Educare senza paura

Diventa il Genitore capitano di cui tuo figlio ha bisogno

1 maggio 2025 ore 18.00 in Oratorio

Presentazione del libro da parte dell’autrice stessa Silvia Poletti “EDUCARE SENZA PAURA. Diventa il Genitore capitano di cui tuo figlio ha bisogno. Al termine Apericena in Oratorio.

Credere in Gesù vuol dire coltivare l’amicizia con Lui

«I discepoli gioirono a vedere il Signore». Erano pieni di tristezza e di angoscia per la morte dolorosa che aveva colpito il loro Maestro e quella sera di Pasqua quando Gesù «stette in mezzo a loro», vivo e vegeto, loro si rallegrarono profondamente, furono davvero contenti. È quello che avviene anche a noi, se accogliamo il Signore Gesù e lo riconosciamo presente in mezzo a noi. Quando ci raccogliamo in Assemblea il Signore viene, sta nel mezzo: è il centro di tutta la nostra attenzione; e noi lo riconosciamo e aderiamo a lui. La nostra fede è una relazione di amicizia. L’evangelista Giovanni non adopera mai la parola fede, ma sempre il verbo credere. Preferisce non usare il sostantivo per non dare l’impressione che la fede sia una cosa che c’è o non c’è. Il verbo credere invece dice piuttosto una relazione personale. Credere nel Signore Gesù vuol dire avere un rapporto di amicizia con lui e l’amicizia cresce nel tempo, ma può anche diminuire o sparire. Ci sono tante amicizie che una volta c’erano e sono finite; ci sono delle amicizie invece che durano tutta la vita e diventano sempre più intense e importanti. Pensiamo alla nostra relazione con il Signore come un’amicizia. Ha ragione Tommaso allora: bisogna vedere, toccare, sentire il Signore, bisogna incontrarlo personalmente, bisogna stare con lui. Se non abbiamo un rapporto con lui – non lo ascoltiamo, non lo vediamo, non lo tocchiamo, non sentiamo il suo amore – ma che relazione di amicizia c’è fra di noi? Gesù infatti dà soddisfazione a Tommaso; non lo rimprovera, ma gli dice: “Coraggio! Avvicinati, guarda, tocca, entra in relazione con me”. È possibile oggi per noi essere in relazione con il Signore Gesù? Fisicamente non lo vediamo – i nostri occhi non lo vedono – ma lo possiamo sentire, perché è veramente presente nella nostra vita. Si tratta di allenarci a questo riconoscimento e stare attenti ai segni della sua presenza. Quando lo sentiamo presente, siamo contenti. La gioia nella nostra vita è proprio la sua presenza in quanto bene amato. Se lo ascoltiamo, gli parliamo, stiamo volentieri con lui, la nostra amicizia cresce e ne abbiamo un enorme beneficio: ricaviamo un bene dall’essere suoi amici. Il Signore ci propone la vita come obiettivo e l’evangelista lo precisa chiaramente: «Ho scritto queste cose perché crediate e perché, credendo, abbiate la vita». Avere la vita vuol dire vivere una vita piena, realizzata. Il Signore vuole la nostra realizzazione personale, vuole che la nostra vita sia piena e bella e lo può essere, se lungo tutta la vita cresce la nostra amicizia con lui. Essere persone di fede non significa essere persone di testa che ragionano su qualche concetto religioso e accettano questa o quella dottrina; esser persone di fede vuol dire amare Gesù, Gesù in persona, non queste abitudini. Molte volte le persone confondono la fede in Gesù con le loro abitudini religiose. Quanti ragazzi sono passati nelle nostre realtà … finche c’era una abitudine sono venuti, poi hanno preso un altro giro ed è finito tutto. Quante persone erano abituate in una chiesa, si son trasferite, han perso il giro, perché non trovano più quelle abitudini, quei riti e non sono più andate in chiesa. Non era fede, è solo abitudine religiosa, vuota, perché manca una autentica amicizia spirituale con Gesù. Quando c’è questa relazione, si può essere in qualunque parte del mondo e si sente sempre presente il Signore Gesù.
Mi interessa Gesù Cristo, perché gli voglio bene, perché sono amico suo, perché sento di essere amato e una misericordia così grande come quella che ci ha offerto merita una risposta di amore!
Pensiamo sempre alla nostra vita di credenti come amici del Signore che crescono in questa relazione di amicizia. “Diventa credente e non essere incredulo, diventa sempre di più amico; diventa, cresci, matura, realizza la tua amicizia nella pienezza della vita eterna”. Chiediamo al Signore che anche noi come i discepoli possiamo gioire nell’incontrare Gesù; chiediamogli di poter credere davvero, di crescere nell’amicizia e di condividere la vita con lui sempre, fino all’eternità.

