Prima Comunione

La nostra festa non deve finire e la nostra festa non finirà, perché la festa siamo noi!
Perché la festa è la presenza di Gesù, perché Gesù ci porta in palmo di mano. Siamo nella sua mano e nessuno ci strapperà da quella mano buona; siamo al sicuro, siamo in buona compagnia.
E voi, cari bambini, che fate la prima comunione con Gesù meritate questa festa. Facciamo festa con voi per dirvi che fare la comunione è una cosa bella! È fondamentale, è utile per la vita come mangiare. Difatti Gesù ha voluto rimanere in mezzo a noi come cibo, si dà a noi, si mette nelle nostre mani, perché noi lo mangiamo. Eppure Lui è il Signore del cielo e della terra!
Tutto il mondo sta nella sua mano e pensate l’Onnipotente immenso si mette nelle nostre mani.
Le vostre piccole mani ricevono il Signore che ha creato il mondo e guida la storia.
Si è messo nelle nostre mani, per ricordarci che noi siamo nelle sue mani e perché possiamo veramente lasciarci guidare dalle sue mani. Abbiamo bisogno del Signore per poter vivere bene.
Il nostro istinto, purtroppo, ci inclina al male. Il male ci viene spontaneo come le piccole cattiverie di tutti giorni – e lo sapete già anche voi bambini – crescendo questo male continua a essere presente e può anche diventare più grande e dominare la vita. Ogni giorno, purtroppo, sentiamo notizie tragiche e dolorose di una guerra che fa piangere tante persone e altre sofferenze generate dall’egoismo. Ma da dove nasce una guerra? Da dove nasce la cattiveria, la violenza?
Dalla volontà di prendere qualcos’altro: è l’avidità la causa, cioè la voglia di prendere e di dominare di più. Allora, se noi scendiamo dai grandi capi degli Stati alla nostra situazione, ci accorgiamo che anche nel nostro cuore c’è avidità, voglia di prendere e di dominare. Quando vogliamo prendere qualcosa che ci piace, diventiamo violenti, aggressivi. È comune anche fra fratelli tirarsi un calcio, darsi un pugno, graffiarsi, insultarsi, offendersi. Si comincia di lì, poi crescendo nel potere si può arrivare ai grandi conflitti; ma tutto parte da quell’istinto cattivo con cui cerchiamo di aggredire l’altro per prendergli qualcosa. Abbiamo bisogno di un aiuto divino per diventare generosi. Facciamo la comunione con Gesù per avere questo aiuto, mangiamo l’Eucaristia per essere nutriti, per crescere, per diventare buoni e ne abbiamo bisogno tutti, non solo voi bambini, ne abbiamo bisogno ancora di più noi grandi! Quante volte mangiate? Tutti i giorni, più volte al giorno.
E perché mangiate sempre? Perché ne avete bisogno! Se non si mangia, non si vive! Il nostro corpo ha bisogno di essere nutrito. Anche la nostra anima ha bisogno di essere nutrita, anche il nostro
spirito ha bisogno di crescere, di diventare forte, forte nel bene! Non è così facile essere generosi. Viene istintivo prendere. Non è così istintivo dare. È il Signore Gesù che ci insegna a dare, non solo ci ha detto che bisogna farlo, ma soprattutto ci dà la forza di farlo e lo fa, dandoci Se stesso da mangiare tutte le domeniche. Tutta la vita noi abbiamo bisogno di fare la comunione per diventare grandi, grandi nell’amore, grandi nel servizio, grandi nell’impegno. Ognuno di noi può contribuire a far andare meglio il mondo, proprio impegnandosi a dare generosamente qualcosa di sé: a dare tempo, a dare impegno, a dare servizio. Ma questo non ci viene istintivo, ci viene dalla grazia!
Abbiamo bisogno di mangiare per vivere, abbiamo bisogno di mangiare Gesù per vivere bene.
Allora con tutto il cuor vi auguriamo, cari bambini, che la vostra festa non finisca, perché la festa siamo noi insieme a Gesù. È Lui la festa della nostra vita, è Lui che ci rende capaci di essere veramente buoni. È quello che vi auguriamo: crescete e diventate sempre più buoni, sempre più generosi, sempre più capaci di dare, vincendo l’avidità che vuole prendere. Il Signore Gesù ha dato la vita per noi: siamo nelle sue mani, lasciamoci portare da Lui e diventeremo davvero generosi.

