Mese: gennaio 2025
Educare alle emozioni in noi stessi e nei figli
Dopo il successo del primo incontro, il “Gruppo Famiglia” propone il 2 incontro per tutti i genitori per confrontarsi insieme su alcune tematiche di vita familiare.
Sabato 1 febbraio ore 18.00 – Casa della Parola e della Carità
Relatrice: Silvia Poletti
“Spero sulla tua Parola”:
Per vivere la VI edizione della Domenica della Parola di Dio, Papa Francesco ha scelto come motto le parole del Salmista: “Spero nella tua Parola”.
Si tratta di un grido di speranza: l’uomo, nel momento dell’angoscia, della tribolazione, del non-senso, grida a Dio e mette tutta la sua speranza in lui.
È una esperienza profondamente umana, come è solito trovare nel Salterio. Tutti sperano, tutti noi abbiamo delle speranze, ma quello che ci viene comunicato in questo Giubileo è “la Speranza”, al singolare.
Non si tratta di un’idea astratta o un ottimismo ingenuo, ma di una persona, viva e presente nella vita di ognuno: Cristo crocifisso e risorto, l’unico che non ci abbandona mai. La teologia paolina è estremamente chiara su questo punto: “Cristo Gesù, nostra speranza” (1 Tm 1,1).
Questa è una certezza che viene posta sul nostro cammino. In essa dobbiamo crescere senza mai distogliere lo sguardo dalla fedeltà di Dio: “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché fedele colui che ha promesso”. Il fatto che Dio è fedele alle sue promesse ritorna come un ritornello dall’Antico al Nuovo Testamento e per questo possiamo essere ricolmi di gioia e fiducia. Essendo certezza del compimento della promessa, la speranza cristiana “non delude”, perché ci viene data dalla presenza efficace dello Spirito Santo.
Ecco perché possiamo sperare nella sua Parola.
Lo ha ben capito l’apostolo Pietro, quando affermò “Sulla tua parola getterò la rete”, che vuol dire: “confido in te”. La speranza che scaturisce da questa Parola sorge dalla sicurezza della fede e ci affida all’amore di Dio, che non contraddice mai né sé stesso né la promessa fatta.
Un giubileo che ogni 25 anni bussa alla porta e provoca a prendere in seria considerazione la vita offre la possibilità di tenere fisso lo sguardo sulla speranza che porta con sé il realismo evangelico. La Domenica della Parola di Dio permette ancora una volta ai cristiani di rinsaldare l’invito tenace di Gesù ad ascoltare e custodire la sua Parola per offrire al mondo una testimonianza di speranza che permetta di andare oltre le difficoltà del momento presente. La Parola di Dio non si trova confinata in un libro, ma resta sempre viva e si fa segno concreto e tangibile.
Infatti, provoca ogni comunità non solo ad annunciare la fede di sempre, ma soprattutto a comunicarla con la convinzione che porta speranza a quanti la ascoltano e accolgono con cuore semplice.
La parola del Signore raggiunge il cuore non come promessa di qualcosa ma come promessa di qualcuno.
La Parola di Dio fonte di speranza
Forse l’uomo che meglio capì il rapporto fra parola di Dio e speranza fu un pagano, il centurione romano che, dopo aver supplicato Gesù di guarire il suo servo malato, di fronte all’immediata disponibilità del Signore si dichiarò indegno che egli andasse a casa sua e gli disse: “Di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito!”. Gli bastava una parola di Cristo per avere speranza certa nella salvezza da Lui operata. La fede ha permesso al centurione di capire che ciò che suscita speranza nella parola di Dio è che è, appunto, una parola di Dio, cioè la parola che colui che fa tutte le cose rivolge personalmente al nostro bisogno di salvezza e di vita eterna. Lo ha capito anche Pietro in un momento che poteva essere di disperazione perché tutti avevano abbandonato il Signore e restavano con Lui solo pochi discepoli impacciati e insicuri: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Le parole di Gesù rimanevano per Pietro e i suoi compagni come l’ultimo filo di speranza in una pienezza di vita che potevano attendere solo da Dio. Ma perché e come la speranza di Pietro, come quella del centurione, poteva aggrapparsi alla parola di Cristo? Cosa dà alla parola del Signore questa potenza, questa solidità per cui ci si può abbandonare ad essa con tutto il peso della vita, con tutto il peso della nostra vita in pericolo di scivolare nella disperazione, nella morte, nel nulla? Cosa permette a chi ascolta questa parola di riconosce che a Colui che la pronuncia ci si può abbandonare con totale fiducia? Questo è possibile se la parola del Signore raggiunge il cuore non come promessa di qualcosa ma come promessa di qualcuno, e di qualcuno che ama la nostra vita di un amore onnipotente, che può tutto per coloro che ama e si affidano a Lui. Molti hanno abbandonato Gesù, dopo il discorso sul pane di vita nella sinagoga di Cafarnao, dicendo “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Come mai la parola di Gesù era per loro una ragione di partire quando per Pietro e gli altri discepoli era l’unica ragione di restare con Lui? Il fatto è che i primi avevano ascoltato la sua parola separandola dalla sua fonte, Cristo stesso.
