I tre momenti del Corpus Domini

Messa solenne ore 20.45

Compiremo il primo atto: quello di radunarci alla presenza del Signore.
In questo gesto si sente la verità e la forza della rivoluzione cristiana, la rivoluzione più profonda della nostra comunità parrocchiale, che si sperimenta proprio intorno all’Eucaristia: ci raduniamo, nel rispetto di tutte le nostre diversità, alla presenza del Signore. L’Eucaristia non può mai essere un fatto privato, riservato a persone che si sono scelte per affinità o amicizia.
L’Eucaristia è un culto pubblico, che non ha nulla di esoterico, di esclusivo. Anche a questo appuntamento non sceglieremo noi con chi incontrarci. Ci saremo e ci ritroveremo gli uni accanto agli altri, accomunati dalla fede e chiamati a diventare un unico corpo condividendo l’unico Pane che è Cristo. Ci apriremo gli uni agli altri per diventare una cosa sola a partire da Lui.
Pertanto, il Corpus Domini ci ricorda anzitutto questo: che essere cristiani vuol dire radunarsi per stare alla presenza dell’unico Signore e diventare in Lui una sola cosa.

Processione

Il secondo aspetto costitutivo è il camminare con il Signore. È la realtà manifestata dalla processione, che vivremo insieme dopo la Santa Messa, quasi come un suo naturale prolungamento, muovendoci dietro Colui che è la Via, il Cammino.
Con il dono di Se stesso nell’Eucaristia, il Signore Gesù ci libera dalle nostre “paralisi”, ci fa rialzare e ci fa “pro-cedere”, ci fa fare cioè un passo avanti, e poi un altro passo, e così ci mette in cammino, con la forza di questo Pane della vita. Come accadde al profeta Elia, che si era rifugiato nel deserto per paura dei suoi nemici, e aveva deciso di lasciarsi morire. Ma Dio lo svegliò dal sonno e gli fece trovare lì accanto una focaccia appena cotta: “Alzati e mangia – gli disse – perché troppo lungo per te è il cammino”. Percorreremo le vie: Garibaldi, Cremona, Galilei, Enrico Fermi, Marconi, Garibaldi e conclusione in Chiesa
Cammineremo pregando, accompagnati dalla Banda di Maleo e dalla presenza dei Comunicandi (con l’abito della Prima Comunione).

Benedizione

Troviamo il senso del terzo elemento costitutivo del Corpus Domini: inginocchiarsi in adorazione di fronte al Signore. Adorare il Dio di Gesù Cristo, fattosi pane spezzato per amore, è il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi. Inginocchiarsi davanti all’Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte.
Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento, perché in esso sappiamo e crediamo essere presente l’unico vero Dio, che ha creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito. Ci prostriamo dinanzi a un Dio che per primo si è chinato verso l’uomo, come Buon Samaritano, per soccorrerlo e ridargli vita, e si è inginocchiato davanti a noi per lavare i nostri piedi sporchi. Adorare il Corpo di Cristo vuol dire credere che lì, in quel pezzo di pane, c’è realmente Cristo, che dà vero senso alla vita, all’immenso universo come alla più piccola creatura, all’intera storia umana come alla più breve esistenza. L’adorazione è preghiera che prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui l’anima continua a nutrirsi: si nutre di amore, di verità, di pace; si nutre di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non ci schiaccia, ma ci libera e ci trasforma.