Giovedì Eucaristico

Normalmente la prima reazione che dovremmo sentire nell’essere alla presenza del Signore, dovrebbe essere la gioia di sapercelo accanto, il desiderio di sentirlo parlare e di ascoltarne la voce. Capire chi è Lui e l’a­more che nutre per noi. E questa la prima scoperta che introduce già nel cuore della preghiera; solo in un secondo momento, sorgerà il desiderio di dover rispondere al suo amore e che cosa fare per, poi, tradurlo in vita. Non si tratta di immaginarci che ci sia, ma convincerci e avere certezza che c’è davvero, e che vuole comunicare con noi. Questo è un punto su cui bisogna particolarmente insistere, perché troppo spesso pensiamo che il Signore stia lontano o distratto, quasi che il nostro impegno fondamentale sia quello di attirare la sua attenzione su di noi. Invece è Lui che ci cerca e ci chiama, la nostra è solo una risposta.
Siccome, però, a noi capita di dimenticarlo e di non riconoscerlo, perché spesso col cuore e con la mente siamo lontani da Lui, pensiamo che anche Lui lo sia da noi.
Ebbene, devo ripetermelo, Lui non mi dimentica, Lui mi riconosce sempre, Lui sta sempre lì a guardarmi, a invitarmi, a farmi compagnia, a istruirmi. Non posso dubitare che Egli mi ama, che in questo momento mi sta amando. Che «mi guarda con amore e umiltà». Posso forse dubitare del mio amore per Lui, ma non del suo amore per me. Ciò che spesso rende difficile questo atto di fede è anche il pensiero che Gesù ora si trova in cielo, in Paradiso, quindi lontano da noi. Dobbiamo correggere tale concezione del cielo e del Paradiso. Pro­prio perché glorioso alla destra del Padre, ora Gesù può essere presente dovunque c’è un cuore che lo accoglie. Nella sua vita terrena Egli era condizionato dal tempo e dallo spazio. 
Anche Lui, come tutti noi, non poteva stare in due posti diversi allo stesso tempo, se era a Betlemme non era a Nazareth, se era a Giudea non era in Samaria. Nella sua umanità Gesù non poteva vivere che in un solo luogo, come in un unico momento non poteva esprimere che un solo atto di amore.
Ma dopo la sua risurrezione gloriosa Gesù vive un’esistenza spirituale e, quindi, si può far presente in ogni anima, e unirsi a ciascuno di noi. La presenza spirituale non ha relazione con lo spazio e col tempo.
Anche io, che pur sono prigioniero del tempo e dello spazio, sono immensamente più vicino e presente a quelli cui penso e amo, che non a quanti urto e mi spingono nella metropolitana.
La presenza di Gesù non è soltanto una pre­senza fatta con la memoria come quando si ricorda qualcosa; né soltanto una presenza spirituale come la presenza, in noi, del nostro affetto e del nostro amore per tutti coloro che amiamo. La sua non è solo presenza intenzionale e affettiva: è una presenza reale. Non è che Gesù è presente, di fronte a me e in me, perché lo penso e lo amo; io sono sempre presente a Lui, anche se non ci penso, anche se non lo amo. Non più legato a luoghi e spazi temporali, Gesù è sempre presente per stabilire un rapporto di reciproco amore con ognuno che è disposto ad accoglierlo.
Egli non ha più nemmeno bisogno di ripetere, come allora, diversi atti di amore secondo le persone che progressivamente incontrava; vivendo, in perennità, la pienezza dell’amore, totalmente trasfigurato in amore, Egli può sempre venire in ciascuno che ama e convivere con ciascuno che gli risponde. 
E chiaro, però, che il rapporto di amicizia diventa reale e attuale nel momento in cui si stabilisce la comunicazione; se, da parte mia, questa comunicazione vitale non c’è lo impedisco al Signore di vivere con me quella comunione vicendevole che noi chiamiamo amicizia e che la preghiera vuole attuare.
E questo per il semplice motivo che per avere un rapporto amichevole bisogna essere in due.
Ma per quanto riguarda la presenza di Gesù che ha nei miei riguardi un cuore e un atteggiamento di amico e che, in questo momento, mi chiede di contraccambiarlo, non dovrei avere dubbi.