Eterna è la sua Misericordia

Così canta la Chiesa nell’Ottava di Pasqua, quasi raccogliendo, dalle labbra di Cristo queste parole del Salmo; dalle labbra di Cristo risorto, che nel Cenacolo porta il grande annuncio della misericordia divina e ne affida agli apostoli il ministero. Prima di pronunciare queste parole, Gesù mostra le mani e il costato. Addita cioè le ferite della Passione, soprattutto la ferita del cuore, sorgente da cui scaturisce la grande onda di misericordia che si riversa sull’umanità. Da quel cuore suor Faustina Kowalska, la santa che vedrà partire due fasci di luce che illuminano il mondo: «I due raggi – le spiegò un giorno Gesù stesso – rappresentano il sangue e l’acqua». Sangue ed acqua! Il pensiero corre alla testimonianza dell’evangelista Giovanni che, quando un soldato sul Calvario colpì con la lancia il costato di Cristo, vide uscirne «sangue ed acqua». E se il sangue evoca il sacrificio della croce e il dono eucaristico, l’acqua, nella simbologia giovannea, ricorda non solo il battesimo, ma anche il dono dello Spirito Santo.
Attraverso il cuore di Cristo crocifisso la misericordia divina raggiunge gli uomini: «Figlia mia, dì che sono l’Amore e la Misericordia in persona», chiederà Gesù a Suor Faustina. Questa misericordia Cristo effonde sull’umanità mediante l’invio dello Spirito che, nella Trinità, è la Persona – Amore.
E non è forse la misericordia un «secondo nome» dell’amore, colto nel suo aspetto più profondo e tenero, nella sua attitudine a farsi carico di ogni bisogno, soprattutto nella sua immensa capacità di perdono?
Dalla divina Provvidenza la vita di questa umile figlia della Polonia è stata completamente legata alla storia del ventesimo secolo, il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. È, infatti, tra la prima e la seconda guerra mondiale che Cristo le ha affidato il suo messaggio di misericordia. Ancora oggi siamo nel pieno delle guerre e delle orribili sofferenze che ne derivarono per milioni di uomini: ancora oggi sappiamo bene quanto il messaggio della misericordia sia necessario.
Disse Gesù a Suor Faustina: «L’umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla divina misericordia». Attraverso l’opera della religiosa polacca, questo messaggio si è legato per sempre al secolo ventesimo, ed è ancor più legato al terzo millennio. Non è un messaggio nuovo, ma si può ritenere un dono di speciale illuminazione, che ci aiuta a rivivere più intensamente il Vangelo della Pasqua, per offrirlo come un raggio di luce agli uomini ed alle donne del nostro tempo.

