Gesù è nostro fratello nel pellegrinaggio terreno. Il male esiste, ed esiste il Maligno.
Né il male né il Maligno appaiono brutti, sporchi e cattivi, anzi. Comunque attenzione a non illudersi: la vita è lotta. La tentazione è insidia e minaccia; è prova e verifica. Le tentazioni non si evitano, non si possono evitare; le tentazioni si attraversano. Sì, anche Gesù viene tentato. Sono tentazioni dette “messianiche”: cioè riguardano la sua missione, che sta per iniziare. In esse sono, però, adombrate anche
le nostre tentazioni: sono le lusinghe, i richiami, le proposte della logica di questo mondo.
Gesù entra nel silenzio misterioso del deserto, in dialogo con il Padre, per scegliere: quale Messia? Quale ministero? Quale progetto? Quale vita? Il deserto è il luogo della compagnia del Signore, ma diviene anche il crogiolo della prova e della tentazione, come era stato per il popolo ebraico.
Il demonio arriva. È più suadente e affascinante di tutte le rappresentazioni grottesche che ne abbiamo fatto. Non è brutto il diavolo: è attraente, e – in ogni caso – non si mostra per quello che è: appare sensibile al nostro benessere, alla nostra auto-realizzazione, alla nostra soddisfazione. La sua proposta è ragionevole. Vuoi essere il Messia? Devi essere un mago, un mago che accontenta i desideri, che trasforma le pietre in pane. Vuoi avere successo come Messia? Allora devi essere un vip, un arrampicatore, un duro, un vincente. Devi comandare. Vuoi proprio avere riuscita come Messia? Devi essere un attore, un grande attore che stupisce e seduce con l’immagine e l’apparenza. Gesù respinge le tentazioni: sarà il Messia-servo di Dio, che si dona per amore. Fino a dare la vita. Gesù non è un mago, non è un attore o un divo. Si farà vicino alle persone senza pretese, nel segno della prossimità e del servizio, con semplicità, come Buon samaritano e Buon pastore. Essere suoi discepoli significa accettare la logica del granello di senape, del dono gratuito, della seminagione generosa. Senza pretese di successo o di conquista. La vita cristiana si ritrova in una condizione di minorità sociale e culturale. La storia ci sta parlando e con i suoi soliti metodi sbrigativi ci tira per i capelli verso compiti ancora da decifrare. In questa situazione serpeggia la propensione a disperare della forza dell’annuncio evangelico, come se la fine della cristianità significasse la fine del Vangelo. Più Vangelo, a cominciare da noi stessi, meno rimpianti.