Corpus Domini

Dopo il tempo forte dell’anno liturgico, che incentrandosi sulla Pasqua si distende nell’arco di tre mesi – prima i quaranta giorni della Quaresima, poi i cinquanta giorni del Tempo pasquale –, la liturgia ci fa celebrare tre feste che hanno invece un carattere “sintetico”: la Santissima Trinità, quindi il Corpus Domini, e infine il Sacro Cuore di Gesù.
Qual è il significato proprio della solennità che celebreremo Giovedì 30 maggio, del Corpo e Sangue di Cristo? Ce lo dice la celebrazione stessa che vivremo insieme come comunità cristiana, nello svolgimento dei suoi gesti fondamentali: prima di tutto ci raduneremo intorno all’altare del Signore, per stare insieme alla sua presenza; in secondo luogo ci sarà la processione, cioè il camminare con il Signore; e infine l’inginocchiarsi davanti al Signore, l’adorazione, che inizia già nella Messa e accompagna tutta la processione, ma culmina nel momento finale della benedizione eucaristica, quando tutti ci prostreremo davanti a Colui che si è chinato fino a noi e ha dato la vita per noi.
Soffermiamoci brevemente su questi tre atteggiamenti, perché siano veramente espressione della nostra fede e della nostra vita.

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Ss. Trinità (2)

Dio è un dono, non di cose, ma di persone; Dio dona se stesso ed è entrato nel mondo per amore e ha creato il mondo per amore. Gli scienziati hanno introdotto il concetto di big bang: una grande esplosione iniziale che ha dato inizio al cosmo intero. Noi possiamo dire che quel big bang iniziale fu l’amore di Dio. La Trinità esiste da sempre: il Padre, il Figlio e lo Spirito sono una comunità eterna, perfetta, piena, realizzata in sé: non hanno bisogno di nulla e di nessuno … ma l’amore vero è diffusivo di se stesso e l’amore divino è esploso nella creazione dell’universo. In tutto quello che noi possiamo osservare nel creato, in tutto l’ordine cosmico c’è l’amore di Dio Trinità. Tutto è stato fatto per amore, e viene retto dall’amore di Dio. Dio non ha avviato la macchina del mondo per lasciarla a sé, ma vi è entrato dentro, coinvolgendosi con l’umanità.
Ma chi glielo ha fatto fare di mettersi in una storia del genere con gente come noi? L’amore.

Ss. Trinità (1)

Con la Pentecoste si è concluso il tempo pasquale.
I discepoli sono stati scaraventati fuori dal Cenacolo dallo Spirito Santo e in questa fuoriuscita si è ripreso il tempo ordinario.
La quotidianità dei discepoli ma anche di ciascuno di noi.
Eppure in queste domeniche successive a quella di Pentecoste, faremo delle soste significative e la prima fra tutte è questa domenica in cui ricordiamo la Santissima Trinità. Dovremmo dire, anche se forse magari non siamo molto delicati, che chi ci capisce è bravo. Spiegare la Trinità è qualcosa quasi di impossibile. Esattamente come quando uno ama qualcun altro: tu puoi spiegare all’infinito che cos’è l’amore, ma se lo vivi lo si capisce, lo capisci da dentro. E la stessa cosa è valida per Dio. Possiamo sprecare fiumi di parole, fiumi di inchiostro, fiumi di libri per spiegare che cosa sia la Trinità, ma di Dio si capisce qualcosa soltanto quando lo si sperimenta dentro la propria vita. Eppure c’è una verità che rimane come una stella polare per ciascuna di noi. La verità è che Dio non è un infinita solitudine ma è un’infinita compagnia. Per noi che pensiamo che essere felici significa bastare a se stessi, dire che Dio è Trinità significa dire che Dio pur essendo l’essere più grande, più infinito, più onnipotente che riempie tutto l’universo, trova la sua pienezza nella relazione: è Padre, Figlio e Spirito Santo. Allora ogni qualvolta che noi vogliamo puntare in alto, vogliamo puntare alla perfezione, vogliamo puntare alla felicità non possiamo mai farlo senza l’altro, non possiamo mai escludere gli altri dalle categorie della nostra gioia, della nostra realizzazione.
Ogni qualvolta tagliamo i rapporti intorno a noi, pensando che bastare a se stessi ci rende felice, semplicemente ci stiamo proteggendo, perché abbiamo paura di soffrire, abbiamo paura di metterci in gioco o semplicemente perché siamo pigri.
Dio Trinità ci spinge invece a prendere sul serio i rapporti perché se qualcosa la vogliamo capire di Dio questo lo capiamo soltanto nell’amore e l’amore è sempre qualcosa che ci mette in relazione con qualcun altro. Soltanto così allora capiremo questo mistero insondabile di una Trinità che ci ha fatto a sua immagine e somiglianza. Soltanto così, come dice il Vangelo, lo Spirito Santo man mano ci prenderà per mano e ci porterà attraverso questi sentieri relazionali perché proprio quando lasciamo la solitudine dell’io e andiamo incontro al tu, lì forse intuiamo qualcosa di Dio.

