Via Vai: antropologia del cammino

Il cammino e il pellegrinaggio anzitutto hanno il vantaggio di essere un’esperienza. Ora noi molto spesso, anche nei nostri percorsi proponiamo delle teorie, non delle esperienze. La teoria è una cosa buona quando è capace di interpretare un’esperienza: mi piace che il sapere faccia vivere, che sia capace di coltivare.
Noi dobbiamo coltivare un’intelligenza che non sia un’astrazione teorica, ma sia la capacità di dimorare meglio nell’esistenza. In questo senso, il cammino ha un vantaggio estremo che assume la concretezza della vita e assume, anche quando diventa pellegrinaggio, la concretezza di un’esperienza, di un metodo
di ricerca: il cammino, il pellegrinaggio è quella forma di ricerca che usa come metodo l’esperienza.
L’atteggiamento disincantato, e scettico e anche un po’ annoiato. Fatto tipico della ricerca meramente intellettuale è agli antipodi dello stupore dei pellegrini, atteggiamento che rivela un’apertura reale della persona ad accorgersi di ciò che accade. L’esperienza del cammino è così concreta e così importante nella vita dell’umanità, perché il salto evolutivo del genere umano diventato capace di elaborare logica e sentimento coincise con il raggiungimento della stazione eretta e della capacità di camminare con due gambe.
L’ominide era in se stesso, guardava la terra, l’homo sapiens guardava avanti a sé e sfruttava il cielo.
Perché l’esperienza è il metodo più coperto di ricerca e dunque il cammino e il pellegrinaggio sono un metodo certamente corretto di ricerca. L’esperienza è un metodo corretto di ricerca perché non esclude nulla di ciò che siamo, solo alla ricerca, tramite esperienza consente di rispettare l’unità della persona.
Devo cercare tutto intero, non solo intellettualmente. C’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato nell’idea che si possa giungere alla verità solo attraverso un percorso individuale e mentale.
Sarebbe corretta la ricerca intellettuale forse se fossimo sfere pulsanti di energia che volano nell’aria.
Siamo invece il mistero che siamo spiriti incarnati. Siamo persone. Questo richiede di partire anzitutto dal corpo e non possiamo non citare la dinamica dei sensi esteriori come promettente per la spiritualità di oggi.

Il tema del cammino è legato anche al tema del ripensare il tempo e quindi soprattutto al tema della lentezza. Oggi si parla tanto dell’ecologia nello spazio, ma forse è più urgente è l’ecologia del tempo che ci permette di uscire da quell’idea della fruizione vorace del tempo. Tornare a un tempo che sia umano, lento, capace di vivere l’istante. Noi viviamo nell’epoca del fast e del click. Il cammino porta un’altra esperienza del tempo: ad esempio qualcuno va quasi settimanalmente a Roma per delle riunioni, facendo 600 km in aereo in 45 minuti. E poi se si fa il cammino di Santiago ci si accorge che si fanno 5 km all’ora ed è un’esperienza di grande purificazione. C’è un rapporto molto vero tra la lentezza e il ricordo: la lentezza permette i processi di sedimentazione. Quando camminiamo, se camminiamo più veloci del nostro ritmo naturale non riusciamo a pensare, ognuno deve trovare proprio il suo ritmo. La velocità è legata quasi sempre all’oblio. Pensiamo anche allo spazio: cosa vuol dire per il pellegrino vivere uno spazio?
La riappropriazione dello spazio nel cammino avviene in modo paradossale, non attraverso il prenderne possesso, l’abitare è un’altra dinamica di stabilità nello spazio. Il cammino, invece, lascia la sicurezza dello spazio abituale che rischia di diventare una tana o un nido. La casa conferisce sicurezza, ma può anche in qualche modo limitare, pure inconsciamente e involontariamente, la nostra libertà. Per questo il pellegrino sceglie di abitare nello spazio, non attraverso la modalità della sedentarietà, ma secondo la più audace logica della mobilità. Ciò che lo muove non è anzitutto il prurito di sperimentare nuovi spazi, ma il desiderio di instaurare un rapporto nuovo, più libero e più umano con lo spazio. Per questo il pellegrino non cambia semplicemente luogo, ma più radicalmente cambia prospettiva, mediante la quale fa esperienza dei luoghi. C’è un’unica meta, ma ci sono molte vie. C’è un fascio di strade che va in una direzione, in una direttrice principale. La meta è unica, ma le strade possono essere molte.
E poi pensiamo alla dinamica dell’interiorità: a volte la tentazione del cammino è quella di fuggire.
Il cammino autentico, il pellegrinaggio prevede anche un ritorno.