San Matteo: vivere in maniera degna della chiamata

Che cosa ha lo sguardo di Gesù Cristo che cambia radicalmente il cuore, lo trasforma, lo guarisce!
Gesù attraversa le viuzze di Cafarnao e va deciso là dove lavora Levi, il pubblicano, l’esattore delle imposte per i romani, l’uomo odiato dai suoi stessi concittadini, il disprezzato, il traditore.
Si ferma, non ha fretta, e lo guarda. Con quegli occhi misericordiosi, come nessuno lo aveva guardato prima. E gli aprì il cuore, lo rese libero, lo guarì, lo riempì di speranze.
In quegli occhi Levi vide lo sguardo di Dio che vede ben oltre quel che vedono i nostri occhi.
Oltre le apparenze, i nostri peccati, le nostre sconfitte, la nostra indegnità. In Levi Gesù vede Matteo. Vede la sua storia di amore, di servizio, di donazione, di fedeltà, di felicità.
Anche oggi, ogni giorno, Gesù vuole fissare il suo sguardo su noi. “È l’attesa di Dio, che ci ama, ci cerca, ci accetta come siamo: con i nostri limiti, i nostri egoismi, la nostra incostanza; e tuttavia capaci di scoprire il suo amore infinito e di darci a Lui interamente”. Anche noi, che siamo seduti al nostro banco, cercando di essere felici alla nostra maniera, accumulando tempo e beni per noi stessi, incapaci di darci agli altri, stanchi di veder passare i giorni senza avere il coraggio di rischiare.
L’incontro di Gesù con Matteo ci interpella e ci chiede fiducia: se Gesù ha potuto trasformare un esattore in un servitore, un traditore in un amico intimo, può anche trasformare noi, peccatori, in figli di Dio, in suoi amici intimi. Perciò dobbiamo fare come Matteo: sentirci in pericolo, malati, bisognosi di quello sguardo che infonde speranza perché vede in ciascuno, peccatore, l’uomo sognato da Dio.
Entrare nel cuore di Matteo
Dobbiamo entrare nel cuore e nella mente di quest’uomo, immedesimandoci fino in fondo in lui, e cercare di capire i suoi sentimenti profondi. Come si sarà sentito lui – pubblicano e perciò odiato dalla gente comune e considerato un peccatore dai responsabili religiosi del tempo – raggiunto dalla chiamata di Gesù? Proprio a lui: la persona meno degna e raccomandabile, la più lontana e irraggiungibile… lui che aveva altro per la testa, che pensava di aver già deciso definitivamente come portare avanti la sua vita… Si sarà chiesto «perché proprio io?» L’esperienza l’ha aiutato a capire in prima persona, sulla propria pelle, le parole di Gesù risuonate proprio in casa sua: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati… Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». Il pubblicano è oggetto della cura e della misericordia di Dio, colui che Gli sta più a cuore di tutti, il Suo tesoro più prezioso, come la pecorella smarrita per il pastore.
Ripensare alla propria chiamata
È quello che siamo chiamati a fare anche noi di fronte all’esortazione di Paolo: vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto… Comportarci in maniera degna della chiamata che abbiamo ricevuto, significa partire dalle stesse domande che si è fatto Matteo:
· Chi sono io perché il Signore abbia chiamato proprio me? Che meriti avevo? Nessuno!
È un senso di smarrimento, stupore e gratitudine infinita nei confronti di Dio che ci deve guidare.
A tal riguardo, ci può venire in aiuto un altro passo di san Paolo: Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti… Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole… per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato… quello che è nulla… per ridurre al nulla le cose che sono (cfr. 1Cor 1,26-29).
Dio ci ha scelti e chiamati non già in base ai nostri meriti, ma solo ed esclusivamente per la Sua infinita misericordia, e per confondere il mondo, i “sapienti” e i “forti”.
Non un dovere ma una risposta
Allora l’umiltà, la dolcezza e la magnanimità, il sopportarci a vicenda nell’amore avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace non sono un dovere, ma una risposta alla chiamata del Signore, alla grazia che ci è stata data secondo la misura del dono di Cristo. È un bagno di umiltà quello che dobbiamo fare, e da cui deve nascere una gioiosa riconoscenza, così da edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.