La preghiera del povero sale fino a Dio

Uno degli aspetti meravigliosi del testo biblico – a conferma del suo essere Parola di Dio oltre che dell’uomo – sta nell’esprimere realtà ineffabili con parole semplicissime. È questo il caso di Siracide 21,5, che suona letteralmente: «la preghiera del povero (sale) dalla sua bocca agli orecchi di Lui». Una frase semplice, apparentemente scontata, ma densissima di significato, perché dice qualcosa di essenziale su Dio e sull’uomo, dando allo stesso tempo una chiave di lettura di tutta la storia della salvezza. Riprendendo un’espressione di von Balthasar, potremmo dire che la Parola ha la meravigliosa prerogativa di dire “il tutto nel frammento”, anzi “il tutto in ogni frammento”. Dove quel “tutto” è… Dio, l’uomo, il senso della sua vita e della storia intera.

La preghiera del povero sale fino a Dio: ad affermarlo è Joshua ben Sirach, scriba e saggio gerosolimitano del II secolo a.C., profondamente radicato nella Legge e nella tradizione d’Israele, ma al contempo desideroso di riattualizzare entrambe per la sua generazione. Nel far questo, egli ricorda ciò che lo Spirito chiede al credente d’ogni tempo: rileggere la Parola alla luce del presente, in una fedeltà che non è rigida ripetizione, ma creativa reincarnazione. Ciò che ben Sirach proclama non è mera teoria, ma “realtà” sperimentabile lungo tutta la storia della salvezza. In effetti il testo biblico registra innumerevoli casi in cui un uomo o l’intero popolo, in ristrettezze materiali o morali, si rivolge a Dio e viene puntualmente esaudito. Pensiamo ad Abramo, Mosè, Elia, Ester, a Israele in Egitto o a Babilonia e a tantissimi altri episodi. Le preghiere di poveri esaudite da Dio trapuntano e attraversano, come un filo rosso, tutta la Scrittura dalla prima all’ultima pagina.

La preghiera del povero sale fino a Dio proclama innanzitutto qualcosa di essenziale sul nostro Signore, raccontando la sua predilezione verso chi è nel bisogno. Il testo biblico proclama a più riprese che Egli ascolta le preghiere di tutti, ma soprattutto del “povero”. I salmi dichiarano che il Dio biblico sceglie di preferenza gli ultimi, essendo il suo ascolto sbilanciato verso il misero e l’infelice. Si tratta di una logica umanamente discutibile, che agli occhi di qualcuno potrebbe apparire discriminatoria o non “politicamente corretta”, ma che di fatto ci apre i meandri del cuore di Dio e della compassione che lo contraddistingue. Ci piaccia o no, ci faccia comodo o meno, questo è il nostro Dio, come Lui stesso si è rivelato nelle Scritture. Gesù Cristo, perfetto esegeta del Padre, ha confermato questa “parzialità” dichiarandosi inviato “ai poveri”, proclamando questi “beati” e incarnando tale predilezione lungo tutta la sua esistenza terrena.

La preghiera del povero sale fino a Dio proclama in seconda battuta qualcosa di decisivo sull’uomo, suggerendo che questi non è mai così grande come quando si fa povero, assumendo consapevolmente questa sua dimensione veritativa. La sua povertà è misteriosamente la sua ricchezza, proprio perché gli apre le immensità del cuore e della misericordia di Dio. La povertà materiale crea un cuore umile che, quando si rivolge a Dio, lo “obbliga” ad intervenire. Dio non resiste mai – non perché costretto, ma perché così ha scelto – alla richiesta dei poveri.
Ecco perché sono “beati”, perché oltremodo amati e prediletti da Dio.