Pietro e i discepoli, invece, non potevano astrarre nessuna parola di Gesù dalla sua presenza, cioè dal rapporto con Lui, dalla sua amicizia. La parola di Dio può essere fonte di speranza se per noi Dio rimane la fonte della parola stessa. Solo se ascoltiamo la parola dalla voce del Verbo presente, che ci guarda con amore, essa può alimentare in noi una speranza incrollabile, perché fondata su una presenza che non viene mai meno. La parola di Dio è una promessa in cui non solo colui che promette è fedele, ma rimane incluso nella promessa stessa, perché Cristo ci promette se stesso. Questo legame indelebile della parola di Dio con la sua presenza, così radicale da quando “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” fino a morire in croce per noi, è la coscienza e la promessa di tutto l’Antico Testamento. Come quando il salmo 27 grida al Signore: “Se tu non mi parli, sono come chi scende nella fossa!”. L’uomo ha in sé la coscienza profonda, ontologica, che se Dio non gli parla, se Dio non lo crea ad ogni istante con la sua parola, per lui è inevitabile la morte, il dissolvimento della vita, perché Dio crea dicendo tutto nel Verbo per mezzo del quale esistono tutte le cose. Uno può vivere senza ascoltare la Parola che lo fa con amore, ma così fa esperienza, come tanti oggi, di una vita inconsistente, di una vita dissipata, che sfugge dalle nostre mani incapaci di trattenerla. Invece, ci è data la grazia di vivere ascoltando, di vivere tesi ad ascoltare il Signore che sta costantemente alla porta della nostra libertà, bussando e chiedendo di entrare.
Ci è dato di vivere ascoltando la sua voce che ci chiama alla comunione con Lui, a un’amicizia infinita, permettendo così allo Spirito di generare in noi e fra noi una vita nuova, traboccante di speranza, non in qualcosa, ma in Dio che adempie la promessa della sua presenza nell’istante stesso in cui la sua parola la esprime.
Sant’Agnese: una vita di fede, devozione e sacrificio
Sant’Agnese, una delle più illustri martiri della Chiesa Cattolica, è stata onorata con l’iscrizione nel Canone Romano La sua breve ma intensa vita si erge come un esempio di fede e dedizione indomabile. Attraverso il racconto di Santa Agnese, emerge un messaggio potente di sacrificio, fede e coraggio, che continua a ispirare le generazioni a venire.
La narrazione della vita di santa Agnese si basa su fonti talvolta incerte e addirittura contraddittorie, rendendo difficile la distinzione tra leggenda e storia.
Presumibilmente nata alla fine del III secolo d.C. a Roma, da genitori cristiani e nobili patrizi, subì il martirio in giovane età, tra i 12 e i 13 anni, durante l’ultima persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano, tra il 303 e il 313 d.C.
I suoi genitori, devoti credenti, le trasmisero fin da bambina i principi fondamentali del cristianesimo, gettando le basi della sua breve ma profonda esistenza, interamente consacrata a Dio.
La sua straordinaria bellezza e ricchezza suscitarono l’interesse di molti giovani nobili desiderosi di farla loro sposa. Tuttavia, Sant’Agnese scelse di abbracciare il celibato, consacrando la sua vita esclusivamente a Dio. Questa scelta non fu ben accolta nella società del suo tempo, in particolare dal figlio del Prefetto, il quale si innamorò della giovane Agnese, solo per esserne respinto.
La Persecuzione e il Martirio
La sua ferma risolutezza nel mantenere la verginità per amore della sua fede scatenò l’ira di molti.