Giovedì eucaristico

L’evangelista Matteo sottolinea che i Magi, quando giunsero a Betlemme, «videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono». Adorare il Signore non è facile, non è un fatto immediato: esige una certa maturità spirituale, essendo il punto d’arrivo di un cammino interiore, a volte lungo. Non è spontaneo in noi l’atteggiamento di adorare Dio. L’essere umano ha bisogno, sì, di adorare, ma rischia di sbagliare obiettivo; infatti, se non adora Dio, adorerà degli idoli – non c’è un punto di mezzo, o Dio o gli idoli, o per usare una parola di uno scrittore francese: “Chi non adora Dio, adora il diavolo” –, e invece che credente diventerà idolatra. Nella nostra epoca è particolarmente necessario che, sia singolarmente che comunitariamente, dedichiamo più tempo all’adorazione, imparando sempre meglio a contemplare il Signore. Si è perso un po’ il senso della preghiera di adorazione, dobbiamo riprenderlo, sia comunitariamente sia nella propria vita spirituale.  Chiediamo al Signore la Grazia di avere cristiani che desiderano prostrarsi e adorare il Signore. Adorarlo sul serio, non come ha detto Erode: “Fatemi sapere dov’è il posto e io andrò ad adorarlo”. No, questa adorazione non va.

L’adorazione non è un lusso ma una priorità

Adorare Gesù nel Santissimo Sacramento è la risposta di fede e di amore a Colui che essendo Dio, si è fatto uomo, si fece nostro Salvatore, ci ha amati fino a donare la sua vita per noi e continua ad amarci di amore eterno. È il riconoscimento della misericordia e della maestà del Signore, che ha scelto il Santissimo Sacramento per rimanere con noi fino alla fine del mondo.
Il cristiano adorando Cristo riconosce che Egli è Dio e adorandolo davanti al Santissimo Sacramento testimonia la sua Presenza reale, vera e sostanziale nell’Eucaristia. Adorare non è solo compiere un atto sublime di devozione, ma anche testimonianza del più grande tesoro che ha la Chiesa, il dono di Dio stesso, il dono che fa il Padre del Figlio, il dono di Cristo di se stesso, il dono che proviene dallo Spirito: l’Eucaristia. Il culto eucaristico è sempre di adorazione. Anche la comunione sacramentale implica necessariamente l’adorazione. Questo ci ricordava il Santo Padre Benedetto XVI in Sacramentum Caritatis quando citava S. Agostino: “Nessuno mangi questa carne senza prima adorarla … peccheremmo se non la adorassimo”. In un altro senso, l’adorazione è comunione, non solo sacramentale, ma sostanzialmente spirituale. Se la comunione sacramentale è prima di tutto un incontro con la Persona del mio Salvatore e Creatore, l’adorazione eucaristica è una estensione di tale riunione. Adorare è un modo sublime per rimanere nell’amore del Signore.
Quindi, vediamo che l’adorazione non è qualcosa di facoltativo, opzionale, che si può o non si può fare, non è una devozione in più, ma è necessaria, è un dolce obbligo d’amore.