La preghiera del povero sale fino a Dio. Ma allora cosa fare per chi, come noi, vive nel mondo dell’opulenza e del benessere? Come Come far sì che anche la nostra preghiera sia accolta da quel Dio che ama preferenzialmente il povero? La Scrittura ci offre due strade: l’umiltà e il dono. La prima rende l’uomo “piccolo” nel suo centro più intimo, ossia il cuore. Non a caso, «la preghiera dell’umile (tapeinos) attraversa le nubi» (Sir 35,17), proprio come quella del povero (ptōchos in Sir 21,5). La seconda via è il dono, ossia la generosità di chi possiede ma non trattiene egoisticamente per sé. La condivisione rende “povero” anche il cuore del ricco, rendendolo libero e non posseduto dalle cose. Chi nell’abbondanza dona generosamente, trasforma la ricchezza “disonesta” (Lc 16,9) in carità doppiamente “salvifica”, per se stesso e per chi è nel bisogno. Come Gesù ha spiegato nella parabola dell’amministratore scaltro (Lc 16,1-9) – splendida riflessione sul corretto utilizzo dei beni – la ricchezza ha il potere decisivo di perderci o salvarci: ecco perché va sottoposta ad attento discernimento.

Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate (2)

In comunione con l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, sezione di san Fiorano, con il Sindaco e l’Amministrazione Comunale, celebreremo, come Comunità Cristiana, domenica 10 novembre il “Giorno dell’Unità Nazionale e Festa delle Forze Armate”.
Vogliamo insieme ricordare e commemorare i caduti di tutte le guerre e tutti i militari defunti in tutti i luoghi della terra dove si svolgono missioni di Pace. La storia di un popolo ha, nelle sue feste nazionali, un momento forte di presa di coscienza di ciò che costituisce il fondamento e la norma del bene comune, in una tavola di valori che deve rifarsi a Dio che ci è Padre, da cui discende ogni vincolo di fraternità. Per dare voce a questa consapevolezza vogliamo guardare a Cristo che sulla croce ha stabilito il patto universale di riconciliazione e di pace.
In lui, primogenito fra molti fratelli, si infrangono le catene di ogni schiavitù e si aprono nuovi orizzonti di solidarietà nella giustizia e nell’amore.

Celebreremo alle 10.30 l’Eucaristia per ringraziare il Signore del dono della Fede che ha accompagnato e animato tante generazioni e tanti soldati nell’adempimento del loro dovere e nel costruire un tessuto sociale ancora sufficientemente ancorato alle radici morali e religiose della nostra Europa e della nostra Italia. Vivremo questo momento di memoria ricordando e pregando per tutti i caduti di tutte le guerre e per tutte le vittime dell’odio, del terrorismo e dell’oppressione, per rendere omaggio a tutti gli uomini di buona volontà che hanno donato la vita per promuovere i valori della libertà, della giustizia, della tolleranza e della democrazia, chiedendo al Signore il dono della pace e della riconciliazione nel nostro Paese e in tutti i Paesi del mondo, specie dove sono in atto conflitti. Vorrei tanto, che celebrando il Giorno dell’Unità Nazionale, arrivassimo a celebrare il superamento di ogni forma di qualunquismo e di intolleranza e a costruire rapporti sempre più veri e sinceri di dialogo, di rispetto reciproco e di pace e di promozione del vero Bene Comune della gente.
 

Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate (1)

La Pace che va costruita prima di tutto nei cuori. Nel cuore di ogni uomo infatti si sviluppano sentimenti che possono alimentare la pace o, al contrario, minacciarla, indebolirla, soffocarla.
Accanto alla dimensione orizzontale dei rapporti con gli altri uomini, di fondamentale importanza si rivela la dimensione verticale del rapporto con Dio. Il Signore ha vinto sulla Croce. Non ha vinto con un nuovo impero, con una forza più potente delle altre e capaci di distruggerle. Ha vinto con un amore capace di giungere fino alla morte. Questo è il nuovo modo di vincere di Dio: alla violenza Dio non oppone una violenza più forte!. Alla violenza Dio oppone proprio il contrario: l’amore fino alla fine, la sua croce.
Questo è il modo umile di vincere di Dio: con il suo amore – e solo così è possibile – mette un limite alla violenza. Il Signore ci ha insegnato il perdono e la riconciliazione, ha creato un ponte meraviglioso fra cielo e terra, fra Dio Padre e tutti gli uomini, fra gli uomini fra di loro comandando ai suoi discepoli: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”.
In questo tempo di guerre e sofferenze ci auguriamo che tutti i governanti dei singoli paesi del mondo siano saggi e sapienti, riconoscano la propria parte di responsabilità nel costruire la pace nel mondo, collaborino nel debellare ogni forma di riarmo atomico e ogni minima minaccia di guerra che sarebbe catastrofica, giungano a praticare una autentica liberazione dal terrorismo per assicurare la pace, la giustizia e la libertà. Che il Signore ci faccia sentire ed essere tutti e ciascuno suoi figli e fratelli sinceri fra tutti i popoli, capaci di solidarietà, di tolleranza e di una civiltà dell’amore.