Anniversario della festa della Liberazione

  1. Facciamo bene a celebrare la festa della liberazione; credo che sia importante non dimenticare. La storia, magistra vitae, ha bisogno di scolari attenti e non smemorati, perché  dimenticare la storia, troppo sovente significa ripetere gli stessi errori. E questa festa anniversaria ha una sua intrinseca sapienza: che è quella di evocare il valore di grandi conquiste. Quando noi diciamo “festa della liberazione” ci viene spontaneo ricordare un’aurora, nella storia del secolo “breve”, ormai alle nostre spalle: l’aurora della libertà, della democrazia e della pace. Quel giorno, il mondo è uscito dall’eclisse della libertà, dal cono d’ombra di un’immane catastrofe bellica, per respirare il clima nuovo della pace.
    Papa Benedetto XV nel 1917, durante il primo conflitto mondiale, definì la guerra una “inutile strage”;
    Pio XII nel drammatico appello dell’agosto 1939 disse: “Nulla è perduto con la pace ; tutto può essere perduto con la guerra”. Tutti ricordiamo le parole di Giovanni Paolo II: “la guerra è un’avventura senza ritorno”. Sono tutte espressioni rotolate come macigni sulla storia del secolo XX, annunciato da Nietzsche come il secolo dell’uomo. Pertanto quando noi usiamo l’espressione “festa della liberazione” ricordiamo un evento, una data, una svolta. Ma sta qui forse la debolezza di questa parola: liberazione.
    Liberazione come festa o liberazione come impegno feriale nel quotidiano?
    Liberazione come evento o liberazione come dimensione antropologica?
    Un dato sembra certo: che la liberazione come evento è scarsamente avvertita dalle nuove generazioni, e sulle ceneri dell’oblio della liberazione si è costruito il mito della libertà. Ma una libertà senza liberazione diventa libertarismo, dispotismo, dittatura; non c’è più spazio per la democrazia, né tanto meno per la pace.
  2. La parola di Dio ci aiuta invece a coniugare insieme la libertà con la liberazione, ma soprattutto la liberazione come cammino quotidiano verso la libertà. Scrive infatti Paolo nella lettera ai Galati: “Voi fratelli, siete stati chiamati a libertà” (Gal 5,15). La libertà è la vocazione originaria di ogni essere umano; ogni donna e ogni uomo è chiamato ad essere libero. La libertà costituisce la differenza dell’umano.
    Ma Paolo ci ricorda pure la libertà come evento: “Cristo ci ha liberati dal virus del nostro egoismo (che Paolo chiama, schiavitù della carne, e che noi traduciamo come istinto di potenza, di dominio, di sopraffazione). Senza l’evento Cristo è difficile immaginare il respiro di una pienezza di libertà.
    Pertanto la libertà non è solo la vocazione di ogni creatura umana; non è solo un evento: è una dimensione antropologica, un cammino nella vita quotidiana: “Siate dunque saldi, scrive Paolo, e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (5,1).
  3. Per questo la liberazione è necessaria alla vita della libertà, perché ci sono ricorrenti schiavitù, ricorrenti dittature che spengono la libertà di sé e quella degli altri. La schiavitù dell’io, genera relazioni antisociali, provoca fenomeni di prepotenza, di bullismo, di violenza e di emarginazione.
    La liberazione è necessaria alla vita della libertà , perché l’egoismo è sempre in agguato dentro di noi e facilmente tracima: nelle nostre famiglie, nella comunità e nella società.
  4. La liberazione è necessaria alla vita della democrazia: perché richiede impegno quotidiano di partecipazione, di fuori uscita dal piccolo mondo del proprio orizzonte, per farci carico degli altri, del bene comune e dei più deboli. La crisi della partecipazione è crisi di democrazia, che ingenera disaffezione alla vita sociale; allontana la politica dalla gente, scava fossati tra ricchi e poveri e apre la stura a nuove povertà.
    Per questo la libertà ha bisogno di essere educata alla responsabilità, che non guarda al proprio tornaconto; non guarda al potere come dominio e affermazione di sé; ma al potere come servizio.
    Gesù è di una chiarezza solare parlando alla gente e ai suoi discepoli. C’è uno stile mondano e c’è uno stile evangelico del potere: “Voi sapete, dice Gesù, che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni, le dominano…, tra voi però non così; chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire”.

