronta religiosa all’istituto, ma la fioca vocazione delle fondatrici non lo permise. Le due donne continuarono a condurre l’amministrazione dell’orfanotrofio in modo inadeguato tanto che il consulente
ecclesiastico, padre Giulini, decise di sistemare la situazione chiamando Francesca. Egli, essendo anche cappellano delle Figlie del Sacro Cuore, conosceva bene la Cabrini, la sua rettitudine morale e la sua profondità religiosa. Chiese quindi aiuto a don Serrati per convincere Francesca ad accettare l’incarico; su consiglio di don Bassano Dedè, parroco di Sant’Angelo e suo direttore spirituale al quale rimase sempre profondamente legata, ella entrò nella Casa della Provvidenza il 13 agosto 1874. Visse per sei anni nella Casa della provvidenza e per lei questo fu un periodo di grande tribolazione per l’ostilità della Tondini e della Calza. Qui Francesca ricevette l’abito religioso.
Più tardi, pur conservando il suo nome, aggiunse quello di Saverio, in ricordo del grande missionario e
patrono delle missioni. La profonda convinzione di diventare una missionaria rimase intatta nel suo cuore senza essere minimamente attaccata dalle molteplici delusioni che Francesca provò nel corso di quei sei anni trascorsi nella Casa.
FONDAZIONE DELLE MISSIONARIE DEL SACRO CUORE DI GESU’, 1880
Il vescovo Gelmini, giunto ormai alla convinzione che la Casa della Provvidenza non sarebbe mai potuta diventare un’istituzione religiosa, nel 1880, indicò il giusto cammino a suor Francesca Cabrini con queste parole: “desideri farti missionaria; ora il tempo è maturo”. Con il prezioso aiuto di padre Veneroni, le suore si installarono in un antico convento francescano abbandonato: in questo luogo così spoglio, testimone delle guerre napoleoniche, nacque l’istituto delle Salesiane Missionarie del Sacro Cuore. La nascita di questa istituzione ricorda molto da vicino l’aspetto fragile della santa e la sua determinazione: la piccola Comunità nacque senza una regola di vita religiosa prestabilita e senza mezzi economici, ma destinata a diventare di estrema importanza per gli emigranti e i bisognosi. Con l’aiuto di religiosi, sacerdoti e amici il convento fu arredato e preparata una cappella con il Santissimo che fu dedicata al Sacro Cuore di Gesù.
Il 14 novembre 1880, mons. Serrati celebrò la prima messa in questa cappella. La Fondatrice aveva allora solo trent’anni, ma la sua formazione religiosa e spirituale era di grande maturità e solidità.
L’APPROVAZIONE PONTIFICIA: A Francesca fu affidato il compito della cura e dell’educazione delle sue religiose e, nello stilare le Regole, si lasciò guidare dallo spirito di Gesù; l’approvazione diocesana avvenne nel 1881 da parte del vescovo Gelmini e le suore riconosciute come Salesiane Missionarie del Sacro Cuore di Gesù. La Regola che Madre Cabrini stilò aveva come principi l’obbedienza, la mortificazione, la rinuncia, la vigilanza del cuore, il silenzio interiore. Il 12 marzo 1888 Madre Cabrini ricevette l’approvazione pontificia e con questo decreto nella borsa, tornò di volata a Codogno.
Da questo momento l’attività apostolica e missionaria assunse un ritmo vertiginoso.
LA MISSIONE: A Roma conobbe mons. Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza, che si occupava dei gravi problemi che assillavano le “schiere” dei nostri connazionali all’estero; tra il 1876 e il1914 furono 18 milioni gli italiani che emigrarono prima verso le nazioni europee e poi verso le Americhe. La Chiesa preoccupata per le vaste proporzioni che stava assumendo questo fenomeno con un Breve Apostolico del 25 novembre 1887 del papa Leone XIII, incoraggiò e approvò la presenza dei missionari tra gli emigranti italiani nel mondo. Madre Cabrini si incontrò più volte con il vescovo di Piacenza, ma furono le parole del Papa Leono XIII “non all’Oriente ma all’Occidente” a portarla a varcare più volte l’oceano Atlantico. Il 19 marzo 1889 nel convento di Codogno, Madre Francesca Saverio quasi quarantenne e altre sei religiose ricevettero da mons. Scalabrini la Croce di Missionarie. Quattro giorni dopo, il 23 marzo, salparono dal porto francese di Le Havre col piroscafo Bourgogne verso New York, ove sbarcarono il 31 tra la pioggia e il fango. Cominciò così la sua vita missionaria spesa in soccorso degli emigranti vinti, maltrattati, linciati, malvisti dalle classi lavoratrici per le loro attività a buon mercato e sopraffatti dalla miseria e dall’analfabetismo. “Noi non siamo nulla ma con Dio possiamo tutto”. Con questa fede illimitata Madre Cabrini costruirà in 28 anni di missione, scuole, orfanotrofi, ospedali, chiese, oratori, sanatori…