Celebrando l’Eucaristia, questa settimana, al Cimitero, accanto alle tombe dei nostri cari, possiamo riscoprire l’essenziale

Mi viene sempre in mente l’immagine dell’ostrica e della perla che ci regala nei suoi testi Gustave Flaubert. Il grande scrittore francese aveva comparato il dolore alla perla dell’ostrica. E memorabili sono state le sue parole: “La perla è una malattia dell’ostrica eppure è una realtà infinitamente preziosa; il dolore è come un raffinamento di noi stessi, una più intensa e completa penetrazione nella nostra anima e nella realtà”. Penso che queste parole ci aiutino a comprendere come la sofferenza ci possa aiutare a crescere e ad “affinarci”».
Un appuntamento che ogni hanno ci vede riuniti come comunità cristiana celebrando l’Eucaristia al cimitero che può simboleggiare anche qualcosa di più.
Proprio come ci raccontano gli epitaffi de “L’antologia di Spoon River” dello scrittore statunitense Edgar Lee Masters. «Sostando di fronte alle tombe dei nostri conoscenti guardando le foto e leggendo la data di nascita e di morte ci dovremmo chiedere cosa dicono a noi oggi e quanto l’esempio delle loro esistenze – è la riflessione finale – ci possa aiutare ad essere dei cristiani migliori, ad essere meno incattiviti e distratti verso lo cose che veramente contano. Può rappresentare un buon esame di coscienza per la vita di ogni giorno. E così come direbbero gli antichi possiamo imparare a “morire a noi stessi” al nostro amor proprio e sostare in preghiera pensando solo all’essenziale».
Che tu vada al cimitero per pregare, riflettere o semplicemente onorare la memoria dei tuoi cari, ricorda che questo è un gesto di amore e gratitudine che non solo ci unisce a coloro che sono passati oltre, ma che ci ricorda anche la bellezza e la preziosità della vita umana.

Davanti al mio Signore

Rimanere in silenzio davanti all’Eucaristia è un esercizio di fede difficile. La nostra mente vaga; riempiamo il silenzio di parole; ci sembra che tante cosa possano essere più importanti ed efficaci di questa… eppure ci viene proposta sempre come un vertice della spiritualità cristiana, in cui sostare con il Signore nella preghiera e nella adorazione. Tanti santi ne hanno fatto un punto centrale della loro esperienza di fede o l’hanno incoraggiata nel popolo di Dio. E noi? Cosa ne faremo di questa proposta? Uno spreco di tempo per il Signore, privo di gusto e di efficacia? Non è da disprezzare un impegno portato avanti con fedeltà e costanza, anche quando costa fatica e non sembra offrire una gratificazione apparente. Ma se il tempo passato nell’adorazione fosse anche un tempo di qualità? Se nell’adorare il Signore io potessi anche rallegrarmi dell’esperienza religiosa che mi viene offerta? Certo sarebbe un vantaggio per tutti.
L’adorazione eucaristica è una forma di preghiera tutta particolare, dominata dalla presenza dell’Eucaristia, che parla a noi con temi, modi, sentimenti che gli sono propri. Sarebbe uno spreco ignorare la potenzialità spirituale che il Santissimo Sacramento esposto offre ai fedeli, per riempire lo spazio di preghiera con altre letture, commenti, pensieri che non hanno a che fare con l’Eucaristia, finendo così per ignorarla e soffocarla. L’adorazione eucaristica, come prolungamento della Messa, ha un suo valore e una sua dignità, suggerisce pensieri e preghiere proprie, da riscoprire in noi stessi, da far risuonare nel proprio cuore ed effondere dinanzi al Signore, come incenso, profumo gradito.
Risuoni allora per noi l’invito del salmo: “Venite, adoriamo il Signore” (Sal 94).