La Pietra scartata è divenuta Pietra angolare

Avevano pensato di metterci una pietra sopra, avevano ritenuto che fosse tutto finito. Le autorità si sono scagliate contro Gesù e hanno progettato di eliminarlo, perché dava fastidio. Lo hanno ucciso e sepolto, sembrava una storia finita. Quel pietrone che chiudeva l’ingresso del sepolcro è il segno di qualche cosa di definitivo, insormontabile, proprio come la morte. E invece quella pietra è stata ribaltata. Le donne quel primo mattino di Pasqua sono andate al sepolcro con entusiasmo, ma con grande trepidazione. Non sapevano come avrebbero potuto compiere quell’opera pietosa dell’unzione del corpo. C’era un ostacolo, una pietra enorme molto grande. Quante pietre ci sono sul nostro cuore e sul nostro cammino!
Quanti ostacoli, quanti blocchi e ci rendiamo conto che non riusciamo a superarli. Ci rendiamo conto che non possiamo fare niente! Ci sembra impossibile superare certe situazioni e contesti personali, familiari, comunitari e mondiali. È questa la pietra pesante che blocca la nostra vita. Sembriamo in perenne lotta. È un pietrone che chiude il cuore, che ammazza la vita che sembra mettere la parola fine alla possibilità di vita serena e in pace. E invece la Pasqua ribalta queste pietre, apre i nostri sepolcri … c’è speranza! Non siamo noi che con le nostre forze riusciamo a superare questi ostacoli. È importante che ci rendiamo conto di non farcela, ma è importante che ci affidiamo a Colui che solo può farcela. È il Signore che vince il peccato e la morte. Quelle donne non sono rimaste chiuse in casa perché non potevano fare niente, hanno avuto il coraggio di andare alla tomba anche se sapevano che c’era un ostacolo per loro insormontabile.
Si sono domandate: “Chi rotolerà quella pietra?” Quando vedono, si accorgono che è già stata ribaltata: un altro ha lavorato per loro, un altro ha compiuto quello che loro non sarebbero state capaci di fare. «La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo. Questa è l’opera del Signore una meraviglia ai nostri occhi». La pietra scartata è Gesù. I costruttori, i potenti della terra hanno ritenuto che fosse da scartare, inutile, l’han buttato via, ma Dio lo ha recuperato e l’ha posto come pietra d’angolo per unire i due popoli, per ricostruire una comunità nuova. Chiediamo al Signore che ci faccia sentire la sua presenza potente operante in questa Pasqua, che faccia Lui quello che noi non riusciamo a fare, che compia quelle meraviglie che desideriamo e non riusciamo ad ottenere. Il Signore rimuova gli ostacoli tolga i pietroni dal nostro cuore, ci renda persone di pace.
Sia questa la nostra buona Pasqua e il Signore operi per noi quello che con le nostre forze non riusciamo a fare.