Davanti al mio Signore

Rimanere in silenzio davanti all’Eucaristia è un esercizio di fede difficile. La nostra mente vaga; riempiamo il silenzio di parole; ci sembra che tante cosa possano essere più importanti ed efficaci di questa… eppure ci viene proposta sempre come un vertice della spiritualità cristiana, in cui sostare con il Signore nella preghiera e nella adorazione. Tanti santi ne hanno fatto un punto centrale della loro esperienza di fede o l’hanno incoraggiata nel popolo di Dio. E noi? Cosa ne faremo di questa proposta? Uno spreco di tempo per il Signore, privo di gusto e di efficacia? Non è da disprezzare un impegno portato avanti con fedeltà e costanza, anche quando costa fatica e non sembra offrire una gratificazione apparente. Ma se il tempo passato nell’adorazione fosse anche un tempo di qualità? Se nell’adorare il Signore io potessi anche rallegrarmi dell’esperienza religiosa che mi viene offerta? Certo sarebbe un vantaggio per tutti.
L’adorazione eucaristica è una forma di preghiera tutta particolare, dominata dalla presenza dell’Eucaristia, che parla a noi con temi, modi, sentimenti che gli sono propri. Sarebbe uno spreco ignorare la potenzialità spirituale che il Santissimo Sacramento esposto offre ai fedeli, per riempire lo spazio di preghiera con altre letture, commenti, pensieri che non hanno a che fare con l’Eucaristia, finendo così per ignorarla e soffocarla. L’adorazione eucaristica, come prolungamento della Messa, ha un suo valore e una sua dignità, suggerisce pensieri e preghiere proprie, da riscoprire in noi stessi, da far risuonare nel proprio cuore ed effondere dinanzi al Signore, come incenso, profumo gradito.
Risuoni allora per noi l’invito del salmo: “Venite, adoriamo il Signore” (Sal 94).

Giovedì Eucaristico

La divina presenza reale del Signore, questo è il primo fondamento della devozione e del culto al Santissimo Sacramento. Qui è Cristo, il Signore, Dio e vero uomo, assolutamente meritevole della nostra adorazione e originata dall’azione dello Spirito Santo. La pietà eucaristica non è quindi fondata nel sentimento puro, ma proprio nella fede. Altre devozioni, forse, nel proprio esercizio spesso tendono a stimolare maggiormente il sentire, come ad esempio nel servizio della carità verso i poveri, ma la devozione eucaristica, precisamente si basa esclusivamente sulla fede, sulla fede pura del Mysterium fidei.
Pertanto, “questo culto di adorazione si fonda su un motivo serio e solido, che l’Eucaristia è già sacrificio e sacramento insieme, e si distingue dagli altri non solo perché comunica la grazia, se non perché racchiude stabilmente il suo stesso Autore”.
L’Eucaristia è il più grande tesoro della Chiesa offerto a tutti affinché tutti possano ricevere attraverso essa abbondanti grazie e benedizioni. L’Eucaristia è il sacramento del sacrificio di Cristo, del quale facciamo memoria e che rendiamo attuale in ogni Santa Messa ed è anche la sua Presenza viva in mezzo a noi. Adorare è entrare in relazione intima con il Signore presente nel Santissimo Sacramento.

Riprende il giovedì Eucaristico

L’Adorazione è un momento assai impegnativo della preghiera. È più facile meditare ed ancor più facile fare preghiera vocale. Di fatto si evade con facilità dall’adorazione. Anche quando se ne è scoperta la bellezza, c’è sempre la tentazione di evadere. Ma quando si è fatta esperienza, si ha la netta impressione di avere scoperto la chiave della vita spirituale, si ha l’impressione di avere trovato la roccia su cui costruire tutto.

L’Adorazione eucaristica è stare davanti all’Eucaristia offrendosi a Cristo.
Quasi sempre la nostra preghiera è chiedere, l’adorazione invece è donare.
Ma che cosa posso donare? Il mio amore! L’Adorazione è dunque stare davanti al Signore ripetendogli tante volte che lo amo? No, non è esattamente questo.
L’adorazione non è un dare a parole, che è molto facile, ma un dare a fatti, cosa ben diversa. L’adorazione si può fare senza parole: chi ama veramente non ha bisogno di dire tante parole; agisce, dona se stesso. Quando dico al Signore che lo amo (e lo posso esprimere anche senza parole) io intendo dire: “Signore, voglio essere come mi vuoi tu, la mia carità sarà autentica, il mio lavoro sarà compiuto bene, riparerò a quella viltà, sistemerò quella cosa che ti dispiace.
Ti amo, Signore, voglio fare in tutto la tua volontà, la tua non la mia: voglio essere disponibile, voglio essere povero, voglio essere come mi vuoi tu”. Se questa offerta è rinnovata (e non c’è bisogno di grandi parole), è ripresentata tante volte, sono altrettanti atti di amore. Questo è adorare.