S. Rita: la santa degli impossibili

È considerata la santa degli impossibili perché si ricorre alla sua intercessione nei casi che sembrano disperati.
Il 22 maggio ricorre la memoria liturgia di S. Rita da Cascia, «donna, sposa, madre, vedova e monaca» – ha ricordato il Papa – e insieme modello di vita più che mai valido anche oggi.
«Le donne di oggi – ha auspicato papa Francesco –, sul suo esempio, possano manifestare il medesimo entusiasmo di vita e, al contempo, essere capaci dello stesso amore che ella riservò a tutti incondizionatamente».
Nata a Roccaporena nel 1381, figlia unica, Margherita Lotti coltivava fin da giovane il sogno di consacrarsi a Dio, ma fu destinata al matrimonio con un uomo violento. La pazienza e l’amore di Rita lo cambiò, ma alla fine la sua vita fu spezzata nella violenza. Morti anche i due figli di malattia, Rita, che convinse la famiglia del marito a non vendicarsi, decise di seguire il desiderio giovanile entrando nel monastero dell’Ordine di Sant’Agostino a Cascia. Morì nel 1447 o forse nel 1457.
Tradizionalmente la figura di santa Rita è collegata al dono di una rosa. Particolare che si spiega con un episodio della sua vita, quando ormai prossima alla morte era costretta a letto e si nutriva pochissimo. Ricevendo la visita di una parente le chiese una rosa dall’orto. La visitatrice obiettò che si era in pieno inverno ma Rita insistette. Così rientrata a casa la parente, con grande stupore, trovò una bella rosa che colse portandola alla santa la quale la consegnò alle consorelle.

La Chiesa come Maria è un grembo in cui rinasce una vita nuova

Sotto la Croce Maria diventa madre di tutti i credenti. La sua premura è ricordarci che siamo stati amati a caro prezzo, destinati alla vita eterna.
È davvero significativo che si sia voluta la festa di Maria Madre della Chiesa proprio il giorno dopo la Pentecoste, quasi a ricordare a ognuno di noi che la Chiesa nasce grazie allo Spirito e non per pianificazione umana. Ma la pagina del Vangelo di Giovanni (Cristo morente in croce, con Maria e Giovanni ai piedi) che ce ne spiega il senso è una intensa descrizione degli ultimi istanti di vita di Gesù. È infatti quello il momento in cui viene seminato il seme della Chiesa che germoglierà poi il giorno di Pentecoste.
Tre cose colpiscono di questo racconto: l’allargamento della vocazione di Maria che sotto la Croce diventa Madre di tutti i credenti e non solo di Gesù. L’intensa sete di Cristo che rimane come sospesa per tutta l’estensione della storia. E il fianco squarciato da cui viene fuori sangue ed acqua. La Chiesa infatti come Maria è un grembo dentro cui può rinascere una vita nuova.
Chi entra nella Chiesa lo fa attraverso le acque del battesimo, e la vita che ne scaturisce non è più solo vita biologica, ma vita eterna che misteriosamente sgorga dentro di noi.
La vita spirituale infatti è la vita eterna che ci attraversa. 
La seconda caratteristica della Chiesa è prendere sul serio la sete di Cristo che è sete che si prolunga nei bisogni concreti dei fratelli e delle sorelle, che è sete di Gesù nell’essere riamato, che è sete di corrispondenza. La fede cristiana non è la sola azione di Dio ma la reciproca azione di due libertà che si incontrano: la mia e quella di Dio.
La terza caratteristica della Chiesa sono i sacramenti che sgorgando dal fianco di Cristo ci ricordano il prezzo dell’amore. Siamo amati a caro prezzo, cioè siamo preziosi ai Suoi occhi e vivere la vita dei sacramenti significa fare esperienza di questo amore prezioso.