In un’epoca in cui le persecuzioni contro i cristiani erano all’ordine del giorno, Agnese fu accusata di professare il cristianesimo. Non si lasciò intimidire e rifiutò di bruciare incenso in onore dei falsi dèi.
Il prefetto, nel tentativo di spaventarla, ordinò che fosse condotta nei bordelli per essere violata da uomini immorali. Tuttavia, si narra che solo un uomo ebbe il coraggio di avvicinarsi, ma subito dopo perse la vista. Fallito il vile tentativo di convertirla al paganesimo, Agnese fu condannata a morte per decapitazione.
La sua esecuzione avvenne con grande coraggio, e il suo corpo fu sepolto in una tomba vicino alla Via Nomentana a Roma.
Secondo la tradizione, dopo la sua morte, si verificarono miracoli e prodigi presso la sua tomba.
La vita di Sant’Agnese si erge come un faro di ispirazione per i credenti, incoraggiandoli ad abbracciare una vita di fede, dedizione e sacrificio. La sua storia invita a riflettere sul proprio percorso spirituale e a impegnarsi per uno scopo più elevato. Sant’Agnese, vergine e martire, non è soltanto una figura storica; incarna l’essenza della devozione e del sacrificio senza compromessi.
La Benedizione degli Agnelli e la Tradizione dei Palli
La festa di Sant’Agnese, celebrata il 21 gennaio, commemora il suo martirio e la sua dedizione alla fede cristiana. Spesso, Sant’Agnese è raffigurata con un agnello, simbolo della sua purezza e del suo nome, che in latino significa “agnello”. Da questa connessione è nata un’usanza legata alla Santa.
Ogni anno, ancora oggi, il 21 gennaio, giorno della sua festa, degli agnelli vengono benedetti presso la basilica romana di Sant’Agnese fuori le mura, costruita sulla sua tomba. In seguito, gli agnellini sono donati al pontefice, che, secondo l’usanza secolare, li affida alle monache benedettine del convento di Santa Cecilia. Queste si prendono cura degli agnelli fino alla primavera, quando verranno tosati.
La lana degli agnelli svolge un ruolo significativo, destinata a confezionare i palli, paramenti che ricoprono le spalle del Santo Padre e degli arcivescovi. Durante la Festa dei Santi Pietro e Paolo, il papa stesso donerà i palli agli arcivescovi. Questi palli simboleggiano il ruolo del vescovo come pastore, creando un legame tangibile tra la tradizione legata a Sant’Agnese e il simbolismo liturgico della Chiesa.
Anniversario dei 1700 anni del Primo Concilio Ecumenico
Quest’anno ricorre l’anniversario dei 1700 anni del primo Concilio ecumenico dei cristiani che si tenne a Nicea, vicino Costantinopoli, nel 325 d.C.; questa commemorazione offre un’opportunità unica per riflettere e celebrare la nostra comune fede di cristiani, quale fu espressa nel Credo formulato durante quel Concilio, una fede ancora oggi viva e feconda. La Settimana di preghiera del 2025 ci invita ad attingere a questa eredità condivisa e ad entrare più profondamente nella fede che ci unisce come cristiani.
Il Concilio di Nicea
Convocato dall’imperatore Costantino, il Concilio di Nicea fu celebrato – secondo la tradizione – da 318 Padri, per lo più provenienti dall’oriente. La Chiesa, che stava emergendo proprio allora dalla clandestinità e dalla persecuzione, cominciava a sperimentare quanto fosse difficile condividere la medesima fede nei diversi contesti culturali e politici dell’epoca. Accordarsi sul testo del Credo significò definire i fondamenti essenziali comuni su cui costruire comunità locali che si riconoscessero come chiese sorelle, ciascuna nel rispetto delle diversità delle altre.
Nei decenni precedenti erano sorte divergenze tra i cristiani, talvolta degenerate in gravi conflitti e dispute riguardanti svariate questioni quali: la natura di Cristo in relazione al Padre; l’accordo su un’unica data per celebrare la Pasqua e il suo rapporto con la Pasqua ebraica; l’opposizione a opinioni teologiche considerate eretiche; la riammissione dei credenti che avevano abiurato la fede durante le persecuzioni perpetrate negli anni precedenti.