Giornata mondiale dei poveri (2)

Papa Francesco ha scelto per la VII Giornata Mondiale dei Poveri un testo: «Non distogliere lo sguardo dal povero». L’espressione è presa dal libro di Tobia che contiene un insegnamento di grande attualità.
Si tratta del testamento spirituale che un padre lascia al proprio figlio, trasmettendo in esso i suoi più importanti insegnamenti, quelli che non possono essere dimenticati. Tra questi c’è la particolare attenzione verso i poveri, un’attenzione che tocca ogni singola persona. Infatti, Tobia dice espressamente: «Non distogliere lo sguardo da ogni povero». La Giornata Mondiale deve rappresentare una permanente provocazione per la comunità a essere attente e accoglienti verso quanti si trovano in più bisogno e difficoltà. «Ognuno è nostro prossimo. Non importa il colore della pelle, la condizione sociale, la provenienza. Se sono povero, posso riconoscere chi è veramente il fratello che ha bisogno di me. Siamo chiamati a incontrare ogni povero e ogni tipo di povertà, scuotendo da noi l’indifferenza e l’ovvietà con le quali facciamo scudo a un illusorio benessere». Il Papa sottolinea che i poveri non sono un numero di statistica, sono delle persone che innanzitutto desiderano la nostra vicinanza e il senso di umanità. La Giornata Mondiale dei Poveri, dunque, non si ferma a un gesto sporadico di generosità, ma ci invita ancora a lasciare che la nostra coscienza sia interpellata.
Siamo provocati a uscire dall’individualismo, che rinchiude in sé stessi, per comprendere le profonde esigenze del fratello accanto a me, alla luce della presenza di Dio. Nel Messaggio si focalizzano alcune categorie di “poveri” a cui spesso non si pone attenzione. Il Papa riporta alla mente la strumentalizzazione dell’aumento dei prezzi dei beni di consumo necessari per la vita quotidiana, che influisce negativamente sulle famiglie portando spesso a dover compiere delle scelte drammatiche. Emerge da qui anche l’attenzione particolare al mondo del lavoro così spesso trascurato mentre esige sempre più il richiamo alla giustizia e a legislazioni coerenti ed efficaci.

Giornata mondiale dei poveri (1)

«Viviamo un momento storico che non favorisce l’attenzione verso i più poveri. Il volume del richiamo al
benessere si alza sempre di più, mentre si mette il silenziatore alle voci di chi vive nella povertà. 
I poveri diventano immagini che possono commuovere per qualche istante, ma quando si incontrano in carne e ossa per la strada allora subentrano il fastidio e l’emarginazione. La fretta, quotidiana compagna di vita, impedisce di fermarsi, di soccorrere e prendersi cura dell’altro». L’attenzione al povero, a chi vive qualsiasi forma di povertà, è il nucleo del Vangelo e la prova dell’autenticità della nostra fede.
Scommettiamo sul mistero che ci ha rivelato Gesù: la Sua presenza in ogni povero.
E lasciamoci provocare dalla Sua Parola: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Entrare in relazione col povero è un’esperienza mistica, è accostarsi al Dio Vivente capovolgere il nostro modo di guardare alla vita, scuotendo da noi l’indifferenza. Lasciamoci provocare dalla semplicità – e, al contempo, profondità – di questa proposta, e chiediamo insieme allo Spirito che risvegli in noi il desiderio di rispondere alla Sua chiamata ad amare ognuno, senza distinzioni.
E chiediamo nuova passione e creatività per dare risposte concrete al grido dei poveri che sale incessante.