La memoria della Beata Maria Vergine Madre della Chiesa ci ricorda come la maternità divina di Maria si estenda, per volontà di Gesù stesso, a maternità per tutti gli uomini e cioè per la Chiesa stessa in atto di affidamento.
Papa Francesco, nel 2018, ha fissato questa memoria il lunedì dopo la solennità della Pentecoste, giorno in cui nasce la Chiesa. Un titolo che non è nuovo.
Già san Giovanni Paolo II, nel 1980, invitò a venerare Maria come Madre della Chiesa; e ancor prima Paolo VI, il 21 novembre 1964, a conclusione della terza Sessione del Concilio Vaticano II, dichiarerà la Vergine “Madre della Chiesa”. E nel 1975, la Santa Sede propose una Messa votiva in onore della Madre della Chiesa, ma non entrò nella memoria del Calendario liturgico.
Accanto a queste date recenti, non possiamo dimenticare quanto il titolo di Maria Madre della Chiesa sia presente nella sensibilità di sant’Agostino e di san Leone Magno; di Benedetto XV e Leone XIII, fino quindi a papa Francesco quando, l’11 febbraio 2018, 160° anniversario della prima apparizione della Vergine a Lourdes, dispone di rendere obbligatoria questa memoria.

Cresima

Cari ragazzi e ragazze, il giorno della Cresima si sta avvicinando.
Voglio condividere con voi questo avvenimento.
Leggendo il Vangelo mi vengono alla mente due episodi narratici dall’evangelista Marco in cui Gesù vi tratta con grande predilezione e riguardo. Una volta ha rimproverato gli Apostoli che volevano allontanarvi da Lui: «Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i ragazzi vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio.»
Sempre Marco racconta di un papà che gli chiede aiuto per la sua bambina che stava molto male: «E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. Andò con lui.» Gesù prese la ragazza per mano, la rimette in piedi e la ridona alla sua famiglia, perché la faccia crescere bene e possa essere felice.
Questi gesti di Gesù, che l’evangelista racconta, indicano la Sua vicinanza, la Sua cura, il Suo interesse, la Sua tenerezza, il Suo amore per tutti voi ragazzi. Siete stati e continuate ad essere i suoi prediletti!
Vi vuole vicini, vi vuole accarezzare e benedire! Ancora oggi, Gesù continua a guardare voi ragazzi con occhi amorevoli e con grande attenzione, attraverso i vostri genitori, i nonni, gli insegnanti, le catechiste, gli educatori e tutti coloro che vi stanno accanto con amore. La Comunità Parrocchiale è stata voluta da Gesù per mostrarvi tutto il suo amore e per donarvi il suo aiuto. La Parrocchia continua, nel nome di Gesù, ad accogliervi, a prendersi cura di voi, a starvi vicini, a volervi bene, a sostenervi con la catechesi, l’oratorio, la preghiera e con i Sacramenti. Attraverso il dono dello Spirito e l’azione educativa, Gesù desidera vedervi crescere bene, felici e realizzati. Questo è il suo desiderio su di voi! Cari ragazzi, ricordatevi sempre di quello che Gesù ha detto ai suoi amici, prima di subìre il tradimento e la passione: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me… E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi.» Gesù mantiene le sue promesse, è vero, siatene certi, non ci lascia mai soli! Attraverso lo Spirito che riceviamo nei sacramenti della Iniziazione Cristiana e attraverso l’accoglienza materna della Comunità Parrocchiale, continua a esserci vicino e a indicarci la strada che dobbiamo percorrere per costruirci la nostra felicità. Lo Spirito Santo è il respiro di Gesù Risorto, è l’aria con cui viviamo, è l’energia che ci permette di vivere come Gesù: educa al pensiero di Cristo, a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione. Lo Spirito Santo è davvero il grande regalo di Pasqua, il tesoro che ci viene consegnato.
È il “capitale d’amore” su cui possiamo investire per fare della nostra vita un capolavoro d’amore.
Cari ragazzi questa è la “Bella Notizia” che ho voluto darvi prima che riceviate la Cresima, con l’augurio
di continuare a vivere da amici di Gesù.