Il testo del Credo approvato utilizzava la prima persona plurale: “Noi crediamo…”, formula che sottolineava un’appartenenza comune. Il Credo era costituito da tre parti, dedicate ciascuna ad una delle tre Persone della Trinità, cui seguiva una conclusione in cui venivano condannate le affermazioni considerate eretiche. Il testo di questo Credo fu rivisto e ampliato durante il Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., in cui furono eliminate le condanne. Si raggiunse così quella formulazione della professione di fede che le chiese cristiane oggi riconoscono come “Credo niceno-costantinopolitano”, spesso indicato semplicemente come “Credo niceno”.
Dal 325 al 2025
Nonostante il Concilio di Nicea abbia stabilito il modo in cui calcolare la data della Pasqua, successive divergenze di interpretazione hanno fatto sì che spesso oriente e occidente abbiano individuato diverse date per la celebrazione pasquale. Nell’attesa che la data della celebrazione pasquale torni nuovamente a coincidere ogni anno, in questo anniversario del 2025 – per una felice coincidenza – questa solennità sarà celebrata nella stessa data sia dalle chiese di oriente che da quelle di occidente. Il significato degli eventi salvifici che tutti i cristiani celebreranno la domenica di Pasqua, 20 aprile 2025, non è mutato con il passare di questi diciassette secoli.
La Settimana di preghiera per l’unità rappresenta la possibilità per i cristiani di analizzare e ravvivare questa eredità e di riappropriarsene in modi consoni alla cultura contemporanea, nelle sue varie articolazioni, oggi ancor più complesse rispetto a quelle del mondo cristiano ai tempi del Concilio di Nicea. Vivere insieme la fede apostolica non significa riaprire le controversie teologiche di allora, protrattesi nei secoli, quanto piuttosto rileggere, in atteggiamento di preghiera, i fondamenti scritturistici e le esperienze ecclesiali che hanno condotto alla celebrazione del Concilio e ne hanno motivato le decisioni.
San Bassiano
San Bassiano è il patrono di Lodi la cui festa ricorre il 19 gennaio, è considerato il primo vescovo di Laus Pompeia, antica e originaria sede della diocesi di Lodi. Le fonti su cui si basa la storiografia del santo sono pochissime e frammentarie; tra le attestazioni attendibili figura l’epigrafe sepolcrale che permette di ricavare alcuni dati sulla sua vita: il vescovo Bassiano nasce intorno all’anno 319, è vescovo di Laus a partire dal 374, muore nel 409. Secondo l’epigrafe governò “la chiesa laudense per trentacinque anni e venti giorni. Salì glorioso al cielo all’età di novant’anni restituendo alla terra quel che le era appartenuto, l’anno dell’ottavo consolato dell’imperatore Onorio e terzo dell’imperatore Teodosio”. Molto della sua biografia è desunto dalle fonti agiografiche del periodo medievale.
Secondo la “Vita Sancti Bassiani” (sec. XI), Bassiano nasce a Siracusa da un alto magistrato pagano che lo invia a Roma per completare gli studi e avviare la carriera. A Roma Bassiano abbraccia il cristianesimo e, per sfuggire al padre che rifiutava la sua conversione, si sposta a Ravenna dove la leggenda lo vuole autore del miracolo della cerva insidiata insieme ai suoi piccoli; Bassiano punisce con l’accecamento uno dei cacciatori, poi risanato dal santo stesso. A Ravenna Bassiano, per volontà del clero e del popolo, viene
promosso alla dignità sacerdotale. I dati storici e agiografici lo presentano quale primo vescovo di Laus Pompeia (attuale Lodi Vecchio) a partire dal 374. A Laus esisteva già una primitiva comunità cristiana testimone dell’evangelizzazione dei martiri Nabore e Felice nei primi anni del IV secolo. Il giorno della sua ordinazione episcopale costituisce di fatto la nascita della diocesi di Lodi. Bassiano adotta la strategia antiariana di papa Damaso e sostenuta dal vescovo di Milano Ambrogio. Partecipa al concilio di Aquileia e a quello di Milano nei cui verbali è registrato un suo intervento contro alcuni vescovi sostenitori dell’arianesimo. Edifica una basilica in Laus in onore dei dodici apostoli e invita per la dedicazione nel novembre 387 l’amico vescovo Ambrogio, alla morte del quale assiste nell’anno 397. Il vescovo Bassiano muore nell’anno 409 e il suo corpo viene sepolto a Lodi Vecchio nella basilica da lui fondata.