Venerdì Santo: Passione del Signore

Oggi è un giorno particolare: in questa giornata si ricorda con profondo dolore la morte di Cristo sulla croce. Contemplando Cristo Crocifisso oggi esprimiamo una sola parola: «Grazie». Mi sembra di percepire questo Venerdì come il giorno in cui Dio sceso in terra ha mostrato a tutti quanto amasse l’uomo, tanto da soffrire e in silenzio morire, come un ladro, un reietto. È un atto d’Amore che mi ha colpito e che forse in quanto umano non capirò mai completamente, ma che sento, in un certo senso, come
contagioso. Un Amore, mi viene da pensare, scandaloso, perché non è accompagnato dalla logica del “Do ut des” (io do affinché tu dia), un Amore infinito e smisurato che ha portato Gesù a spendersi completamente per ognuno di noi, e quindi anche per me. Un Amore che nonostante tutto, nonostante le pene che stavano nel mezzo del percorso, non è diminuito, anzi è stato puro e limpido fino alla fine, tanto da portare Gesù a perdonare dalla croce i suoi persecutori, pregando per loro. Penso al ladrone buono: è accanto a Gesù e lo osserva; lui, che durante la sua vita ha fatto tutto il contrario di ciò che dicevano i Comandamenti, alla fine della sua vita prova dolore, accomunato ad un uomo giusto come Gesù che sta facendo la sua stessa fine.
E nell’osservare tutto questo, il ladro capisce veramente cos’è l’Amore; l’Amore che ha portato Gesù ad accettare quelle pene per noi e che non è cambiato nemmeno dopo tutti gli orrori subiti.
Cristo passando per la croce ha dimostrato come quell’Amore fosse capace di vincere anche la morte, che era forse l’unico limite dell’uomo fino a quel momento.
Inoltre, sapere che Gesù ha sperimentato tutte le prove che l’umanità vive quotidianamente, è un motivo in più per non sentirmi solo e abbandonato a me stesso, in quei momenti in cui mi sento più debole del solito, più vulnerabile perché affronto le mie debolezze.
Se al Giovedì Santo, nel gesto della Lavanda dei piedi, riflettevo su quei miei difetti che Gesù lava, ecco che quello stesso Signore è pronto a prendere sulle spalle quelle fragilità. Proprio per aver affrontato la sua Passione, mi dà la forza di prendere la mia croce ogni giorno, e soprattutto mi accompagna nel cammino. Esattamente come appare nel “Simone di Cirene” di Sieger Koder: l’immagine è singolare perché il peso è equamente diviso dai due, i quali nel contempo si abbracciano, si percepisce una collaborazione fraterna. Credo che sia questo l’esempio a cui devo aspirare, ovvero lasciarmi aiutare da Gesù nel portare, sopportare e infine amare le mie fatiche, non dimenticandomi di abbracciarlo e sentirlo vicino per superare ogni momento difficile, perché so che dopo ogni morte c’è una rinascita, o meglio: una Resurrezione.

Giovedì Santo: Cena del Signore

La sera del Giovedì Santo che apre il Triduo Pasquale, Gesù vuole passare le ultime ore della sua vita assieme ai suoi amici e le vuole trascorrere in una modalità del tutto speciale, donando sé stesso completamente: nel gesto della Lavanda dei piedi, nell’istituzione dell’Eucarestia e del Sacerdozio.
La frase “Li amò fino alla fine” ci fa pensare a come l’amore di Gesù non sia un amore comune: è amore anche quando non conviene, è amore quando tutti scappano via, è amore nonostante tutto. Quella frase non è ricolta solo ai suoi Apostoli, ma a tutti gli uomini di tutti i tempi, dunque anche a me. Per dimostrarmi questo, Gesù inizia ad amarmi dalla parte più sconveniente di me. Egli non inizia ad amare dai miei pregi, dai miei talenti, dalle mie capacità, ma parte dalle mie zone d’ombra; ama a partire da ciò che non conviene di me, parte dal lavarmi i piedi, ovvero i difetti di cui io mi vergogno tantissimo! Come reagisco davanti a questo amore?
Io che mi sento sempre piccolo e inadeguato. Se fossi stato anche io là, nel Cenacolo, sarei riuscito a guardarlo mentre compiva quel gesto? Probabilmente per la mia inadeguatezza anche io avrei fatto come Pietro! Eppure lui, il Maestro e Signore, il più importante di tutti, lava i piedi ai suoi discepoli proprio per farmi capire fin dove arriva il suo amore e per insegnarmi che dobbiamo volerci bene e metterci al servizio gli uni degli altri. Come posso essere umile e donarmi, come ha fatto lui, con i miei amici, con le persone, nella mia quotidianità? Non sempre sono in grado di accettare e amare i loro difetti e avere con loro la pazienza che il Signore ha con me! 
Forse alla fine il vero segreto sta nel prendersi cura degli altri mettendosi al loro servizio con umiltà e costanza come ha fatto Gesù sia con la Lavanda dei piedi sia con il regalo di donarsi a noi in ogni Eucarestia, attraverso i Sacerdoti.