Padre de Foucauld ha definito così l’adorazione: “Guardare al Signore amandolo”. Santa Teresa d’Avila ha scritto: “Più una preghiera contiene amore, più è preghiera”. L’adorazione allora si potrebbe chiamare la preghiera d’amore, cioè la vera preghiera. L’adorazione è dunque una preghiera “attivissima”, perché è la preghiera del donarsi. Viene da chiedersi: perché bisogna offrirsi a Lui con tanta insistenza? Perché continuamente sfuggiamo a Dio, continuamente deviamo da Lui, continuamente ci perdiamo. Se nell’Eucaristia Gesù fosse visibile, sarebbe facile l’adorazione, ma la nostra preghiera afferra l’invisibile; noi ci doniamo a una Persona che non si raggiunge con la sensibilità, che non vediamo, che non sentiamo, che non ci risponde con una voce udibile. Per questo l’adorazione è un momento tanto esigente.
L’adorazione, la preghiera non è in primo luogo un sentimento, né un pensiero, ma il riconoscere la presa di possesso di Dio su di noi, sul più intimo di noi stesi, è un’opera più grande e più assoluta di quanto possiamo averne coscienza. È un atto che suppone molto coraggio e abbandono di sé a un’attività di Cristo in noi, attività che è spesso terribilmente dolorosa. Ecco ciò che dobbiamo ripeterci, di cui dobbiamo essere convinti e che dobbiamo tradurre in pratica”.

Giovedì Eucaristico

L’adorazione eucaristica al di fuori della Messa prolunga il memoriale invitandomi a stare presso il Signore presente nel santo Sacramento: «Il Maestro è qui e ti chiama».
Con l’adorazione eucaristica, riconoscono la presenza reale del Signore e mi uniscono al suo atto di offerta al Padre. La mia adorazione partecipa alla sua, in qualche modo, poiché è per lui, con lui ed in lui che domando: Signore da chi andremo? Il Cristo che annuncia alla Samaritana che il Padre cerca adoratori in spirito e verità, non è lui stesso il primo adoratore e il capofila di tutti gli adoratori e le adoratrici? Trattenendomi presso Cristo Signore, godo della sua intima familiarità e dinanzi a lui apro il mio cuore per me stesso e per tutti i miei cari e prego per la pace e la salvezza del mondo. Offrendo tutta la mia vita con Cristo al Padre nello Spirito Santo, attingo da questo mirabile scambio un aumento di fede, di speranza e di carità. È bello intrattenermi con Lui e, chinato sul suo petto come il discepolo prediletto, essere toccato dall’amore infinito del suo cuore. Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro tempo, soprattutto per l’“arte della preghiera”, come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento? Questa «arte della preghiera» che Giovanni Paolo II associa all’adorazione eucaristica conosce un ritorno di fervore nel nostro tempo e un po’ dappertutto nella Chiesa; essa rende più visibile la sua testimonianza dell’amore di Dio e la sua intercessione per i bisogni del mondo.
La pratica dell’adorazione rafforza in effetti, presso i fedeli, il senso sacro della celebrazione eucaristica che, in certi ambienti, ha conosciuto purtroppo un affievolimento. Perché riconoscere esplicitamente la presenza divina nelle sacre specie, al di fuori della Messa, contribuisce a coltivare la partecipazione attiva ed interiore alla celebrazione e ci aiuta a vedervi qualcosa di più che un rito sociale.
Contemplare il Cristo in stato di offerta e di immolazione nel santo sacramento, insegna a donarmi senza limiti, attivamente e passivamente; ad offrirmi fino a donarmi come il pane eucaristico che passa di mano in mano per la santa comunione.
Colui che è adorato e visitato nel tabernacolo non insegna a perseverare nell’amore, nel ritmo della vita quotidiana, accettando ogni avvenimento e circostanza senza nulla escludere, salvo il peccato, e cercando di produrre il maggior frutto possibile? La vera adorazione è il dono di sè nell’amore, è l’«estasi dell’amore» nel tempo presente, per la gloria di Dio e il servizio del prossimo. È così che si prolunga nel cuore della comunità e dei fedeli l’adorazione del Cristo e della Chiesa, attualizzata sacramentalmente nella celebrazione dell’Eucaristia.