Dopo la distruzione della città il suo corpo viene traslato nella cattedrale di Lodi nel 1163.
Sono aperte le iscrizioni al tesseramento NOI
Ricordo ai genitori e adulti che, essendo l’oratorio un circolo, chi vuole usufruire del bar è necessario fare la tessera del NOI. È possibile iscriversi all’oratorio versando la quota di € 10.
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
“Credi tu questo?”: significa credere nella persona di Cristo e nel suo Spirito sia nella storia e nella vita personale di ognuno di noi, sia come chiese cristiane. In questo presente tempo in cui lo scetticismo verso i principi e le verità evangeliche sembra farla da padrone, i cristiani sono chiamati a credere e soprattutto vivere la fede in Gesù credendo alla sua Parola, credendo a ciò che può sembrare impossibile, perché il nostro Dio è l’Iddio dell’impossibile.
La risurrezione è un vero e proprio ritorno alla vita, è un miracolo di Dio che si accetta per fede, estraneo al pensiero del nostro tempo ma è un miracolo e un dono. E la risurrezione di Cristo è garanzia della risurrezione dei credenti e della realtà della comunione dei Santi, aprendo nuove prospettive sul piano personale e comunitario, sul piano escatologico e sul piano esistenziale ed ecclesiale.
“Credi tu questo?”: anche nel cammino ecumenico si tratta di credere in Cristo nostra speranza, che nella sua Carne ha abbattuto il muro della divisione e ha fatto di due popoli una cosa sola. Si tratta quindi di immergere in lui e nel suo Spirito il nostro cammino che porta i segni delle fragilità e degli interrogativi del presente. Crediamo che l’ecumenismo non sia soltanto un lavoro diplomatico, incontro al vertice o l’intesa pratica in uno spirito di collaborazione per le diverse iniziative, ma sia innanzitutto incontro personale con Cristo, guardarlo negli occhi e credere in lui e nella sua forza trasformante. Alle volte siamo presi dalla tentazione di accomodarci sui risultati raggiunti o dalla delusione per il fatto che dopo i documenti congiunti di particolare rilievo sul piano storico e teologico non si sia già arrivati all’unità auspicata.
Pensiamo a Paolo VI e Athenagoras che già 60 anni fa, il 7 dicembre 1965, auspicavano di celebrare mangiando dall’unico pane e bevendo dall’unico calice. Credi tu questo?”. Dunque, si tratta di credere nella risurrezione anche per quanto riguarda il cammino ecumenico. Sì, credere nella persona di Cristo.
È lui che ha trasformato ogni immobilismo, ogni rigidità ogni tentazione, ogni difficoltà in luce, ogni morte in vita. Anche per il cammino ecumenico.
“Credi tu questo?”: significa credere nello Spirito di Cristo che ci guida alla verità tutta intera.
Noi cristiani delle diverse chiese crediamo che lo stesso Spirito che ha contraddistinto i primi cristiani a Nicea ci raduna insieme e ci sta facendo fare insieme un cammino di fraternità e di profonda accoglienza.
Il Concilio di Nicea che ricordiamo nell’anniversario dei 1700 anni della sua convocazione, è di profonda attualità anche oggi, perché ci offre l’immagine di un Dio che in se stesso è comunione, è dialogo, è amore: la Trinità come modello di unità nella diversità, proclamando il Figlio come consustanziale al Padre si mette in evidenza non solo che il Figlio è Dio come è Dio il Padre, Dio vero da Dio vero, ma come l’amore costituisca lo specifico della Trinità, dove ogni Persona ha la sua specifica identità nella piena unità e nella totale donazione alle altre. Il Concilio di Nicea ci mostra la Trinità come modello dell’unica Chiesa di Cristo e ci ricorda che il cammino ecumenico si alimenta nell’amore reciproco che costituisce l’essere di Dio.
Ancora oggi ci viene chiesto: credi tu questo? E ancora oggi possiamo dire che crediamo fermamente in Cristo e nell’azione del suo Spirito, e crediamo che la comunione possa costituire il centro della ecclesiologia cristiana e la meta del cammino ecumenico: tutti uno in Cristo, risurrezione e vita.
Che il Signore ci aiuti a proseguire in questo cammino!
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