Santo del mese: Santa Francesca Cabrini

LA NASCITA

Francesca Cabrini, decima di undici figli, nacque a Sant’Angelo Lodigiano, il 15 luglio 1850 da Agostino e Stella Oldini.Il padre era noto in paese come il cristianone; con la moglie si dedicava all’educazione dei figli e alle cure della famiglia, organizzando la sua vita tra i suoi doveri di cristiano e di capo famiglia. Francesca crebbe quindi in un clima familiare molto religioso, nel quale la preghiera e la S. Messa occupavano un posto fondamentale nella vita quotidiana. La vita della famiglia Cabrini fu segnata da tanti lutti e dolori: infatti degli undici figli solo quattro raggiungeranno l’età adulta, gli altri moriranno in tenera età. Si racconta che quando Francesca nacque, un volo di colombe si posò sull’aia della casa dove stava essiccando il grano e il papà Agostino cercò di allontanarle.
Una però rimase impigliata con una zampetta nella frusta e in quel momento venne da una finestra del piano superiore il lieto annuncio: “è una bambina”. Essendo nata prematura, Francesca fu subito battezzata nello stesso Fonte Battesimale che si trova ancora oggi nella Basilica di Sant’Angelo, poiché si temeva della sua sopravvivenza; fu infatti sempre gracile di costituzione, ma forte di carattere.

L’INFANZIA:

Fin dai primi anni di vita Francesca ebbe la sorella Rosa come educatrice e maestra, con lei compì il ciclo dell’istruzione primaria, a lei rendeva conto del suo operato, da lei riceveva direttive e sollecitazioni. Nell’andamento di una vita familiare intensa, anche la Cecchina, come la chiamavano familiarmente, con i fratelli seguiva i genitori nelle grandi manifestazioni della religiosità popolare: il catechismo, le processioni, la preparazione e la celebrazione delle feste patronali tra cui quelle tenute in gran conto dai paesani: quella del Sacro Cuore di Gesù, della Madonna, di Sant’Antonio.
Si lasciava attrarre in quei tempi dalle relazioni dei missionari che si leggevano la sera in famiglia, sulle pagine degli Annali della Propagazione della fede; ne era indotta a riflettere e spesso, durante la lettura “si faceva pensosa al racconto di tanti eroismi compiuti anche a costo della vita, per diffondere la conoscenza e l’amore di Dio”.
Evidentemente sorgeva in lei, lenta ma salda la vocazione all’apostolato nelle missioni.

L’ADOLESCENZA:

Francesca, seguendo anche in questo l’esempio della sorella Rosa, si iscrisse alla scuola Normale di Arluno, diretta dalle Figlie del Sacro Cuore. Ad Arluno, paese situato nei dintorni di Milano, Francesca trascorse quasi cinque anni fino al 1868 quando conseguì il diploma di maestra elementare con abilitazione all’insegnamento. In collegio conobbe da vicino la vita della Beata Teresa Eustochio Verzeri fondatrice delle Figlie del Sacro Cuore ed fu ammessa alla lettura dei suoi scritti e all’esperienza della vita religiosa; la giovane Francesca sognava e pregustava la gioia di poter condividere per sempre la vita delle sue educatrici, ma altre erano le vie del Signore a suo riguardo. Appena ottenne il diploma, Francesca lasciò Arluno e tornò a Sant’Angelo, dove iniziò un’intensa vita di apostolato; a Vidardo compì la sua prima esperienza di insegnamento elementare.
Qui ebbe modo di farsi amare ed apprezzare anche se la sua decisione di insegnare catechismo sui banchi della scuola, le provocò qualche fastidio ma la sua fermezza d’animo, la sua emancipazione e la sua ferrea volontà di non permettere mai ad alcuno di interferire con i suoi progetti apostolici ed educativi riuscirono a farle superare ogni ostacolo politico, culturale o economico. Proprio a Vidardo conobbe don Antonio Serrati, il futuro parroco di Codogno, che darà una svolta alla vita di Francesca.