Prima Comunione

Nella vita si fanno molti incontri, buoni e cattivi: alcuni sono occasionali, altri si ripetono oppure diventano periodici o addirittura continuativi (con i compagni di scuola, con i compagni di squadra); ci si può incontrare con una persona tutti i giorni in autobus, al caffè, in chiesa e restare conoscenti o comunque estranei, mentre succede di vedere una persona per la seconda volta e già sentirsi amici. L’incontro con Gesù è l’incontro con un amico, con un compagno di viaggio nella vita, con cui condividere le sofferenze e le ansie, le gioie e le soddisfazioni.
La prima comunione è una tappa importante nel cammino di fede: Gesù ci invita alla sua mensa e, diventando suoi commensali, diventiamo suoi amici come Pietro, come Andrea, come Giovanni, che durante i pasti gli si sedevano vicino.
L’Eucaristia non è un banchetto per la gente che si sente giusta e a posto con Dio.
Invece l’Eucaristia è un pane, un cibo per i mendicanti, per i viandanti, per i malati, per quelli che non si sentono a posto con Dio e che hanno bisogno di quel pane per camminare dietro a Gesù perché da soli non ce la fanno.
Cari fanciulli, qualcuno di voi potrebbe chiedermi: ma come possiamo incontrare Gesù, che è vissuto tanti anni fa e poi è morto ed è stato messo nella tomba? È vero: Gesù ha fatto un atto immenso di amore per salvare l’umanità di tutti i tempi. È rimasto nella tomba tre giorni, ma noi sappiamo – ce lo hanno assicurato gli Apostoli e molti altri testimoni che lo hanno visto vivo – che Dio, Padre suo e Padre nostro, lo ha risuscitato. E ora Gesù è vivo ed è in mezzo a noi, e voi lo potrete incontrare per la prima volta nell’Eucaristia.
La Prima Comunione che vivremo insieme a voi, con tutti i vostri familiari e la comunità parrocchiale, è una festa, in cui celebriamo Gesù che ha voluto rimanere sempre al nostro fianco e che non si separerà mai da noi. La vostra Prima Comunione è l’occasione propizia per tutti noi perché ci aiutate a ricordare il primo incontro che abbiamo avuto con Gesù nell’Eucaristia e verificare cosa ne abbiamo fatto di questo dono straordinario.
Cari fanciulli vogliamo, con il nostro amore all’Eucaristia, testimoniarvi quanto sia bello e importante stare vicino a Gesù e nutrirsi di Lui, Pane di Vita.
In questo giorno così bello e significativo saremo accanto a voi, gioiremo con voi e saremo emozionati con voi. Soprattutto facciamo insieme un bel proposito: mai senza Gesù, mai senza l’eucaristia celebrata, mangiata e adorata.

Adorare significa…

«Adorare significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia».

«La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare a incontrarlo nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo.
Non cessi mai la nostra adorazione».

«Adorare il Dio di Gesù Cristo, fattosi pane spezzato per amore, è il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi. Inginocchiarsi davanti all’Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento, perché in esso sappiamo e crediamo essere presente l’unico vero Dio, che ha creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito. Ci prostriamo dinanzi a un Dio che per primo si è chinato verso l’uomo, come Buon Samaritano, per soccorrerlo e ridargli vita, e si è inginocchiato davanti a noi per lavare i nostri piedi sporchi. Adorare il Corpo di Cristo vuol dire credere che lì, in quel pezzo di pane, c’è realmente Cristo, che dà vero senso alla vita, all’immenso universo come alla più piccola creatura, all’intera storia umana come alla più breve esistenza».