Pentecoste

Sono passati 50 giorni dalla risurrezione di Gesù e questo è il giorno della Pentecoste. Che cos’è la Pentecoste? La Pentecoste è come il giorno del parto cioè il giorno in cui un bambino che per nove mesi è stato nel grembo di una madre a un certo punto viene fuori e tu lo vedi, lo vedi in faccia. Guardi: i suoi occhi non sono più fantasia, non è più immaginazione, è qualcosa che puoi toccare con le tue mani, abbracciare. Qualcuno che puoi baciare. La stessa cosa è la Pentecoste.
La vita spirituale, la vita di fede, è qualcosa che fermenta dentro ciascuno di noi ma poi arriva il giorno in cui da dentro viene fuori, esattamente come un bambino da dentro il grembo della madre, a un certo punto arriva nella storia, arriva in questo mondo. Senza Pentecoste cioè senza questa fuoriuscita dall’intimità, dai grembi della nostra vita spirituale allora non si dà cristianesimo e la Pentecoste è esattamente un venir fuori da cenacoli, un venir fuori dall’intimismo, un mettere fuori una vita che il Signore ha suscitato innanzitutto dentro ciascuno di noi.
Lo Spirito Santo ha questo ruolo fondamentale: è qualcosa che da realismo alla nostra vita.
Se fino al giorno prima ci siamo dovuti immaginare la vita, ci siamo dovuti immaginare il volto di Dio, magari ci è nato anche il dubbio che forse ci eravamo inventati tutto, lo Spirito Santo a un certo punto da concretezza a tutto questo perché ti fa toccare con mano, ti fa sperimentare, ti porta dentro la realtà. Senza questo Spirito Santo dobbiamo accontentarci dell’immaginazione. Senza lo Spirito Santo rimaniamo sempre chiusi dentro l’intimismo. Senza lo Spirito Santo la fede è semplicemente nel recinto delle chiese. Senza lo Spirito Santo il nostro credere è semplicemente qualcosa che possiamo consumare da soli. Grazie allo Spirito Santo tutto diventa reale, tutto diventa concreto, tutto diventa visibile, tutto diventa palpabile, tutto diventa qualcosa che non possiamo più tener chiuso e nasce l’esigenza di condividere, di dirlo agli altri, di manifestarlo, di lasciare che questa vita diventi contaminazione per tutti quelli che sono intorno a noi.
Ecco, la Pentecoste è il giorno di questa espansione, di questa deflagrazione, di questo scoppio di una bomba di amore che a un certo punto non è vera solo per noi ma diventa vera fino agli estremi confini della terra passando esattamente attraverso di noi.
Possa questo giorno diventare un grande parto per ciascuno di noi, possa quel Signore risorto che abbiamo sperimentato dentro le nostre paure, dentro i nostri cuori, diventare qualcosa di così vero da poterlo annunciare agli altri, da poterlo raccontare agli altri, da farci capire agli altri.
Il bello è che nel giorno di Pentecoste si dice che tutti sentivano parlare gli apostoli nella propria lingua forse perché la lingua universale che tutti comprendono è l’amore. Quando uno ha questo amore che viene da Dio, è comprensibile a chiunque nonostante le distanze e le diversità.