L’adorazione non è un lusso ma una priorità

Adorare Gesù nel Santissimo Sacramento è la risposta di fede e di amore a Colui che essendo Dio, si è fatto uomo, si fece nostro Salvatore, ci ha amati fino a donare la sua vita per noi e continua ad amarci di amore eterno. È il riconoscimento della misericordia e della maestà del Signore, che ha scelto il Santissimo Sacramento per rimanere con noi fino alla fine del mondo.
Il cristiano adorando Cristo riconosce che Egli è Dio e adorandolo davanti al Santissimo Sacramento testimonia la sua Presenza reale, vera e sostanziale nell’Eucaristia. Adorare non è solo compiere un atto sublime di devozione, ma anche testimonianza del più grande tesoro che ha la Chiesa, il dono di Dio stesso, il dono che fa il Padre del Figlio, il dono di Cristo di se stesso, il dono che proviene dallo Spirito: l’Eucaristia. Il culto eucaristico è sempre di adorazione. Anche la comunione sacramentale implica necessariamente l’adorazione. Questo ci ricordava il Santo Padre Benedetto XVI in Sacramentum Caritatis quando citava S. Agostino: “Nessuno mangi questa carne senza prima adorarla … peccheremmo se non la adorassimo”. In un altro senso, l’adorazione è comunione, non solo sacramentale, ma sostanzialmente spirituale. Se la comunione sacramentale è prima di tutto un incontro con la Persona del mio Salvatore e Creatore, l’adorazione eucaristica è una estensione di tale riunione. Adorare è un modo sublime per rimanere nell’amore del Signore.
Quindi, vediamo che l’adorazione non è qualcosa di facoltativo, opzionale, che si può o non si può fare, non è una devozione in più, ma è necessaria, è un dolce obbligo d’amore.

Visita e Messe al Cimitero

Nel silenzio delle tombe, un rituale carico di significato e speranza per ricordare e meditare sulla vita e sulla morte. Nella complessità delle nostre vite, spesso evitiamo di affrontare il tema della morte, relegandolo nell’ombra del tabù o della paura. Tuttavia, la pratica di visitare il cimitero assume un significato profondo e poliedrico, che va oltre la mera commemorazione dei defunti. È un momento in cui convergono memoria, preghiera e riflessione, offrendo uno spazio tangibile per elaborare il dolore della perdita e celebrare la vita di coloro che sono passati oltre. In un mondo in cui la velocità e la superficialità spesso dominano, la visita al cimitero rappresenta un’opportunità unica per rallentare il passo e riflettere sulla fragilità e sulla bellezza della vita umana. È un momento di silenzio e contemplazione, in cui ci immergiamo nel ricordo dei nostri cari e ci confrontiamo con la nostra stessa mortalità.
Il cimitero non è solo un luogo di riposo per i corpi, ma anche un luogo di memoria e spiritualità.
Le tombe, adornate da croci e da fiori, diventano simboli tangibili della nostra fede nella risurrezione e nella vita eterna. Ogni croce è un testimone silente della speranza che trascende la morte, mentre i fiori, con la loro bellezza effimera, ci ricordano la brevità e la preziosità della vita terrena.
La pratica di adornare le tombe con fiori non è semplicemente un gesto estetico, ma un’espressione tangibile del nostro amore e della nostra devozione verso coloro che non sono più con noi fisicamente.
È un modo per onorare la loro memoria e per mantenere vivo il legame che ci unisce a loro.
Ogni fiore deposto sulla tomba è un’offerta di amore e gratitudine, un segno di continuità e di comunione con coloro che abbiamo amato e che continuiamo ad amare.