LA MATURITÀ:

Nel 1870 Francesca raggiunse la piena maturità a causa di un avvenimento tragico: la morte dei suoi cari genitori. Il padre, Agostino si spense a febbraio e Stella, la mamma lo seguì nel mese di dicembre. Nel 1872 scoppiò una terribile epidemia di vaiolo e Francesca si prodigò con tanto amore e generosità per quanti caddero ammalati, tanto che lei stessa ne fu colpita. Francesca guarì completamente senza che la malattia le lasciasse tracce indelebili, anzi riprese il lavoro con più zelo di prima. Queste dolorose esperienze accentuarono il desiderio, sempre presente nel suo giovane cuore, di consacrarsi interamente a Dio. La Provvidenza nel 1873 le fece abbandonare Vidardo e il suo paese natale e la condusse a Codogno dove, quindici anni prima dell’arrivo di Francesca, il parroco aveva concesso il suo assenso alla fondazione di un’ istituzione caritativa per l’accoglienza di bambine orfane, nell’edificio messo a disposizione dalla proprietaria della casa, la signora Antonia Tondini con l’assistenza di Mari Teresa Calza.

Giornata Nazionale del Ringraziamento

“L’insegnamento biblico suggerisce il principio della fraternità quale paradigma capace di illuminare ogni attività umana, agricoltura compresa: il mandato di coltivare e custodire la terra (Gn 2,15) coinvolge l’umanità a livello personale, familiare e in ogni forma di collaborazione con gli altri”. Lo ricorda la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei, nel messaggio, intitolato “Lo stile cooperativo per lo sviluppo dell’agricoltura”, per la 73ª Giornata nazionale del ringraziamento, che si celebra il 12 novembre 2023.
Nell’enciclica “Fratelli tutti”, ricordano i vescovi, “Papa Francesco non solo rilegge la parabola del Buon Samaritano per aiutarci a riscoprire il senso dell’essere fratelli, ma muove dalla domanda rivolta a Caino ‘Dov’è Abele, tuo fratello?’ (Gn 4,9) per aiutarci a ‘raccogliere uno sfondo di secoli’ in cui la Parola ci invita alla fraternità e ci abilita ‘a creare una cultura diversa, che orienti a superare le inimicizie e a prenderci cura gli uni degli altri’ (Fratelli tutti, n. 57)”.
Anche nell’esperienza del lavoro “siamo chiamati a creare quello stile che non ci fa sentire concorrenti, ma fratelli, così come ad esempio ha fatto san Paolo con Aquila e Priscilla: erano fabbricanti di tende, uniti dalla stessa fede, e a Corinto vanno a stare nella stessa abitazione, ottimizzando certamente anche la loro attività (cf At 18, 1-4)”, evidenziano i vescovi.
Per la Cei, “lo stile cooperativo propone un modello d’impresa nel quale la comunità è un bene per tutti, così come suggerisce la Dottrina sociale della Chiesa”: “I componenti dell’impresa devono essere consapevoli che la comunità nella quale operano rappresenta un bene per tutti e non una struttura che permette di soddisfare esclusivamente gli interessi personali di qualcuno.
Solo tale consapevolezza permette di giungere alla costruzione di un’economia veramente al servizio dell’uomo e di elaborare un progetto di reale cooperazione tra le parti sociali.
Un esempio molto importante e significativo nella direzione indicata proviene dall’attività che può riferirsi alle imprese cooperative, alle piccole e medie imprese, alle aziende artigianali e a quelle agricole a dimensione familiare.
La dottrina sociale ha sottolineato il contributo che esse offrono alla valorizzazione del lavoro, alla crescita del senso di responsabilità personale e sociale, alla vita democratica, ai valori umani utili al progresso del mercato e della società (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, n. 339)”.